Rischio camorra: una continuità criminale che dura dal 1861 ad oggi

Una documentazione storico-giornalistica che conferma questa triste realtà

I mezzi di informazione nazionali (carta stampata, televisioni, internet, ecc.) in questi ultimi tempi ci hanno ampiamente illustrato come il fenomeno criminale della “camorra” infesti, con episodi sanguinari e di intimidazione, ancora la città di Napoli, molti comuni limitrofi e tante altre aree della Campania.

Questa continua e ripetitiva inondazione di immagini di efferatezze, di cui sembra non esserci modo di mettere una volta per tutte la parola fine, lascia al comune cittadino (e all’ opinione pubblica) una duplice sensazione di rabbia e di totale sfiducia nelle istituzioni dello Stato. 


Un sentimento di rabbia perché, davanti ai fondamentali valori che dovrebbero caratterizzare la concezione della “società civile”, non si dovrebbe più assistere impotenti a questi incredibili episodi di criminalità.

Contemporaneamente anche un sentimento di sfiducia in quanto  il cittadino (e questo è l’ aspetto più grave per il tanto inflazionato concetto di Stato di Diritto), dopo più di un secolo di episodi analoghi e continuativi, ha maturato la convinzione che tutte le istituzioni dello Stato, da quelle preposte alla elaborazione delle leggi, fino a quelle che le dovrebbero far rispettare in modo autorevole, si sono dimostrate totalmente inadeguate, inconcludenti e anche finanziariamente onerose per la collettività nazionale.

Pertanto  “il danno e la beffa”, che emergono chiaramente da questa realtà, ci devono ricordare che le istituzioni sono in ogni caso “animate” da individui  che rappresentano quella società politica (o meglio quella “casta politicante”) che da sempre, salvo rare eccezioni, ha contribuito a consolidare, con gravi omissioni e pericolose connivenze, questo stato di cose e a indirizzare troppe energie per la sua ingiustificata autoconservazione.

Questa è la “sensazione-convinzione” che circola nella stragrande maggioranza dell’ opinione pubblica. Un modo di sentire che, in ogni caso, è difficile da contestare, anche se per onestà intellettuale sarebbe ingeneroso confermare in blocco questa semplificazione.

Le Forze dell’Ordine sono, tutto sommato, le prime vittime che sopportano l’urto di un sistema legislativo incoerente, gli effetti della disgregazione sociale,  i comportamentali devianti (si veda la loro aggressione violenta e delinquenziale da parte dei parenti o sodali in occasione di arresti di pericolosi ricercati su mandato della Magistratura) e per ultimo il disagio di retribuzioni  non adeguate alla gravosità e pericolosità del lavoro svolto.  


In sintesi le Forze dell’ Ordine pagano pesantemente l’ impatto di una realtà esplosiva, che devono affrontare in prima persona, ricevendo sovente solo una solidarietà di facciata da troppi cinici rappresentanti delle istituzioni.

Tuttavia l’ Opinione pubblica, che è fortemente impressionata e che condivide il giudizio di cui sopra sulla situazione di illegalità e di violenza della criminalità organizzata in quest’ area campana (e non solo), ha diversi validi motivi per sostenere questa valutazione negativa.

In particolare e non ultimo, quello già menzionato, di un’ ininterrotta continuità “camorristica” secolare: una realtà malavitosa che non si è mai riusciti a disarticolare e bonificare con la dovuta energia ed efficacia.

Inoltre l’aspetto che più turba e indigna è che questo “fenomeno criminale” si è propagato, fin dall’ origine, come un’ infezione pestilenziale confermando la potenzialità di contagiare e di radicarsi in altre componenti socio-economiche sane del Paese.

I casi paradigmatici in merito non mancano, anzi c’ è solo l’imbarazzo della scelta.

Nella pubblicazione Accadde nel 1861 di Maurizio Lupo – editrice La Stampa -  ci si imbatte nell’ articolo: Accadeva il 23 agosto 1861“Rischi camorra nell’ esercito”, molto significativo in merito, che allego integralmente e che invito a leggere con attenzione.

Allarme camorra nel Settentrione”. E’ quanto denuncia in prima pagina la Gazzetta del Popolo venerdì 23 agosto 1861.

Il pretesto è dato dall’ arresto di soldati ex borbonici, confluiti nell’ esercito italiano, sorpresi a chiedere “tributi” ai compagni d’arme con “atteggiamenti minacciosi e metodi camorristici”, subito denunciati da un militare toscano.

Altri episodi erano stati segnalati da altre testate italiane nei giorni precedenti.

Un ex sergente napoletano ad Asti chiedeva denaro ai commercianti in cambio della sua “protezione” ai loro negozi.

E’ stato lui stesso a presentarsi ai Carabinieri per sfuggire “alle ire manesche di chi non accettava le sue pretese”.

A Firenze un altro napoletano “imponeva balzelli a chi avesse avuto vincite al gioco”. “E’ noto che la Camorra esisteva su vasta scala nell’ esercito borbonico e contribuiva potentemente ad accrescerne la demoralizzazione”, commenta la Gazzetta del Popolo.

“Perciò”, prosegue, “non c’è da stupire se dovendo richiamare sotto le armi una parte di quell’ esercito non si possa evitare nella folla di soldati l’ introduzione di qualche camorrista”:

Il quotidiano tuttavia invita le autorità a vigilare “perché la peste della Camorra non acquisti cittadinanza nell’ esercito italiano”. “Si dirà che questa nostra apprensione è del tutto gratuita, perché il carattere dei soldati settentrionali basterebbe da solo a rendere impossibile una simile nequizia. Ma da quanto si incomincia a vedere ….”.

Infatti si è avuto modo ed occasione di vedere …..

La previsione era troppo ottimistica e totalmente errata:  non è stato sufficiente l’antidoto di una cultura di legalità condivisa e testimoniata stabilmente nel settentrione per immunizzare la costruzione della “nuova collettività nazionale” dalla infezione della cultura camorristico-criminale e nello stesso tempo per neutralizzarla.

Illusione tragica che ha stravolto dal 1861 il nuovo Stato italiano, compromettendo la sua credibilità e immagine, il suo normale sviluppo socio-economico-istituzionale fino ai giorni nostri.

Una coincidenza significativa: oggi ricorre il 155° anniversario del poco edificante episodio giornalistico sopra citato.

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Articolo pubblicato il 23/08/2016