Via Cernaia, piazza Solferino e le prostitute di via Stampatori

Un opuscolo di Mario Gioda ricorda il passato “immorale” di un elegante angolo di Torino

Mi è balenata l’idea di questo articolo mentre sfogliavo varie cartoline di via Cernaia per trovare l’illustrazione di un mio racconto.

Guardando le foto n. 1, 2 e 3 cosa si vede in primo piano, prima del giardino Lamarmora? Un palazzo con ingresso colonnato che occupa l’isolato detto di San Matteo, delimitato dalle vie Cernaia, Stampatori, Bertola e Botero. L’aspetto originario dell’isolato è documentato da una pianta di Torino del 1874 (foto n. 4).

 

Oggi in questo isolato, si affaccia su via Cernaia il palazzo delle Assicurazioni Venezia che ha conferito un caratteristico aspetto  a questo angolo di Torino (foto n. 5 e 6), anche perché  proprio a partire da questo punto prende origine la via diagonale Pietro Micca. I lavori di costruzione del Palazzo, in stile Liberty, delle Assicurazioni Venezia iniziano nel 1909 su progetto dell’architetto Pietro Fenoglio. Il palazzo occupa però soltanto la metà dell’isolato originario che è stato diviso a metà con la creazione della via Rodi, parallela alla via Cernaia, che occupa un solo isolato, tra le vie Stampatori e Botero.

 

La costruzione di questo palazzo non è stato un semplice abbellimento di via Cernaia ma ha rappresentato nel primo decennio del Novecento una sorta di “crociata” moralizzatrice di un isolato fortemente degradato per la presenza di vecchie stamberghe abitate da malavitosi e prostitute “di più infimo ordine”.

 

Nell’imminenza delle celebrazioni del cinquantenario della Proclamazione del Regno d’Italia che saranno celebrate a Torino nel 1911, in concomitanza con l’Esposizione Internazionale delle Industrie e del Lavoro, “La Stampa” del 21 gennaio 1908, parla del progetto di bonifica dell’isolato di San Matteo che comporta lo “sventramento” di via Bertola che ha “tanto bisogno di risanamento morale e materiale”. Il risanamento di via Bertola avrebbe completato la diagonale di via Pietro Micca al suo imbocco in piazza Solferino. Secondo la mentalità dell’epoca, “sventramento” e “risanamento” sono parole quasi sovrapponibili!

Al tempo, l’unico metodo conosciuto è quello del “piccone risanatore”, cioè l’abbattimento e la successiva ricostruzione.

 

Il 30 gennaio 1909, iniziano gli abbattimenti ma, evidentemente non riguardano l’intero isolato, visto che dopo circa un anno, il 19 febbraio 1910, il sindaco riconosce che la via Stampatori è diventata un centro tale di infezione morale che non può essere tollerabile in nessuna città ed è intollerabilissima a Torino. Promette quindi “l’epurazione morale della regione”.

 

Questa viene attuata: dietro il palazzo delle Assicurazioni Venezia le vecchie stamberghe sono demolite ed è attuato il risanamento morale dell’isolato di San Matteo con la creazione della via Rodi e la costruzione di eleganti palazzi.

 

La demolizione delle vecchie case di abitazione è documentata dal libro “Torino. Sue istituzioni igieniche, sanitarie, filantropiche e sociali” che, nel 1911, il Municipio ha fatto stampare in occasione del cinquantenario del Regno d’Italia e dell’Esposizione Internazionale, per farne omaggio a tutti i partecipanti ai congressi medici ed igienico-sanitari che si sarebbero svolti in concomitanza con l’Esposizione.

 

D questo libro proviene la foto n. 3: “Torino che scompare. (Area fra via Pietro Micca, Piazza Solferino e via Cernaia, dove sta sorgendo il grandioso palazzo delle Assicurazioni Generali di Venezia)”. Il libro enfatizza questa demolizione come un’operazione di risanamento igienico della città: si può anche dissentire sull’opportunità del “piccone risanatore” ma, in ogni caso, è uno dei rari casi in cui una demolizione viene documentata con una fotografia (foto n. 7).

 

Oltre all’immagine fotografica, di questo degradato angolo di Torino ci è rimasta anche una documentazione letteraria con l’opuscolo scritto da Mario Gioda “Torino sotterranea illustrata”, apparso nel 1914, che contiene al capitolo IX la descrizione della vecchia via Stampatori (foto n. 8 e 9).

 

L’opuscolo è stato preceduto, tra il 1912 e il 1913, da una serie di articoli sulle brutture di Torino, pubblicati sul giornale di sinistra “La Folla”, di Paolo Valera. Questi articoli, stringati, iperrealisti e, a tratti, brutali sono firmati “Il follaiolo torinese” e “L’amico di Vautrin”. Nel 1914, quando alcuni di questi articoli vengono raccolti in opuscolo, l’autore si rivela come Mario Gioda, esponente autodidatta della cultura torinese che dalle idee anarchiche passerà al fascismo.

 

Quando Gioda pubblica i suoi articoli e l’opuscolo, dichiara di voler ricordare via Stampatori perché anche se è scomparsa quando il piccone risanatore l’ha rasa al suolo, via “Stampa” – così era detta nel gergo della malavita - ha rappresentato un pezzo importante della Torino sotterranea. Vi si svolgeva la prostituzione al di fuori delle case di tolleranza, ad opera di oltre duecento prostitute, quella di più infimo ordine, da una lira, e la clientela era formata da operai e molti militari.

 

Tra le molte altre asserzioni di Gioda, alcune scontate e prevedibili, altre ideologiche e alcune poco decifrabili, due mi sembrano degne di nota. La prima è che fra le donne di via Stampatori si era instaurata una forte solidarietà e, per allontanarle in modo da iniziare la demolizione, si dovette privarle del gas, dell’acqua, poi ricorrere alla forza.


La seconda è che il “piccone risanatore” ha fatto cessare anche la speculazione di chi affittava le catapecchie: un mondo “onesto” che viveva all’ombra della prostituzione, senza assumersi responsabilità morali. E questa è una osservazione molto valida, perché personaggi che speculano affittando catapecchie se se trovano ancor oggi, a un secolo di distanza!

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Articolo pubblicato il 29/08/2014