La “Torino noir” vista e narrata da Milo Julini

Via Cuneo, l’Aurora e il Chiabotto delle Merle

A Torino, la via Cuneo è situata in quello che era detto Borgo Dora e che oggi si indica come quartiere Aurora, ed ha un inusuale andamento curvilineo che la porta dal corso Giulio Cesare fino al lungodora Napoli.

Via Cuneo è diventata celebre grazie alla canzone di Gipo Farassino “Ël 6 ëd via Coni”, che lo chansonnier torinese ha dedicato al suo luogo di nascita.

Non è l’unica particolarità di via Cuneo dove, nell’isolato che questa delimita con le vie Schio, Pinerolo e Luigi Damiano (già Mondovì), si trovava il Chiabotto delle Merle (Ciabòt dle Merle), indicato come un ultimo ricordo del Lazzaretto del 1630, attivato per la peste manzoniana.

In questo perimetro, nel 1908, sorge il primo quartiere di case popolari costruito a Torino dall’Istituto Autonomo Case Popolari.

La località indicata come Chiabotto delle Merle, nella Torino dell’Ottocento si localizza nei pressi della Barriera di Milano (oggi piazza Crispi) ed è ancora compresa entro la cinta daziaria (oggi corso Vigevano). Si può raggiungere con varie vie, tra cui la strada provinciale di Milano (oggi corso Vercelli) ma non con la via Cigna perché negli anni ’70 dell’Ottocento, di questa via esiste un solo isolato, adiacente al corso Regina Margherita.

Abbiamo cercato qualche notizia riguardante il Chiabotto delle Merle nella «Gazzetta Piemontese», senza pretese di esaustività, ci siamo limitati agli anni di regno di Vittorio Emanuele II (quindi dal 1867 al gennaio del 1878): ne abbiamo trovate assai poche e riguardanti soltanto la cronaca nera.

La festa di San Giovanni del 24 giugno 1871, scrive il cronista, ha provocato vari reati, causati dalle solite bevute per celebrarla. Al Chiabotto delle Merle vi è stato un diverbio fra un conciatore di pelli ed alcuni compagni: il conciatore ha ricevuto una coltellata nel braccio sinistro.

Nelle vicinanze, prosegue il giornale, è avvenuto un’altra rissa: nella località detta l’Aurora, dopo la mezzanotte, un garzone macellaio si è scontrato con alcuni sconosciuti ed è stato ferito alla testa e ad un braccio («Gazzetta Piemontese», 25 giugno 1871).

La regione Aurora non è troppo distante dal Chiabotto delle Merle, è all’angolo dell’attuale corso Giulio Cesare con il corso Emilia. In questo punto, una carta di Torino del 1857 riporta la cascina Aurora che, nella carta del 1874, è sostituita dalla Fabbrica Depanis.

Il nome della cascina si è trasmesso alla località ed oggi ha soppiantato quello originale di Borgo Dora!

Dopo questo inciso, riprendiamo a scorrere i ritagli di giornale riguardanti il Chiabotto delle Merle.

Sempre nel 1871, all’inizio di ottobre, alcuni ladri, dopo aver perforato un muro, sono entrati di notte nella casa della signora S. ed hanno commesso «un furto di qualche entità fra biancheria, oggetti di rame ed altro» («Gazzetta Piemontese»,  7 ottobre 1871).

Dopo quasi quattro anni di silenzio, il giornale torna a parlare del Chiabotto delle Merle, dove l’8 dicembre 1875, il facchino R. Domenico, di 38 anni, residente al Chiabotto delle Merle mentre tornava a casa, di notte è stato aggredito e derubato di due lire da due malfattori, che sono poi stati arrestati e identificati come P. e G. («Gazzetta Piemontese»  10 dicembre 1875).

L’anno successivo si torna a parlare di risse tra avvinazzati.

Il 24 ottobre 1876, verso le quattro del pomeriggio avviene una rissa con ferimento: per futili motivi, due giovani muratori, R. Giovanni di 17 anni e R. Francesco di 22 anni, prima si ingiuriano e poi quello di 22 anni colpisce l’altro più volte con un falcetto e lo ferisce gravemente alla testa. Poco dopo, le guardie di pubblica sicurezza arrestano il feritore e portano il ferito all’Ospedale («Gazzetta Piemontese», 25 ottobre 1876).

Il giorno di Natale del 1877, viene rapinato il facchino G. M.: sei aggressori, uno dei quali armato di coltello, lo obbligano a consegnare l’orologio ed a tirare dritto per la sua strada («Gazzetta Piemontese»,  26 dicembre 1877). Questa è l’ultima notizia del periodo prima indicato, ed appare come quella più sinistra, perché colpisce un modesto lavoratore in un giorno di festa, quando tutti dovrebbero essere più buoni.

Ma, viene spontaneo chiedersi, al Chiabotto delle Merle non capitava mai niente di bello e di buono? Soltanto risse, furti, rapine, sia pure con una frequenza piuttosto modesta?

Tra le righe delle notizie di cronaca nera affiorano anche aspetti positivi di questa zona di Torino, al tempo tanto periferica ed abitata da persone di condizione assai modesta, come il facchino R. Domenico.

Si parla però anche di una signora S., evidentemente in condizioni di discreto benessere, visto che è vittima di un furto «di qualche entità», che ha connotazioni tipicamente campagnole sia nella tecnica di forare il muro impiegata dai ladri sia nella refurtiva, formata da biancheria e oggetti di rame.

Nel caso di scontri cruenti tra operai avvinazzati, vediamo agire lavoratori modesti, garzoni muratori, facchini, conciatori di pelle, all’epoca uno dei lavori più insalubri e pericolosi.

I partecipanti alle risse non sono però da identificare con assoluta certezza come abitanti del Chiabotto delle Merle. Poteva anche trattarsi di residenti del centro storico di Torino  che si recavano per una bevuta in osterie “fuori porta”.

Con il Novecento, sul Chiabotto delle Merle si concentrano le attenzioni igieniche del Municipio di Torino e  dell’Istituto Autonomo per le Case Popolari

Nel 1904, un anonimo funzionario del Municipio di Torino in una relazione così definisce il Chiabotto delle Merle: «[…] vero ricettacolo d’ogni immondizia. Le catapecchie sono quanto mente umana possa immaginare di più miserevole e ributtante in fatto di abitazioni. Ivi si raccoglie ed ha dimora gente degli infimi strati sociali, noncurante neanche dei più elementari principi di civiltà, la quale vive colà in un sudiciume indegno degli stessi animali».

Il primo intervento dell’Istituto Autonomo per le Case Popolari a Torino è attuato proprio nella regione del Chiabotto delle Merle. Nel 1907, in previsione di edificare case popolari, tutte le costruzioni della borgata vengono espropriate.

Nel 1908, su un’area di 6.972 metri quadrati, ricavata dall’abbattimento delle costruzioni comprese fra le vie Cuneo, Mondovì (oggi Luigi Damiano), Schio e Pinerolo, l’Istituto costruisce il primo quartiere di Case Popolari. Nella progettazione interviene l’ingegnere Pietro Fenoglio (1865-1927), principale protagonista del Liberty torinese.

Le foto dell’amico Manfredo Cicolin documentano l’aspetto attuale di quelle case, costruite nel 1908 in sostituzione del Chiabotto delle Merle.

La bonifica igienica di questa località così degradata, e un po’ malfamata, viene enfatizzata da un libro, pubblicato nel 1911 dal Municipio di Torino, intitolato “Torino. Sue istituzioni igieniche, sanitarie, filantropiche e sociali” e redatto da personale medico dell’Ufficio d’Igiene.

Il 1911 è l’anno del cinquantenario della proclamazione del Regno d’Italia ed a Torino si svolge l’Esposizione internazionale delle industrie e del lavoro: sono stati perciò attuati molti interventi di abbellimento della città con una precisa declinazione di risanamento urbano, sia in senso igienico-sanitario che morale.

Il Municipio torinese ha perciò fatto stampare almeno due migliaia di copie del libro prima ricordato, per farne omaggio a tutti i partecipanti ai congressi medici ed igienico-sanitari che si svolgono in concomitanza con l’Esposizione.

Nel libro, il Chiabotto delle Merle compare in una foto dall’eloquente didascalia: «Torino che scompare. “ ’L Ciabôt dle Merle „ .».

Secondo l’autore, dottor Costanzo Einaudi, la demolizione della località così igienicamente degradata rappresenta una vittoria dell’igiene pubblica, in sintonia con i contenuti del volume.

È uno dei rari casi in cui una demolizione di questo tipo viene documentata fotograficamente.

Fin dal 1884, di fianco al Chiabotto delle Merle, nell’isolato compreso fra la via Cuneo e la via Pinerolo era sorta l’Officina meccanica Michele Ansaldi, divenuta in seguito FIAT Grandi Motori.

Ma questa è un’altra storia.

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Articolo pubblicato il 13/02/2014