Gli Immortali – “Marnie”

Controverso capolavoro di Hitchcock, psicoanalitico e disturbante, con Tippi Hedren e Sean Connery

Anno: 1964

Titolo originale: Id.

Paese: USA

Durata: 130 minuti

Genere: Thriller

Regia: Alfred Hitchcock

Soggetto: Winston Graham (romanzo)

Sceneggiatura: Jay Presson Allen

Cast: Tippi Hedren, Sean Connery, Diane Baker, Louise Latham, Alan Napier

Nel 1964, dopo il grande successo di botteghino de Gli uccelli, Alfred Hitchcock diresse Marnie, thriller psicologico e morbosamente introspettivo tratto dal romanzo omonimo di Winston Graham di pochi anni precedente.

E’ l’ultimo film del maestro del brivido che vede la sua storica collaborazione con il direttore della fotografia Robert Burks, con il montatore George Tomasini e con il compositore Bernard Hermann, tre firme che contribuirono non poco a rendere riconoscibili le opere del regista. Dopo che diverse mani tentarono di adattare il romanzo, Hitchcock decise di affidare la stesura della sceneggiatura a Jay Presson Allen, sceneggiatrice che, come da desiderio del regista, riuscì a conferire al film quel punto di vista prettamente femminile indispensabile per un film tanto intimo e dal forte taglio soggettivo.

Qui si narra la storia della bella protagonista Marnie, che con fare elegante e altero riesce a farsi assumere da ingenui datori di lavoro che poi si ritrovano con le casseforti svuotate e nessuna traccia della ragazza. Affezionata alla madre, verso la quale prova un disperato affetto e un misterioso e malcelato senso di colpa, Marnie ricorre spesso a camuffamenti per cambiare città e identità. La riconosce però il ricco Mark Rutland, direttore di una casa editrice che decide di assumerla e osservarla. Quando la ragazza deruba anche lui, Mark le offre di dimenticare il passato e sanare i suoi debiti a patto che si sposino, senza però conoscere ancora a fondo i segreti dell’animo turbato di Marnie.

Definito da Truffaut “un grande film malato”, Marnie ha fin dalla sua uscita diviso i pareri di pubblico e critica, soprattutto in forza della sua natura psicoanalitica, di scavo profondo e feroce in temi all’epoca piuttosto audaci; il sesso, la paura di esso, la deviazione, il senso di colpa hanno nel film un ruolo fondamentale, descritti in maniera piuttosto esplicita e disturbante.

I due protagonisti sono personaggi complessi la cui lettura risulta tutt’altro che univoca: Marnie è una ladra di professione, non sopporta di farsi toccare dagli uomini e anzi va fiera della sua indipendenza e freddezza, è terrorizzata dai temporali e dal colore rosso e rifiuta testardamente l’aiuto offertole da Mark; un personaggio al limite dell’antipatia, ma non meno ambiguo di quello di Mark, solo in parte gentile innamorato pronto a salvare la fanciulla in pericolo, ma in realtà divorato dal desiderio di possedere la donna, di “correggerla” con tutti i mezzi.

L’apice di questo rapporto anormale è la disturbante sequenza dello stupro, che Hitchcock risolve magistralmente senza mostrare, con un primo piano sul volto lapideo e gli occhi sbarrati di Marnie, che prosegue con un’inquadratura del mare attraverso l’oblò della nave su cui i neosposi si trovano in luna di miele.

Alcune delle critiche negative al film susseguitesi negli anni individuarono (a torto) nelle interpretazioni degli attori protagonisti un punto debole. Hitchcock avrebbe voluto per il ruolo di Marnie la sua adorata Grace Kelly, la quale rifiutò a malincuore poiché da neo-principessa di Monaco non sarebbe stato opportuno accettare di interpretare una cleptomane sessualmente disturbata. Il ruolo era fortemente voluto da numerose attrici, tra le quali Hitch scelse Tippi Hedren, appena diretta in Gli uccelli, e la storia vuole che il regista fosse ossessionato della donna al punto che i rapporti tra i due si guastarono irrimediabilmente sul set a causa dell’invadenza dell’uomo nella vita privata dell’attrice.

Ciò che scaturì dalla nuova collaborazione fu un’interpretazione intensa e sofferta, dove la granitica volontà di combattere e la disperata ricerca di affetto ed espiazione lottano nei grandi occhi blu perennemente spalancati, perfetto contraltare all’ostinazione quasi spietata del Mark di Sean Connery, principe azzurro e carnefice a un tempo. Due ruoli complessi e dalle mille sfaccettature, perfettamente in equilibrio sulla macchina da suspense creata con abituale maestria da Hitchcock.

Meno vertiginoso di La donna che visse due volte, condivide però con la pellicola del 1958 la forte impronta psicoanalitica (qui lasciata soprattutto da Mark, infine terapeuta e guaritore dei traumi della sua amata), e gli elementi intensamente onirici, come i ricorrenti incubi di Marnie sull’episodio che la segnerà per tutta la vita. Particolarmente efficace l’utilizzo espressionistico del colore, aiutato da un Technicolor saturo: su tutti il rosso, che causa alla protagonista violenti spaventi a partire dal mazzo di gladioli che vede in casa della madre; poi il bianco, simbolo di lontananza dall’elemento maschile, quindi di sicurezza; infine il giallo, il desiderio, il colore della vestaglia indossata da Mark nella sequenza della cabina.

Marnie ha certo dei difetti; gli effetti speciali come i fondali in auto e nelle cavalcate della donna oppure lo scorcio della via dove abita la madre con enormi navi sullo sfondo sono troppo grossolani ed evidenti per essere casuali. Non sarà forse noto quanto altre pellicole dirette da Hitchcock, ma indicarlo come un prodotto minore e meno riuscito è quanto mai distante dalla realtà.

Rivedendolo ancora oggi si potrà scorgere quel potere allucinatorio che Hitch e pochi altri sapevano infondere nelle loro opere, a braccetto con una buona dose di emozioni e turbamento che svelano come morbosità e tenerezza possano convivere e che inscrivono a pieno titolo il film tra i thriller più riusciti di sempre.


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Articolo pubblicato il 30/09/2016