Dopo l’euforia analisi e conseguenze del QE della BCE

Il dubbio se i destinatari saranno all’altezza di Draghi

Dopo la grande sbronza di ottimismo a livello planetario (non di tutti) per la mossa della Banca Centrale Europea, proviamo a capire bene quello che è successo e quali conseguenze effettive possano derivare.

Sotto l’aspetto meramente tecnico, l’operazione di Quantitative Easing è un semplice acquisto di titoli di stato detenuti dalle banche che vedono così aumentare il livello delle loro riserve. Lo scopo è quello di aumentare la massa monetaria in circolazione, contrastando la deflazione e favorendo un aumento della inflazione di circa il 2%; secondo i tecnici un minimo di inflazione è un parametro necessario per un buon andamento dell’economia di una nazione.

L’operazione, fortemente voluta dal governatore Draghi, ha misure mai viste: 1140 Miliardi di euro di dotazione per acquisti mensili di 60 Mld, senza limiti temporali, ma condizionata al raggiungimento di un obiettivo di inflazione.

Gli acquisti avvengono in base alla quota di ogni Banca Centrale Nazionale nel capitale della BCE con condivisione del rischio al 20% BCE e 80% Banche centrali (rapporto adottato quale gentile concessione alla Bundesbank Tedesca).

Dopo l’euforia per questo attesissimo provvedimento, sono arrivati i primi risultati tecnici: l’euro in forte calo contro tutte le divise, rendimento dei BTP decennali all’1,57%, spread (BTP_BUND) sceso sino a 108.

Per smorzare troppo facili entusiasmi proviamo a cercare le criticità che avvolgono questa benemerita maxi operazione.

Negli anni recenti, la FED americana ha iniettato analoghi quantitativi di espansione monetaria nel Paese e anche il Giappone ha fatto la stessa cosa, seppure in misura minore, ma in entrambi i Paesi l’inflazione non è cresciuta. Però, sia in USA che in Giappone questi esperimenti sono stati giudicati  assai utili: evidentemente il miglioramento delle economie in esame è dovuto ad altri fattori entrati in correlazione temporanea, pensiamo alla alternanza di erogazione del QE, pensiamo ad altri programmi “non convenzionali” quali una politica fiscale espansiva o l’acquisto di titoli privati.

Vediamo adesso i destinatari, cioè le Banche europee: su questo scenario si abbatte la scure degli accordi di Basilea ( Basilea 2 e Basilea 3). Questi accordi, necessari per un corretto sistema di gestione dell’area bancaria europea stabiliscono dei requisiti in merito al livello di patrimonio di ogni singola banca rispetto al livello di rischio rappresentato dagli asset presenti nel suo bilancio. Soprattutto Basilea 3 stabilisce i requisiti necessari per un fine specifico: le banche devono rafforzare i loro patrimoni per avere i capitali necessari a far fronte ad un eventuale default, evitando agli Stati di dover intervenire con salvataggi pubblici e conseguente socializzazione delle perdite.

Queste norme hanno creato non poche difficoltà alle istituzioni bancarie dell’Eurozona, che hanno già tagliato i bilanci di quasi 3000 Mld di euro, ma la cosa grave è il modo adottato: una stretta creditizia su mutui e affidamenti negati a tutti i soggetti che non avessero estreme garanzie di affidabilità e solvibilità. Un cappio al collo per famiglie e imprese che stanno affogando nella crisi economica.

Ma allora cosa se ne fanno gli  Istituti dei 60 Mld mese erogati dalla BCE? Semplicemente li usano per acquistare i titoli di stato che rendono pochissimo ma che presentano rischi ridottissimi. Metaforicamente parlando è come se i grandi produttori petroliferi ci avessero regalato miliardi di barili di benzina, ma una volta riempiti i distributori questi la erogassero solo ad una minima percentuale di automobilisti.

Una conseguenza derivata dall’operazione di QE è il conseguente ribasso dei rendimenti proprio dei titoli di stato che facilita il Governo nell’opera di diminuzione del costo del finanziamento del debito pubblico; peccato che i nostri titoli di stato siano acquistati in larghissima misura dai risparmiatori italiani che in questa situazione vedono arrivare rendimenti ridotti.

La sicura discesa dell’euro, subito iniziata, che potrebbe raggiungere valori impensabili tipo 1 a 1 sul dollaro, se le prossime elezioni greche dovessero confermare le scelte antieuropeistiche, dovrebbe teoricamente favorire le nostre esportazioni, in particolare quelle dell’Italia quale tipico Paese manifatturiero. Purtroppo questo fenomeno che sarebbe fondamentale per la nostra ripresa economica potrebbe non avvenire o manifestarsi in modalità molto ridotta per diversi motivi: anzitutto perché il nostro sistema industriale è allo stremo, poi perchè i finanziamenti dalle banche per incrementare le esportazioni e le attività di sviluppo tarderebbero sicuramente ad arrivare per quanto detto prima, o non arrivare mai; inoltre non dimentichiamo che il discorso vale anche per tutti Paesi europei grandi esportatori come la Spagna e la Germania che hanno un tessuto industriale non sinistrato e in piena efficienza operativa, con banche più disponibili.

A luglio partirà l’operazione, entro settembre/ottobre saremo in grado di valutare se e quali conseguenze avremo sull’economia europea ma specialmente su quella italiana.

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Articolo pubblicato il 25/01/2015