L’asse Torino-Milano che svantaggia Torino

Aumentano i costi per i pendolari sulla tratta Torino-Milano alta velocità e scoppia la protesta

Quando anni orsono iniziò ad entrare in funzione la linea ad alta velocità Torino Milano e l’abbonamento a un freccia rossa costava 150 euro contro i 459 euro di oggi, si fece un gran parlare di una collaborazione tra le due città, della possibilità di nuove opportunità di lavoro, di investimenti, di sinergie anche tra le Camere di Commercio dei due capoluoghi, il tutto con il buono proposito di creare una macroarea lavorativa e culturale che sarebbe potuta diventare fortemente competitiva anche a livello internazionale.

Tralasciando ciò che già ho avuto modo di denunciare sulle pagine di questo giornale (settembre musica che diventa MiTo, i grandi editori che abbandonano il ventennale salone del libro per andare alla corte meneghina, la mostra su Manet promessa a Torino ma che verrà allestita a Milano), ora è la volta dei circa 1500 pendolari che da Torino vanno a lavorare giornalmente a Milano e che si trovano a dover pagare più di 450 euro al mese per spostarsi.

Si badi che Milano nulla a che vedere con questi folli aumenti, ma il risultato è sempre il solito: nel progetto Torino-Milano macroregione, sono Torino e i Torinesi quelli a farne sempre le spese maggiori, a dimostrazione che l’asse tra le due città tende a potenziare più Milano che la macrorarea virtuale.

Il governatore della Regione Chiamparino ha già detto a gran voce che si batterà affinché vengano ridimensionati gli aumenti, da un lato, e a trovare nuove strategie, come i treni regionali “fast” (un’ora e venti circa contro i cinquanta minuti dei freccia rossa!) dall’altro, ma certamente i dubbi sono parecchi sui possibili risultati.

A pensare che un pendolare possa festeggiare a prendere un regionale “fast” più veloce di un freccia bianca ma assai più lento di un freccia rossa, o che un Torinese possessore di Abbonamenti Musei si senta sollevato dall’andare a vedersi la mostra su Manet a Milano grazie al super abbonamento Musei che comprende anche i musei meneghini, è solo fumo negli occhi per chi si rende chiaramente conto che Milano è sempre più forte e Torino è sempre più Milano 4 (Milano 2 e 3 esistono già e sono vicini al capoluogo lombardo).

La realtà dei fatti è che, per evitare che ci siano così tanti pendolari verso Milano, bisognerebbe creare più opportunità di lavoro per i Torinesi, cosa che non avviene ormai da diversi anni.

Sulla faccenda legata poi alla guerra che Trenitalia fa ai pendolari, occorrerebbero diverse pagine, il tutto a dimostrare quanto questo nostro Paese tenti di innovare, ma poi fatto un passo avanti ne fa due indietro.

Trenitalia ha sempre sostenuto che i pendolari pagano in proporzione troppo poco una poltrona che sulla tratta Torino-Milano costa ben 32 euro e invece a loro costerebbe a conti fatti circa un terzo, dimenticando, però, che, soprattutto in certe fasce orarie (diciamo 10:00 – 16:00 e dopo le 21:00) e in certi periodo dell’anno non particolarmente turistici, quelle 11 carrozze del freccia rossa rimarrebbero pressoché vuote, per cui Trenitalia dovrebbe solo ringraziare i pendolari che con la loro presenza garantiscono il pieno del treno e, da questo febbraio, anche il pagamento dell’abbonamento mensile già quindici giorni prima della fine del mese.

Martedì, primo giorno per abbonarsi a febbraio, il sito presentava il nuovo abbonamento a fasce orarie, con la fascia 9-17 che però dava erroneamente come ammissibili anche i treni prima e dopo tali orari; talvolta se si prenotano i posti a sedere in biglietteria invece che dal sito, le prenotazioni non sono visibili dalla app di Trenitalia; spesso i freccia rossa sono in ritardo; si pretende che i pendolari prenotino i posti a sedere, pena la multa di 10 euro, peccato che da qualche mese la maggior parte dei freccia delle fasce pendolari siano i nuovi freccia rossa mille con ben 3 vagoni in meno.

Perché dunque perseverare a mettere i bastoni tra le ruote a chi si reca a Milano per lavoro e non per shopping? Chi il lavoro non ce l’ha ha i suoi problemi, chi il lavoro invece ce l’ha lo si lasci almeno lavorare senza contribuire indirettamente a fomentare un disagio che la crisi e la forbice sociale in atto da anni hanno già contribuito a far emergere.



Marco Pinzuti

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Articolo pubblicato il 20/01/2017