La “Torino noir” vista e narrata da Milo Julini

«…una società di truffatori passabilmente numerosa» nella Torino del 1851

La “Gazzetta del Popolo” del 15 luglio 1851,  lancia l’allarme perché una consistente banda di truffatori opera in città, dove agisce sia barando al gioco sia «con astuzie ed anche colla violenza», che il cronista non ci spiega in dettaglio.

Preferisce dilungarsi sulle disavventure di un sacerdote di Saluzzo, sfortunato non soltanto nelle avventure amorose ma anche al gioco.

Leggiamo: 

«Notizie varie – Torino. – Invitiamo la questura a raddoppiare di vigilanza, venendoci riferto che si è organizzata in questa città una società di truffatori passabilmente numerosa, la quale col mezzo del gioco, e con astuzie ed anche colla violenza esercita il suo ministerio a danno dei forestieri.

Abbiamo sotto gli occhi una lunghissima relazione in proposito.

E dopo questo abbiamo ancora saputo d’aggiunta che quel certo prete di Saluzzo di cui raccontammo la spedizione giù per la scala di una cantina con quella rivenditrice di limoni, ritornato a Torino, fu svaligiato al gioco da alcuni membri della suddetta e non sullodata società.

Così il prete dissoluto e giocatore la pagò salata; ma ad ogni modo la questura provveda celermente e senza pietà contro quei nuovi giocatori d’industria».

Dopo otto giorni, la “Gazzetta del Popolo” deve registrare una “sconfitta” della polizia:

«Notizie varie – Torino. – Sappiamo che la questura fece eseguire vigilantissimamente l’arresto di varii truffatori della nota banda. Ma questi vennero rilasciati dal fisco [Autorità Giudiziaria], perché non colti in sul fatto sebbene fossero trovati ancora con l’oro in tasca. Alla questura non resta che cacciarli nuovamente come vagabondi e malviventi. Rigore per chi truffa, rigore per chi non lavora» (23 luglio 1851).

Oggi per noi è cosa tristemente normale che gli arrestati, indipendentemente dalla gravità del reato commesso, vengano subito messi in libertà ma possiamo comprendere il disappunto del cronista del 1851, che arriva a suggerisce alla questura un capo d’accusa per un nuovo arresto dei truffatori.  

Il cronista, forse senza rendersene conto, stava cogliendo “la differenza fra idea e azione”, come le comari della canzone “Il gorilla” di De André: la liberazione dei truffatori era una conseguenza delle nuove leggi post 1848 che non permettevano più per oziosi, vagabondi e noti malfattori il provvedimento, definito in via «economica», con condanna al carcere senza processo.

L’arresto in via «economica», largamente applicato dalle polizie del regno sardo prima del 1848, era sicuramente detestato dai componenti della redazione della “Gazzetta del Popolo”.

Ma ora, di fronte a una manifesta stortura della giustizia, sembravano quasi rimpiangerlo!

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Articolo pubblicato il 26/08/2016