Olimpiadi: un percorso demenziale. Nibali fratturato, la van Vleuten rischia la paralisi
La campionessa olandese con la testa nel canale di scolo e la schiena contro il muretto

Anno 2016. Correre verso la medaglia sapendo di rischiare la vita.

Anno 2016, Olimpiadi di Rio prova di ciclismo su strada maschile e femminile, l'appuntamento di una vita per ogni sportivo, l'appuntamento con l'ospedale e con il dramma per troppi corridori in un percorso senza senso nei confronti di una parola: sicurezza.

Mentre per molti altri sport la sicurezza è sempre di più priorità degli organizzatori, a Rio de Janeiro ho visto toccare il fondo, mi pare di essere il solo finora a sussurrarlo.

La corsa che saliva tra le favelas della povertà verso il romantico tempietto cinese, per poi destinare a tutte le tv del mondo le meraviglie delle spiagge di Copacabana, è discesa verso uno spettacolo che mi ha fatto rabbrividire.

Per il campione australiano Richie Porte, frattura della clavicola,  per Sergio Heinao, frattura della cresta iliaca, per Vincenzo Nibali, doppia frattura della clavicola e frattura del polso; per questi due ultimi corridori, dopo una gara esemplare è anche svanita la concreta possibilità di una medaglia olimpica.

Vincenzo Nibali a terra nel toboga olimpico, doloroso addio agli allori possibili.   

Ancor peggio è andata alla campionessa olandese Annemiek van Vleuten, lanciata verso la medaglia d'oro che non raggiungerà mai, persa in una spaventosa caduta dalle conseguenze terribili: frattura alla spina dorsale.

Troppi incidenti in soli 6 km di strada: perché?

L’ecatombe si è consumata nell'ultima discesa che portava al traguardo, discesa che le cronache definiscono già sapersi "pericolosa", ma il termine è inadeguato. La van Vleuten non solo ha perso la medaglia, ma rischia di non poter pedalare mai più e tutte le cadute sono avvenute con la medesima modalità e nella stessa parte del percorso. Non è un caso.

Qui il mio ruolo si sposta da opinionista ad esperto di ciò che conta nella vita. Certo sono appassionato di ciclismo, ma anche attento alla sicurezza perché so che cosa vuol dire essere seduti in carrozzina e salutare per sempre certe bellezze del vivere. Ecco perché seguo con trepidazione le discese dei ciclisti con un occhio d'attenzione a quei punti pericolosi dove si dovrebbe porre rimedio.

La strada è pericolosa, non è una pista, ma qualcosa si può fare. C'è voluto il sangue di Fabio Casertelli, medaglia d'oro alle Olimpiadi del 92, morto al tour de France nel 95 per rendere il casco obbligatorio…

la cruda fine di Fabio Casertelli contro un muretto pericolosissimo non protetto

Fin quando non si consumerà un altro dramma contro un paletto di un guardrail, ad esempio (sperando che non accada mai), non ci si accorgerà che ci voleva poco nel metterli in sicurezza, ma per ritornare a Rio de Janeiro, il muretto e il fosso di scarico dell'acqua piovana scavato ai lati della discesa erano una trappola demenziale tanto evidente quanto trascurata sia dagli organizzatori che dai commentatori.

I corridori si sono massacrati proprio per avere infilato questo solco in cemento con il gradino a fianco, e poteva anche andar peggio. Si sono massacrati consapevoli di rischiare, ma qualcuno avrà chiesto il loro parere sul percorso?

Si può arrivare lunghi in una curva, ancor più se pioviggina, ma correggere, ritornare su strada, ma in certi casi no. Se la ruota si infila in un canale di scolo, la caduta è inevitabile, non v'è spazio di fuga né di correzione.

Così è stato, ma ancor prima di ogni caduta, ho ben valutato il rischio esagerato pur stando soltanto davanti al televisore. Poi mi sono chiesto: non v'era un altro percorso? Oppure va sempre bene così perché il rischio fa parte del mestiere? E il dramma del giorno dopo doveva ancora venire

Definire "pericolosa" una discesa così, priva di protezioni adeguate se non alcune blande reti, vuol dire essere disattenti nei confronti dell'incolumità di chi poi dovrà passare di là sapendo di rischiare e doverlo fare. Si sa bene che dove c'è velocità il rischio non manca, le discese e le volate sono un esempio, ma i corridori, sanno e calcolano, però il fattore ambientale conta. Fossero tutti così i percorsi, non esisterebbero più corridori sani. Era una strada indegna per un'Olimpiade, un vero attentato.

Gli ingredienti per un finale molto pericoloso c'erano tutti, ma spettacolo doveva essere, nel bene e nel male, e spettacolo è stato, ma esperto di come si consuma il dramma ho capito subito che una ragazza non sarebbe più tornata a casa sana.

Lo spettacolo che non avrei mai voluto vedere si è consumato e agli appasionati davanti al televisore (quelli che fanno audience), piace veder la corsa, non certo i loro eroi farsi molto, troppo male. Sono certo che in questo caso, molto si poteva evitare soltanto con un po' più di protezioni e di rispetto per la vita di chi pratica questo sport con coraggio e con passione.

Forse è solo il parere di un cronista ex pilota motociclista, oggi testimonial per la sicurezza da troppo tempo invalido e fratturato o c'è qualcosa di vero?

Una bella immagine della sfortunata atleta olandese. Sperando per il meglio, non nel calvario di una lesione midollare. 

Se queste sono Olimpiadi dell'anno 2016 e il fatalismo pare essere la causa di uno spettacolo falsato, triste e deprimente, allora, non a rigor di cronaca, ma per opinione di parte, c'è ancora molto da fare nei confronti di certi sport sui quali non è ancora bastato il sangue versato che si poteva evitare.

 


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Articolo pubblicato il 08/08/2016