Il Sunnistan come Stato in grado di battere l' ISIS definitivamente ?

Per controbattere chi si definisce " Stato Islamico " arriva una soluzione poco praticabile: quella di proporre uno Stato alternativo all' IS

Sunna in arabo vuol dire tradizione. E' il ramo dell'islamismo questo il più diffuso in Medio Oriente ed in Africa. In contrasto con i cugini sciiti, la divisione è diventata il pretesto per guerre di predominio sui territori martoriati della Siria, in Iraq, Nigeria, Yemen, Libia. Il cosiddetto Stato islamico, l' ISIS, che Stato non è e non è riconosciuto da nessuno, sull' onda della " tradizione " e del Jihad offensivo è quindi diventato il pericolo maggiore per la pace in tali Paesi, ed anche per i Paesi occidentali che intervengono anch' essi a destabilizzare la regione, con pretesti che nulla hanno a che vedere con le legittime aspirazioni dei popoli a vivere senza guerre e senza violenza. La storia anche recente sembra non ci abbia insegnato nulla, e vediamo come vi siano proposte " serie" di cosiddetti esperti per la risoluzione di tali conflitti, attraverso ipotesi al limite del ridicolo. Vediamo quali  e cosa propongono.

Proprio mentre l’intervento russo a sostegno del governo di Damasco sembra aver capovolto le sorti del conflitto che dilania la Siria da quasi cinque anni, nel “dibattito” mediatico inizia sempre più ad affermarsi – come via d’uscita a una situazione militare in cui la caduta di Assad rappresenta ormai un miraggio – la proposta del “Sunnistan”, uno stato sunnita che inglobi gran parte della Siria e una buona metà dell’Iraq. Il progetto è stato fortemente sostenuto il 24 novembre, sulle pagine del New York Times, dall’influente neocon John Bolton, e ripresa due giorni dopo da Massimo Gaggi sul Corriere della Sera, con l’emblematico titolo “Uno Stato sunnita per battere l’Isis”.

Che suona più o meno come se, negli Stati Uniti delle mai sopite pulsioni razziste, qualcuno avesse intitolato: “Supremazia bianca per combattere il Ku Klux Klan”.

La proposta che sempre più pseudo-analisti o sedicenti esperti vanno propinando è, quindi, nientemeno che l’accettazione del progetto dell’Isis di uno stato confessionale sunnita (purché, immaginiamo, il califfo o emiro di turno non si chiami Al-Badghadi) che inglobi più parti possibili di Siria e Iraq, col conseguente – tanto ovvio quanto drammatico – genocidio di ogni minoranza religiosa, che sia essa sciita, alawita, cristiana o yazida.

L’esplicito sdoganamento di questo folle progetto di frazionamento confessionale – che aprirebbe un vaso di pandora di proporzioni inimmaginabili, accrescendo esponenzialmente quella che già da tempo è unanimemente considerata come la più grave catastrofe umanitaria contemporanea – sta, guarda caso, coincidendo con la ossessiva ripetizione mediatica della retorica litania secondo la quale si dovrebbe smettere di utilizzare il termine “Stato islamico”, a favore dell’acronimo arabo “Daesh”.

Nel complesso e quasi inestricabile mondo delle definizioni islamiche, per chi  non ha dimestichezza con la lingua araba  traduciamo per i lettori il termine  Daesh o Da' ish  che significa  "ad-Dawla al-Islamiyya f? al- Iraq wa l-Sham",  corrispettivo quindi dell' inglese Islamic State of Iraq and Syria, o Islamic State of Iraq and al-Sham, ossia Stato Islamico dell'Iraq e del levante (abbreviato ISIL, se riferito all'equivalente espressione Islamic State of Iraq and the Levant).

Ultimamente, però, anche nel governo italiano è invalso nell' uso corrente  l' acronimo Daesh, che sembra fatto apposta per gli addetti ai lavori più che per il cittadino italiano che vorrebbe senz' altro, come noi, sentire termini che non sono troppo criptici e che nessuno spiega decentemente al popolo italiano. Probabilmente qualcuno del governo italiano lo usa tanto per uniformarsi alla moda declamatoria del premier Renzi che ora lo utilizza correntemente, ma quel qualcuno molto probabilmente non sa nemmeno cosa significhi esattamente Daesh.

Oggi più che mai è invece necessario chiamare l’Isis per quello che realmente è (o dovrebbe essere nelle criminali intenzioni dei suoi promotori, dei suoi finanziatori e dei suoi fiancheggiatori): non una semplice organizzazione terroristica, bensì lo Stato Islamico sunnita della Siria e dell’Iraq, esattamente quel Sunnistan che ora, schizofrenicamente, si offre come soluzione all’Isis stesso.

Appare ogni giorno più evidente, ormai, come il fenomeno Isis sia il risultato di una strategia di sistematica destabilizzazione regionale (di cui la Libia ha costituito il banco di prova e la Siria rappresenta la posta in gioco principale) adoperata da attori interni ed esterni all’area per imporre infine, come artificiale soluzione alla stessa, una ridefinizione complessiva degli assetti mediorientali che nel dibattito geopolitico statunitense è propugnata da almeno un decennio con le parole d’ordine di “New Middle East” e “Greater Middle East”.

L’obiettivo finale di questo progetto è la disintegrazione dell’asse geopolitico indipendente Teheran-Baghdad-Damasco-Beirut (per cui si prospetta una sempre più forte saldatura con la riemergente potenza russa), mediante lo smembramento di Siria e Iraq e la creazione di un grande “Sunnistan” ostaggio del fondamentalismo salafita e wahabita, che impedisca la continuità territoriale tra lo “Sciistan” iracheno e l’“Alawistan” siriano (sempre che quest’ultimo riesca a salvarsi dalla genocida offensiva jihadista) e getti il Medio Oriente in una situazione di cronica instabilità e perenni rivalità settarie, in cui turchi, sauditi e qatarioti possano contendersi una effimera influenza regionale, Israele possa godere di una sempre più assoluta superiorità strategica e militare, e gli Stati Uniti possano contare su una ancora più salda egemonia geopolitica sulla regione.

Negli ultimi due mesi, col decisivo intervento russo a sostegno delle autorità  di Damasco, questo disegno ha conosciuto una durissima battuta d’arresto, in corrispondenza della quale si sono intensificate le nervose voci a favore della disintegrazione della Siria ma, con esse, si è fatta via via più chiara la consapevolezza dell’opinione pubblica, della gente comune, su quanto stia accadendo realmente in Medio Oriente, sulle complicità col terrorismo e sull’assoluta inconsistenza della “coalizione anti-Isis” a guida statunitense.

Dopo i recenti drammatici eventi che vanno a sommarsi alle quotidiane stragi in Siria, Iraq e Kurdistan, dopo le 224 vittime dell’aereo di linea russo fatto esplodere sul Sinai, dopo i 130 morti di Parigi, dopo le raccapriccianti immagini dell’abbattimento del jet russo Su-24 da parte di un F-16 turco, del tiro al bersaglio dei “ribelli moderati” sui piloti che si paracadutavano a terra e dell’ulteriore abbattimento dell’elicottero in missione di salvataggio, sempre più persone contribuiscono a squarciare l’enorme velo di menzogne tessuto quotidianamente da opinionisti mediocri, quando non prezzolati, e funzionari della disinformazione, anche spin doctors, travestiti da giornalisti.

Qualcosa si è ormai inceppato nella macchina propagandistica mediatica che non è più in grado di impedire a sempre più donne e uomini di capire come, in questa sporca guerra, siriani, iracheni, curdi, libanesi, iraniani e russi siano gli unici a combattere concretamente il terrorismo jihadista.

Anche la Francia sembra aver iniziato a privilegiare la lotta all’Isis rispetto al rovesciamento di Assad solo dopo le stragi di Parigi mentre Stati Uniti, Turchia e petro-monarchie del Golfo  proseguono nella propria, sempre più evidente e insostenibile, strategia di destabilizzazione regionale.

In conclusione, come dice Paolo Mieli, si potrebbe fare un parallelismo tra il mondo arabo del 5-'600 che considerava il cristianesimo un tutt'uno, mentre invece cattolici e protestanti se le davano di santa ragione, e quello attuale occidentale che  considera l' Islam come una religione comune ai fedeli arabi, mentre sciiti e sunniti  combattono tra di loro per la supremazia anche territoriale. E' evidente che la controversia tra le due diverse interpretazioni del Corano continuerà anche in futuro, così come è continuata fino ad oggi la divisione tra Cattolicesimo e Protestantesimo.

 I sunniti per ora hanno un certo predominio sui territori arabi - e per giunta si evoca un Sunnistan - , mentre gli sciiti cercano di difendersi dalle mire espansionistiche dell' ISIS  o neopromosso termine Daesh. Ciò detto, né americani né russi né nessun altro riuscirà a comporre le controversie tra le due diverse componenti della religione islamica, ma sembra che questo elemento di base non venga preso nella necessaria considerazione dalle superpotenze occidentali, le quali cercano di comporre le dispute arabe secondo uno schema obsoleto di geopolitica basata su presupposti di potere che fa comodo all'una o all' altra superpotenza a seconda dei casi, come il controllo dei giacimenti di petrolio o gli sbocchi territoriali sul Mediterraneo e in diverse altre parti della tormentata regione.

Fonte : Spondasud - articolo del 27 novembre 2015 a firma di Fidelicu Giuntini

Fonte secondaria : " Il Corriere della Sera " - Editorialista Paolo Mieli

Citazione di Massimo Gaggi, redattore de " Il Corriere della Sera " - Articolo “ Uno Stato sunnita per battere l’Isis”.


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Articolo pubblicato il 03/12/2015