Impronte digitali. Lineamenti di dattiloscopia

Il libro di Andrea Giuliano affronta l’argomento molto attuale dell’identificazione personale

Andrea Giuliano, esperto dattiloscopista in servizio presso la Polizia Scientifica di Torino ha appena pubblicato il suo nuovo libro “Impronte digitali. Lineamenti di dattiloscopia” che fa seguito ad altri due suoi importanti e corposi volumi, “Dieci e tutte diverse. Studio sui dermatoglifi umani” (Torino, Tirrenia Stampatori, 2004) e “Impronte digitali. La classificazione Gasti” (Torino, Tirrenia Stampatori, 2006).

 

Questo suo ultimo libro considera il mondo complicato dell’identificazione personale, per approfondire l’analisi dell’impiego delle impronte digitali. Giuliano dà prova della sua grande padronanza di un argomento tanto attuale e lo espone suddiviso in quattro parti, a partire dai cenni storici e dalle generalità sulle impronte digitali, per poi considerare il fotosegnalamento, i rilievi nella ricerca e documentazione della traccia papillare, l’identificazione del cadavere, la contraffazione delle impronte – per citare soltanto alcuni dei temi presi in esame – fino alla conclusione che ne valuta le possibilità di impiego negli studi archeologici e antropologici.

 

L’Autore ha dedicato il suo libro al professor Salvatore Ottolenghi (Asti, 20 maggio 1861 – Roma, 20 marzo 1934), il medico allievo di Cesare Lombroso che fu promotore della Scuola di Polizia Scientifica di Roma, avviata in via sperimentale nel 1902 e istituita nel 1903, e ha devoluto i diritti alla Onlus “Vittime del Dovere”, in memoria del padre.

 

Può essere interessante ricordare che l’impiego delle impronte digitali, sia per l’identificazione personale che per il riconoscimento del colpevole di un crimine, è piuttosto recente, visto che è iniziato tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento, ed ha avuto un preludio “letterario”.

 

Lo scrittore che dimostrò nel XIX secolo il maggiore interesse per la dattiloscopia fu Mark Twain (Samuel L. Clemens). Nel suo libro “Vita sul Mississippi” (1883), un assassino viene identificato con l'impiego della impronte digitali. Nel racconto “L’impronta di un pollice e quello che ne derivò”, è narrata la vicenda di Karl Ritter, che ha perso moglie e figlio, uccisi da un soldato nel corso della guerra di Secessione.

Ritter dispone soltanto dell’impronta di un pollice dell’assassino impressa col sangue. Per scovarlo, Ritter finge di essere un chiromante ed esamina così le linee dei pollici di tutti i soldati in cui si imbatte, con la certezza che due individui non possono avere le stesse linee.

 

Forse Mark Twain era stato ispirato dalla lettera del dottor Henry Faulds, pubblicata sulla rivista “Nature” del 28 ottobre 1880, dove si suggeriva - nel disinteresse del mondo scientifico! - l’impiego delle impronte digitali per l’identificazione scientifica dei delinquenti (Beavan, 2002). Ma non è da escludere che Mark Twain avesse appreso qualche nozione di dattiloscopia dai Cinesi emigrati negli Stati Uniti.

 

Sempre sul tema delle impronte digitali, nel 1894, Mark Twain pubblicò il romanzo “Wilson lo Zuccone” (nell’originale “Pudd’nhead Wilson”), tradotto anche come “Wilson il picchiatello” o “Testa di rapa Wilson”, uno dei suoi tre lunghi romanzi che forma il c.d. ciclo del Mississippi con i più celebri “Tom Sawyer” (1876) e “Huckleberry Finn” (1884).

 

La vicenda è collocata nel 1830. L’avvocato Wilson (che porta il nomignolo di “Zuccone” per aver detto ai suoi concittadini una battuta di spirito superiore al loro comprendonio) si serve delle impronte digitali per individuare il vero autore di un efferato omicidio e scagionare i due innocenti accusati. Scopre anche, sempre grazie alle impronte digitali, che la bellissima schiava Roxy, nera di pelle bianca, per sottrarre il proprio figlio alla schiavitù lo ha scambiato con quello del padrone.

 

“Wilson lo Zuccone” riscosse un grande successo e fu adattato per il teatro già nel 1895. Rimase inedito in Italia, dove venne tradotto soltanto nel 1949 dalla Rizzoli.

I due libri di Mark Twain appaiono particolarmente significativi e decisamente in anticipo sui tempi. Nel 1883, la dattiloscopia era ignorata da tutte le polizie del mondo e Alphonse Bertillon, futuro capo del servizio di identificazione francese, utilizzando il suo metodo di misurazione, eseguiva a Parigi la prima identificazione di un criminale recidivo.

 

Lo scrittore Mark Twain, che non è un “giallista” e che in Italia viene forse sbrigativamente classificato come “umorista”, ha quindi stabilito un curioso rapporto tra dattiloscopia e letteratura!

 

Andrea Giuliano

Impronte digitali. Lineamenti di dattiloscopia

Torino, Minerva Medica, 2014

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Articolo pubblicato il 07/10/2014