I campioni del pedale tra le sabbie del deserto
Omaggio a Peter Sagan campione del mondo 2016

Uomini allo sprint mentre l'occhio si perde tra opere immense e monumenti che segnano la nascita di una nuova era

Per gli amanti del ciclismo questa stagione sembra non finire mai. In ottobre i campioni del pedale si sono trasferiti tra le dune degli Emirati Arabi, con i mondiali disputati a Doha e la seconda edizione dell’Abu Dhabi Tour attualmente in corso. Nuovi angoli del pianeta che si aprono a questo sport, e la disputa non finirà qui.


Da un punto di vista altimetrico, tutto ciò che si è visto finora era scolpito per soli arrivi in volata. Si sa, non vi sono importanti dislivelli in quella parte del mondo, ma le dispute pazzesche tra i maestri dello sprint hanno sempre il loro fascino mozzafiato.

Quell'ultimo chilometro a gran velocità non ha deluso l'attesa che, ad ogni arrivo, ha visto fiondarsi verso il traguardo i soliti nomi: Mark Cavendish, Enea Viviani, Tom Boonen, Michael Matthews, Giacomo Nizzolo e infine, Peter Sagan, il vero mattatore, per la seconda volta campione iridato.

L'unica asperità è stata l'Jabel Hafeet, montagna di 1.000 mt. al confine con l'Oman che ha visto trionfare Tanel Kangert, buon banco di prova per rivedere all'opera Contador e Nibali. Oggi ultima tappa del tour in notturna sull'avveniristico circuito automobilistico di Yas Marina.

Uno splendido show che vale bene il biglietto di mamma Rai sport, ma strada facendo, l'occhio si è fatto sedurre da un altro spettacolo. Un contorno panoramico che mi ha dato da pensare.

Dopo alcune sortite tra le sabbie del deserto, le corse si sono disputate su splendide strade che si inoltravano tra spiagge, giardini, grattacieli e ponti di incredibili città che paiono spuntate da un esagerato nulla difficile da decifrare.


Mentre la vecchia Europa annaspa in cerca di se stessa e la nostra Italia, patria di cultura e civiltà, lascia che le uniche, irripetibili vestigia del suo passato si sgretolino senza porvi rimedio, in quel lembo di penisola arabica, l'architettura e la cultura stanno dando origine a una nuova, organizzata, meditata civiltà che mi ha trasmesso un profondo senso di rispetto.

Mentre i corridori si incalzavano in quello scenario fantastico, sedotto dall'urbanistica e dalle imponenti opere architettoniche nate su immense isole artificiali strappate al mare, continuavo a pensare alla nostra terra nelle mani di malapolitica, burocrazia corruzione e mafia, mali incurabili dell'Italia e della sua storia.

Tra le sabbie di quel deserto invece, un fermento creativo ha gettato le fondamenta d’una nuova area geografica dominante e probabilmente, destinata a durare. L'architettura è da sempre la massima espressione della civiltà dei popoli. Le nuove città poggiate sulle isole di cemento, con la loro tipologia avveniristica, ma sempre di chiara fattezza araba si mostravano al mondo come per celebrare con consapevolezza la nascita di una nuova era.

Tra le sabbie del deserto ho visto il futuro che è già là. La realtà parla da sé e, da mediocre architetto qual forse sono, mentre le telecamere indugiavano tra i primi piani dei campioni e i campi lunghi su incredibili città, ho provato ammirazione, invidia e un po' di tristezza.

La bellezza segue delle regole matematiche: simmetria, sezione aurea, prospettiva, equilibrio, centralità. Le ho trovate rispettate. Gli stili sono la testimonianza di un tempo, un popolo e un luogo, sono geometrie e formule; invenzioni greche e poi romane, riscoperte nel Rinascimento e qui da noi dimenticate dal barocco in poi.

Ogni civiltà ha il suo momento e le telecamere che inseguono uno sport capace di portarci a spasso per il mondo ne restituiscono le testimonianze all'occhio attento.

 

 

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Articolo pubblicato il 23/10/2016