I cinquantini sportivi italiani anni 60 - 70: oggetti di culto
Itom 50 SS un pezzo pregiato fine anni 60

Vere e proprie piccole motociclette che erano il sogno di tutti gli adolescenti, oggetti di un'Italia vivace e produttiva

Riportare alla mente piccole motociclette è solo una scusa per fare un paragone tra un'Italia anni 60-70 pù povera di banche in fallimento, ma assai più ricca di un fermento aziendale che, per un breve lampo di tempo, l’ha vista produttiva, geniale e ottimista. Erano tempi in cui i governi lasciavano lavorare, la disoccupazione era un termine ignoto e la felicità di vivere andava di pari passo con un entusiasmo che si accontentava di piccole, grandissime cose.

Ecco perché, dopo aver ricordato in altri articoli di questa testata il tempo in cui non si gettava la carta per terra, i tram, i monumenti di Italia 61 e le motociclette sportive di quegli anni, dedico un amarcord alle sorelline di 50 cm2; icone anche loro di un'epoca irripetibile.

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Una parata di 48 sportivi a un raduno di moto d'epoca

A quel tempo, i "cinquantini" erano il sogno dei giovani, primo passo verso la mobilità, il viaggio, l'indipendenza, e l'industria nazionale sfornava una serie di modelli sportivi e da fuoristrada che, riesaminati con gli occhi di oggi, erano vere e proprie motociclette in formato ridotto caratterizzate da soluzioni tecniche ed estetiche di pregio e di avanguardia.

C'era poco traffico allora, e fu un bene per molti di noi, piloti senza casco e poco cervello, ma forniti di altro. Il limite di 40 km/h imposto dalla legge era la prima costrizione a cadere. I motorini dell'epoca venivano progettati con generosi motori pronti  per dare molto di più; bastava sostituire il carburatore e scegliere uno scarico giusto per viaggiare al doppio del limite imposto. Aumentare la cilindrata poi fino a 60-75 cmc era il passo successivo per i più smaliziati; freni e sospensioni migliori, un lusso per pochi.

Avevamo l'officina in cantina ed eravamo tutti un po' meccanici. Si compravano pistoni, si lucidavano le luci di travaso e poi si partiva in gruppetto verso la collina o le valli limitrofe sfidando anche qualche 125. Ogni tanto si inchiodava un pistone; era previsto, si smontava il cilindro, si rattoppava il danno e pian piano, quasi sempre si tornava a casa. Era una scuola fai da te che ha insegnato, a noi giovani degli anni 50, a cavarcela con le nostre mani, a imparare come funzionano le cose, a capire molti perché.


Un piccolo pistone ma capace di generose prestazioni (Minarelli 6 marce) 

Doverosa e lunga premessa prima di raccontare dei mezzi, oggi oggetti da collezione non solo in Italia, ma in mezzo mondo, proprio perché, anche nel settore delle più piccole cilindrate, il nostro paese non era secondo a nessuno, né per meccanica, né per l'estetica.

Molte aziende provenivano da un'esperienza che, nel dopoguerra, aveva costruito buoni motocicli, poi soppiantati dal dilagare delle utilitarie. Per rimanere sul mercato avevano ripiegato sul fenomeno dei 48 sportivi, avvalendosi di parti separate offerte dall'industria dei ricambi. Prima di tutto dai motori, i leggendari Minarelli e Franco Morini,  propulsori a due tempi solidi e veloci, che insieme ad altre parti offerte dall'ingrosso, venivano assemblati dai vari marchi che si diversificavano soprattutto per scelte estetiche, offrendo prodotti originali ed efficienti.

Cimatti, Malanca, Testi, Malaguti, Fantic motor, Aspes sono solo alcuni dei marchi più in voga a quel tempo, aziende che misero sul mercato "motorini" passati alla storia, mezzi con ambizioni da fuoristrada o piccoli siluri sportivi dalla guida sdraiata, con cui cimentarsi in disdicevoli sfide imparando nel frattempo ad amare e a guidare la moto.

Il Malanca Testa Rossa (in onore della Ferrari) un leggendario "spianato"

Il mercato di quegli anni  vide anche l'interesse di case che realizzarono propulsori di progettazione propria. La moto Guzzi, la Garelli, la Beta e la Benelli-Motobi, realizzarono dei 48 dotati di buoni motori a due tempi, alcuni con il cilindro cromato che consentiva affidabilità e prestazioni elevate.

Una voce a parte merita la Moto Morini, artefice di uno stupendo motore a quattro tempi che, pur nella sua piccola cilindrata aveva prestazioni di tutto rispetto e si prestava a molte elaborazioni. Il Morini Z 50 Corsarino, era il modello stradale e lo Scrambler, un modesto fuoristrada, ma sogno di ogni quattordicenne. Era la moda; un passepartout per caricare una ragazza e sparire verso i boschi, capelli al vento.


Il Morini Corsarino in primo piano e lo Scrambler dietro

Macchine di nicchia per costo, dotazioni e prestazioni erano le Muller e le Guazzoni, queste ultime equipaggiate con un potente due tempi a disco rotante di derivazione Kart con il quale, numerosi piloti conquistarono importanti affermazioni sportive.

Un'ultima nota di per una marca torinese: la Itom, artefice di veloci 48 sportivi già dagli anni 60. Il più famoso, i'Astor super sport, era affabilmente denominato: l’Itom giallo, a causa della sua livrea. Un modello adoperato con successo anche in gara, così come molti altri, poiché a quel tempo la cilindrata di 50 cmc correva in tutte le categorie, dal campionato della montagna, al mondiale.

Un bellissimo esemplare di 50 da pista motorizzato Minarelli e freni - sospensioni di prima qualità 

Per soddisfare il desiderio di correre, bastava un buon telaio, un motore Minarelli elaborato senza pietà e il "pronti via!" Era a portata di mano con costi risicati, ma non senza speranze. Sono stati tanti i campioni che hanno cominciato così.

La storia delle aziende motociclistiche italiane del dopoguerra è lunga quanto interessante, ma rimanendo nel pianeta dei ciclomotori, la palma del capostipite va al Motom 48, presentato al salone di Ginevra del 1947. Aveva un telaio monoscocca in lamiera stampata e un motore a quattro tempi dai consumi inesistenti (poteva fare 80 km con 1 l). Fu prodotto per vent'anni in oltre mezzo milione di esemplari.

Oggi il mercato offre scooter eleganti e confortevoli però molti sono oggetti senza storia e con gli occhi a mandorla, spesso coreani, indiani, cinesi; qualcuno, e per fortuna, è ancora made in Italy: i migliori. Sono dei mezzi belli e sicuri, con molte cose in più tra le carrozzerie di plastica, ma forse qualcosa manca: è quel fascino di tempi pionieristici, positivi e laboriosi, quando si sorrideva facile e il futuro non faceva paura.

Solita solfa di un vecchio romantico: piccole motociclette antiche, souvenir, diapositive andanti di un'Italia che sembrava più felice, più grande da attraversare e più importante sulla faccia del mondo. Foto in bianco e nero rimaste nella memoria di quegli anni 70 e dei loro piccoli motori allegri e scoppiettanti.

Il Caballero 6 marce, uno degli ultimi e più desiderati modelli da Enduro e poi, iniziò un'altra epoca del trasporto targato 14 anni quella dei "tubuoni e delle evoluzioni del Ciao", ma come si usa concludere… Questa è un'altra storia.

 


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Articolo pubblicato il 18/05/2016