Stupri, video e omertà: storie che non avremmo voluto raccontare.

Il dramma inascoltato di tre ragazze italiane.

Quello che mi spinge a uscire fuori dai confini politici di cui spesso mi occupo, è lo sdegno per tre notizie che da giorni occupano le principali testate giornalistiche.

Tre  fatti di cronaca molto distanti tra loro, per età dei protagonisti, ceto sociale, collocazione geografica,e modo in cui sono avvenuti, ma che hanno catalizzato l’attenzione dei media nazionali, e che sono collegabili tra loro da alcune analogie. Ma andiamo per ordine.

Il primo è un suicidio. Quello di Tiziana Cantone, ragazza di 31 anni di Napoli, finita un annetto fa nell’occhio del ciclone per esser stata protagonista di un video hard che coinvolgeva lei e l’amante.
Il video, scambiato tra colleghi su whatsapp, era poi diventato virale, trasformandosi in poco tempo in un vero e proprio tormentone del web.
Giornalisti, curiosi e morbosità dei conoscenti avevano portato la ragazza che lavorava nel negozio dei genitori, prima a cambiare città, poi ad avviare le pratiche per il cambio del cognome.
Continuamente perseguitata dal video, era finita in un cono di depressione dal quale non è riuscita a risollevarsi. E’ stata trovata ieri nello scantinato della sua abitazione. Impiccata.

Il secondo  è uno stupro, portato avanti da un ragazzo di origine albanese nei confronti di una ragazza diciassettenne, in discoteca nel riminese, ubriaca e incapace di intendere e di volere.
Il caso, orrendo di per sé, assume tratti inquietanti a cause delle amiche che, invece di chiamare le autorità o cercare di bloccare la violenza, filmano tutto da una fessura nel bagno e il giorno dopo si scambiano il materiale tra i loro cellulari, scherzando sull’accaduto.
Sarà la vittima stessa, preso possesso dei video, ad avvisare la madre che sporgerà formale denuncia ai Carabinieri.

Il terzo è un altro stupro, consumato in un paese vicino Reggio di Calabria da parte di alcuni ragazzi ai danni di una tredicenne. Il paese è Melito di Porto Salvo, e molti dei carnefici risultano imparentati con la ‘ndrangheta.
L’abuso sulla ragazzina dura tre anni, con la complice omertà del paese e dei genitori che, avvisati dagli insegnanti per un inquietante tema scritto dalla piccola, han preferito ignorare la realtà per evitare la perdita della reputazione.
Qui la storia è totalmente diversa, gravata dal peso dalla mafia e dal velo di omertà che si respira in certi paesi del profondo meridione.

Tuttavia le tre storie, orripilanti e così distanti tra loro, sono accomunate da alcuni punti.

L’indifferenza degli spettatori, per esempio.
Se nel primo caso la negligenza da parte dei colleghi -comunque condannabile-  è attenuata dal consenso iniziale della ragazza, negli altri due casi ciò che fa gelare il sangue è l’omertà che si respira.
Un’omertà atavica, che coinvolge tutto il paese, dai parenti della vittima ai conoscenti nel caso di Melito; un’indifferenza inspiegabile e ancora più assurda quella palesata dalle amiche della giovane in discoteca, più interessate a farsi la risata e a riprendere l’accaduto che non a proteggere l’amica, in evidente stato di debolezza.

Vi è poi da registrare  questa necessità di filmare tutto ciò che capita, anche le scene più intime o scabrose, così palese quando degli adulti decidono di scambiarsi video hard su wathsapp e diffonderli, o delle amiche quando pensano a filmare una scena di stupro piuttosto che attivarsi per l’amica.
Si registra tutto, come se avere traccia sul proprio cellulare per poi poterla diffondere sia una condizione irrinunciabile.

Si dice che una volta non è che non capitavano certe cose, ma semplicemente non venivano diffuse perché nessuno era dotato di uno smartphone con fotocamera .
Probabile.
Anche se filmare una scena e riprodurla può portare a conseguenze gravi, ancora più gravi dell’atto stesso: come l’essere ricattata, o perseguita da un contenuto; per non parlare del rischio di emulazione che si può verificare.

C’è poi la vittima sui cui pesa anche una sorta di colpa.
La colpa di essere abusata, nei bagni di una discoteca, o da un gruppo di mafiosi, e nessuno sembra voler puntare il dito verso i veri responsabili. Nel primo caso, l’ho già scritto,è sbagliato parlare di vittim, ma affiora un antico pregiudizio per cui se una donna viene ripresa a fare determinate cose è una poco di buono,da dileggiare e offendere,mentre nel caso contrario, lui è un eroe a cui vanno i migliori riconoscimenti.
E infatti, dell’uomo nel video, nessuno ha mai accennato.

Infine, lo svilimento per la persona.
Ecco, forse è proprio questa la cosa che indigna di più.
In tutti e tre i casi ciò che mi ha colpito è l’assenza di sensi di colpa, di remore, di attenzione nei confronti di chi poi avrebbe pagato le maggiori conseguenze.  Nessuno che si sia messo nei loro panni, che abbia cercato di proteggerle, anzi, nel primo caso i grandi giornali ne han fatto diventare un tormentone mediatico, la storia pruriginosa capace di attirare molti click.
Le reazioni psicologiche vengono perlopiù ignorate.
Lo spettacolo, rigorosamente filmato, è fornito: benvenuti nella nuova era.

 

 

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Articolo pubblicato il 15/09/2016