C'è poco da aggiungere al titolo.

Zitti zitti, con l'assordante silenzio-assenso delle istituzioni governative e nella generale indifferenza, assuefazione o mesta rassegnazione della taciturna, mite, condiscendente opinione-pubblica interna, la prevista sentenza emessa dall'assemblea straordinaria del 25 luglio entra in vigore: dopo FCA e CNHI, anche la holding capofila Exor, cassaforte delle partecipazioni del gruppo industrial-finanziario della cosmopolita famiglia Ace (Agnelli-Caracciolo-Elkann & Co.), abbandona l'originaria sede legale subalpina, sinora domiciliata presso la palazzina-uffici dell'ex fabbrica storica del Lingotto (*), per salpare col vento in poppa verso lidi paradisiaci fiscalmente e normativamente più favorevoli, quelli di Amsterdam, Paesi Bassi (ovverossia il Belpaese delle Tasse Basse, almeno per le corporation globali, alla faccia delle tanto auspicate armonizzazioni regolamentari dell'Unione Europea!), da gennaio scorso nuova dimora amministrativa addirittura per la Ferrari (**), un tempo simbolo ed orgoglio dell'eccellenza tecnica made-in-Italy. 

Così, oltre alla summenzionata Scuderia di Maranello, famosa, blasonata, ma recentemente poco (con)vincente in Formula-1, pure F.C. Juventus, al pari di altre squadre di Serie A, quali Milan e Inter, sarà posseduta dall'estero.

L'operazione è stata ovviamente concepita allo scopo di "razionalizzare la struttura societaria" e massimizzare gli introiti, cioè sempre solo per pura cupidigia o ingordigia insaziabile d'inodore pecunia (auri sacra fames!), onde mantenere stili-di-vita assai lussuosi e dispendiosi, nonché irrinunciabili... Insomma, non per soldi, ma per denaro.

E pensare che il deus-ex-machina (alla lettera) delle megastrategie aziendali, frate Sergio, l'a.d. di Fiat-Chrysler, folgorato sulla via di Damasco (o Dubai?), alla LUISS, il 27 agosto, in un'inaspettata autodenuncia plateale, aveva proclamato di fronte agli studenti plaudenti che "i mercati non hanno morale" e "c'è un limite al di là del quale il profitto diventa avidità", lui che ha meritatamente guadagnato, tra compensi e bonus in stock-option per il 2015, una cinquantina di esigui milioni, circa 150mila euro al dì, quanti ne riceve di pidocchioso stipendio un normale impiegato (o "sottoposto" fantozziano) in appena cinque-sei anni!...

Adesso, naturalmente, ci si aspetta che il premier rignanese, che occupa Palazzo Chigi, s'affretti subito ad innaffiare di saliva le eleganti scarpe antropodermiche di Yaki, a seguito delle già abbondantemente omaggiate suole del Marchionne (o "Marpionne", secondo il cattivo, immotivato nomignolo affibiatogli da certi maldicenti), per esprimere riconoscenza per tale dono alla madrepatria (?!), matrigna navicella o zattera semiaffondante, da cui costoro, abili sorcini o toporagni saltellanti nel sottobosco dell'economia mondiale, volano via alto, ben lontano dallo Stivale, cui per un secolo han succhiato il midollo e mo' gli danno l'ennesimo calcio in c. (Sarebbero proprio da dichiarare personae non gratae. Tutti e tre i sopracitati.)

Risultato: oggi non esistono più grandi imprese private nazionali. Ottimo, bravi, bis! ("Roba nostra, ne facciamo quel che ci pare!", replicherebbero loro.)

Per completezza, la stessa Giovanni Agnelli S.A.p.A., ultimo anello al vertice della catena di controllo azionario, che custodisce appunto le quote di proprietà dei ricchi membri del nutrito clan di eredi del Senatore, trasloca nelle medesime zone olandesi semi-free, in cui gli utili (specialmente se smisurati, dunque antietici e avidi) sono assoggettati ad imposte leggerissime, quasi impercettibili, tendenti allo zero assoluto (poiché l'onere e l'onore di strapagare i balzelli pesanti, insopportabili, capaci di sorpassare in percentuale la metà del sudato salario o reddito lordo, fagocitandolo, i signori giustamente lo considerano uno sfizio da lasciare a noi semplici mortali, al popolino-bove che vuol esser munto ogni santo giorno che Iddio manda in Terra, miseriaccia ladra!).

Un brutto colpo-al-cuore per i bogianèn. A Torino non resta niente.

Parol(acci)a di

CiNico Venti

(gufante civettuolo barbagianni non allocco

latore di pessime nuove)

(*) Il disamoramento (se mai c'è stato sincero sentimento) degli Agnelli per Torino e l'Italia, più che a una separazione consensuale, o a un divorzio conflittuale, assomiglia ad un abbandono del tetto coniugale; dovrebbero rifletterci quelle moltitudini di affettuosi sudditi - oggi ancora in vita - che nel 2003 si misero in fila per ossequiare il regale feretro di Gioanìn Lamiera, cioè l'Avvocato con la 'A' maiuscola: forse un caso collettivo di sindrome di Stoccolma... Cornificati e mazzuolati. Contenti?