Torino ”scomparsa”

Le cascine e le concerie del Bruciacuore

A Torino, a metà dell’Ottocento, lungo il percorso di via San Donato, il modesto abitato dell’omonimo Borgo termina in corrispondenza dell’attuale via Saccarelli.

Poco dopo si trova un secondo nucleo abitativo e produttivo, quello del Brusacheur o del Bruciacuore che prendeva il nome dal gruppo di cascine così denominato, che possiamo collocare in corrispondenza delle attuale via Vagnone e Pacinotti.

Nel complesso delle cascine del Bruciacuore, attraversato dal canale di Torino derivato dalla Dora Riparia, sorgevano due concerie, la Martinolo, di più modeste dimensioni che forniva anche alloggio ai suoi lavoratori, e la Fiorio, attivata nel 1837.

Molte concerie, oltre che in Borgo Dora, erano concentrate a San Donato, non soltanto per la necessità dell’energia idraulica presente nei due borghi ma anche per il divieto, fin dal 1755, di collocare nel territorio cittadino queste industrie fortemente inquinanti.

Della conceria Martinolo disponiamo soltanto di frammentarie informazioni: si sarebbe insediata al Brusacheur fin dal 1800 (secondo un progetto di macchinari per la concia datato 5 febbraio 1800), si parla del progetto di costruzione di un magazzino e negozio, nel 1884, nella attuale via Pacinotti che allora manteneva ancora il nome della vicina via Giacinto Carena.

La cartolina dell’immagine di apertura, datata 1910, riporta l’indirizzo di via Carena n. 24.

Più documentate le vicende della conceria Fiorio, che aveva sede in due edifici posti di fronte, tuttora esistenti, situati al n. 10 e ai nn. 11-13 di via Durandi.

L’edificio più antico è quello ai nn. 11-13, sorto per iniziativa di Domenico Fiorio nel 1837, su progetto dell’ingegner Bria, più volte rimaneggiato. Tra il 1882 e il 1909, i fratelli Filippo e Giovenale Fiorio, titolari dell’impresa che occupava circa 250 dipendenti, diedero al complesso industriale la struttura definitiva. È stato recentemente restaurato e, il 26 ottobre 2004, vi è stato inaugurato un centro denominato «Piazza dei mestieri», per la formazione professionale di cuochi, barman e parrucchieri e luogo ricreativo per i giovani della città, con palestre e pub.

Anche il complesso industriale di via Durandi n. 10 apparteneva alla conceria Fiorio. Si tratta di un edificio di inizio Novecento, progettato dall’architetto Pietro Fenoglio in stile Liberty.

Torniamo alle cascine del Bruciacuore.

Lo stesso nome di questo sito torinese non promette niente di buono: “brusacheur” in piemontese significa “acidità di stomaco”… e ci appare stravagante l’idea di attribuire questo nome a una cascina.

La popolazione delle cascine del Bruciacuore era piuttosto eterogenea; le abitazioni sovraffollate ospitavano gran parte della popolazione misera e non qualificata del quartiere (facchini, lustrascarpe, lavoranti a giornata ecc.) con un continuo avvicendamento di persone e di nuclei familiari.

La difficile condizione di queste famiglie era nota, visto che, nel 1855, un privato lasciò un legato di 350 lire a favore dei poveri di questa cascina, per fornire loro assistenza sanitaria, uno “scaldatoio” (locale dotato di stufa dove si poteva sostare gratuitamente) e aiuti economici.

I miserevoli abitanti del Bruciacuore trovarono quindi un filantropo ma non un Victor Hugo, o almeno un Paolo Valera, che conferisse dignità letteraria alla loro travagliata esistenza e alle loro miserie, ordinarie e straordinarie.

 

È stata molto utile per questo articolo la consultazione del Gruppo “Torino sparita su Facebook”.

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Articolo pubblicato il 10/07/2015