Torino, Possiamo ancora vantarci dei nostri caffè storici?

E’ peggior l’ignoranza o il dilettantismo? Giudichino i lettori. Intanto Giachino li difende

Siamo purtroppo abituati, in questi tempi ad assistere a trasferimenti di attività o iniziative nate e consolidate a Torino, verso altri lidi nazionali o internazionali.

Diamo sovente la colpa alla globalizzazione od alla qualità approssimativa dei servizi offerti dalla nostra città e per la ormai nota e cronica carenza delle infrastrutture viarie, ferroviarie ed aeroportuali.

I precedenti sono antichi, purtroppo. Dal cinema di Pastrone, alla Rai, ai telefoni, al Samia, per tornare indietro nei tempi.


Se ci soffermiamo  al 2016, hanno lascito il Lingotto l’Expoferroviaria, destinazione la Fiera di Rho, seguita dal Salone del Libro, con il ministro Franceschini che si è letteralmente beffato della città ritirando la promessa partecipazione del Ministero al residuo di Fiera rimasto, senza che il sistema Chiappendino muovesse un battito di ciglia.

Per non parlare del sistema della Logistica e la FCA, che facendoci scordare la Fiat,  privilegia sempre più, oltre gli  Stati Uniti, gli incrementi occupazionali negli stabilimenti del sud Italia, a discapito della nostra città, con tutti il codazzo dell’indotto al seguito.

Per quanto concerne la cultura, i torinesi, sin ad ora disinformati, stanno masticando amaro per il trasferimento a Catania di reperti custoditi nei magazzini dell’Egizio che invece di seguire altre più nobili destini a Torino o in un progetto di “Egizio itinerante”, planano al sud, dopo accordi sotterranei tra la Fondazione del Museo e la chiacchierata amministrazione comunale della Città Etnea (Forza Etna è lo slogan che sta riprendendo fiato!).

A prescindere dalla formali assicurazioni di presidenza e direzione dell’Egizio, questa decisione sta assumendo il significato di uno spregio ad uno dei primati d’eccellenza per Torino.

Sino ad ora hanno resistito i palazzi storici e le preziose raccolte Museali della Torino sabauda, seppur pessimamente presentati ai visitatori.

Tanto per fornire qualche esempio,  Il Polo reale, è costantemente visitabile in visione ridotta, le biglietterie di Palazzo Madama e della Reggia di Venaria sono, mal ubicate e gestite alla buona, contribuendo a creare  code e confusione.

Purtroppo la tanto decantata  politica aperta ai turismo, che nelle enunciazioni dovrebbe salvaguardare l’occupazione e le attività del terziario, é gestita da incapaci, presuntuosi e pasticcioni.

Ma almeno le strutture, le chiese  ed i palazzi resistono e nessuno potrà trasferirli altrove. Come la cupola di San Lorenzo, magnificenza di Guarino Guarini, lo splendore dell’architettura Juvarriana e l’eleganza e la ricercatezza della Torino dei secoli passati che ad ogni contatto il torinese d’antan e di nuova venuta, ammira compiaciuto.

Tra questi preziosismi non possiamo dimenticare i caffé storici, dove è passata lo Storia di Torino, dalla politica in senso nobile, alla letteratura, attraverso le pagine dei maggiori scrittori, da Gozzano, a Soldati, a Piovene per citare i principali, alla musica, sino alla nascente industria nascente tra ottocento e novecento e lo sport.

Ha destato quindi compassione più che risentimento, leggere il resoconto di uno scribacchino che su “Stile”, un settimanale sconosciuto ai più, sotto il titolo”  Per piacere, non chiamiamoli bar”, Ha descritto i caffé storici d’Italia, ignorando totalmente Torino.

Mino Giachino un giornalista ed ex politico di livello nazionale, che prima ancora è un fiero torinese,  non s’è lasciato scappare l’occasione ed ha scritto una lettera al direttore di quel giornale per stigmatizzare” la completa assenza dall’articolo in questione, dei Caffè storici di Torino che , appunto, storicamente, sono , senza sminuire i Caffè di Milano, Trieste, Firenze, Roma e Napoli, forse i più importanti del nostro Paese”.

“Dai Caffè frequentati dai Savoia, da Cavour, ai Caffè frequentati dai nostri uomini di cultura di fine Ottocento”. 

Inutile precisare come questa presa di posizione sia stata apprezzata da molti torinesi che sono e restano fieri di una caratteristica che testimonia ancora le imprese ed i ruoli che Torino ha ricoperto nella storia.

Per evitare altre dimenticanze ci pregiamo di elencare i caffé storici che ancor resistono, scusandoci per le inevitabili dimenticanze.

Iniziamo da “Al Bicerin” dove Cavour e Crispi erano clienti abituali e dove nel 1763 è nata la squisita bevanda a base di caffè, cioccolata calda e crema di panna, per trasferirci da Mulassano, ove gli artisti del Regio e i notabili di Casa Reale potevano gustare il tramezzino, per spostarci alla liquoreria Platti, ritrovo abituale di Cesare Pavese e Giulio Einaudi.

Non dimenticheremo  di certo la confetteria Stratta, aperta nel 1836 nel salotto di Torino ove ancor si gustano le meringhette di Cavour, per ritrovare  un’altra istituzione storica che risale al 1875, il Baratti & Milano ove Guido Gozzano ammirava le signore della buona borghesia che gustavano la densa cioccolata calda che allora, come oggi ha incoraggiato elisiache corrispondenze di amorosi sensi.

La tradizione politica d’eccellenza si trovava in un locale fieramente citato anche da Giachino, il Fiorio” Come si fa a dimenticare che Re Carlo Alberto al mattino chiedeva ai suoi collaboratori "Che si dice stamane al Caffè Fiorio?" Un Caffè del 1780 ancora intatto?”.

Faremo un torto agli ultimi decenni del 900 senza citare un elegante American Bar di corso Matteotti oggi ridotto pressoché a tavola calda.

Negli anni ’80, nel corso delle indagini sulla tangentopoli torinese fu scovato, tramite un microfono nascosto nel salino da parte dell’autorità inquirente, un tozzo assessore regionale della giunta socialcomunista di allora, mentre contrattava tangenti, seduto nell’accogliente saloncino.

Ma questa è un’altra storia!

Per la cronaca, costui, cambiando disinvoltamente sigla ha continuato sino all’anno scorso a rivestire incarichi istituzionali.

La corruzione del tempi?

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Articolo pubblicato il 13/02/2017