Primavera horror

Tre film spaventosamente belli consigliati per celebrare il cambio di stagione... STAY TUNED!!!

Potrebbe sembrare che la primavera male si accosti col genere cinematografico dell'orrore, come stagione e significato stesso della parola, in quanto rinascita della natura e ritorno ai climi più miti dopo le temperature ostili dell'inverno.

Come potrebbe una stagione cosi' verde e rigogliosa assocciarsi a un genere di film il cui scopo è provocare disagio, spavento o raccapriccio?

In realtà il genere horror è nato assieme al cinema, portando una nuova primavera di arte grazie al mezzo che racchiude tutte le arti per definizione, pur essendo qualcosa di perfettamente autonomo e a sè stante che vive di regole proprie.


Vampiri, golem, morti viventi, licantropi e mostri di ogni natura e grandezza hanno sempre invaso le sale fin dai tempi del "Nosferatu" di Murnau degli anni '20 per arrivare fino ai moderni zombie Romeriani, evoluzione naturale degli antichi morti viventi dove però più che la magia e la paura contava il vero orrore insito nell'essere umano, lo sbranarsi a vicenda delle folle accecate dall'isteria del consumismo e la sua fondamentale inestricabile idiozia autodistruttiva.

La faccenda si fa ancora più interessante se scendiamo nella natura più recondita di questi mostri.

Innanzitutto cosa vuol dire la parola "mostro"? Potrebbe sorprendervi che la parola in sè, dal latino "monstrum" significa in realtà "prodigio" o "segno divino", una creatura fuori dall'ordinario che viola le regole della natura; ben lontana quindi dalla moderna idea di essere per cui si prova ribrezzo o paura come significa invece per la sua controparte etimologica cinematografica.

E cosa sono molti di questi mostri se non miracoli viventi, primavere umane di rinascita dotate di forza sovrumana o poteri quasi divini, uomini o creature sfuggiti alla morte o scampati a terribili disgrazie che ne hanno trasfigurato i lineamenti ma conferito virtù molto spesso sovrannaturali e prodigiose.

Mostri che poi sono tutt'altro che spietati e senza cuore, come Dracula per la sua amata Mina o il povero mostro di Frankestein in cerca di compassione e un suo posto nel mondo; per arrivare ai più cinematografici grandi classici come "Un lupo mannaro americano a Londra", dove il mostro vuole vivere per amore ma anche senza sacrificarsi personalmente, condannando egoisticamente le sue vittime a un eterna vita senza morte.

Per i tre film che abbiamo scelto oggi l'argomento e il genere nel genere può sembrare forse diverso, ma in realtà sono accomunati da quanto detto sopra, la meraviglia e lo stupore dello spettatore dinanzi a qualcosa di spaventoso e sovrumano; meraviglia che se ben ci pensiamo è poi la radice stessa sulla quale germoglia e matura il cinema.


THE MONSTER (2016 - Bryan Bertino)
Cominciamo subito con questa piccola chicca di provenienza americana, un film horror a produzione veramente low-low budget (parliamo di poco meno di 3 milioni di dollari stimati in tutto) ma davvero ben riuscito dal punto di vista cinematografico.

Molto semplicemente, una donna e sua figlia hanno un incidente d'auto e mentre aspettano i soccorsi vengono aggredite da un misterioso "mostro" uscito fuori dal bosco che circonda la strada abbandonata.

Un bel film costruito saggiamente sul rapporto conflittuale tra madre e figlia, deteriorato dal tempo che ci viene narrato in una serie di flashback mai banali e sempre connessi alla loro situazione di pericolo nel presente.

Una madre sciatta, ubriacona e inaffidabile interpretata da una ottima Zoe Kazan; spesso insofferente alla figlia che a tratti sembra più matura di lei, nonostante provi verso la stessa un indiscutibile affetto materno.

Affetto che la bambina (una altrettanto brava Ella Ballentine) accetta sempre con riluttanza in quanto conosce bene la poca forza di volontà della donna nel resistere ai suoi demoni, corroborata da un compagno che è ancora peggiore di lei istigandone ancora di più la ferocia autodistruttiva del suo alcoolismo.

Un piccolo nucleo familiare diviso che si troverà riunito nell'affrontare la feroce creatura del bosco, furtiva e invisibile quasi in modo sovannaturale, sempre o quasi un ombra che si muove di nascosto tra gli alberi o le macchine disseminate sulla strada, aggredendo i soccoritori giunti a salvarle e non lasciando loro altra scelta se non unire le forze per combatterlo.

Un ottimo film a basso costo, realizzato con diverse sequenze horror davvero efficaci e una coppia di protagoniste ben azzeccate; unite poi a pochi frammenti di storia in flashback davvero ben diretti, congegnati e inseriti nel contesto della parte horror; crudeli spezzoni di vita lontani dai facili sentimentalismi e cattivi e crudeli tanto quanto il misterioso "mostro" di cui sono prigioniere.


THE AUTOPSY OF JANE DOE (2016 - André Øvredal)
Già autore dell'interessante "Troll hunter", Øvredal è tornato di recente al cinema con questo suo film (in Italia distribuito più semplicemente col titolo di "Autopsy") praticamente tutto ambientato in una camera mortuaria della Virginia.

E' qui infatti che un vecchio medico legale e suo figlio, il solito bravissimo Brian Cox affiancato da un buon Emile Hirsch, ricevono a notte fonda il cadavere di una giovane donna senza nome e apparentemente senza causa di decesso.

Una sfida investigativa che si trasformerà ben presto in una lotta all'ultimo sangue per sopravvivere, quando il corpo della giovane "Jane Doe" (nome di comodo affibbiato agli sconosciuti senza documenti d'identità negli States) si rivela un intrico di indizi abbinati ai riti magici e satanici usati dai cristiani per combattere le streghe medioevali.

Un ottimo film cucito perfettamente attorno a un ottimo personaggio, quello della misteriosa Jane Doe interpretata da una bellissima e inquietante (anche se ovviamente inespressiva) Olwen Kelly; personaggio che ci viene rivelato strato dopo strato e pezzo per pezzo a mano a mano che il bisturi va sempre più a fondo e procede l'esame e l'indagine sul suo corpo.

Veramente ottima visivamente la ricostruzione delle sezioni con cui i due medici analizzano il cadavere della giovane donna, realistica e sanguinolenta quanto basta nel suo puro lato visivo, ma anche fantasiosa quanto serve per mantenere sempre alta l'attenzione e la tensione dello spettatore.

Un mostro che in questo caso (senza rovinarvi la storia) si rivela in realtà sia vittima che carnefice, condannata dalla sua stessa natura a perpetrare nel tempo la violenza e i soprusi che ella stessa a subito; pur senza innocenza e con tutto il diabolico piacere per la vendetta di un mostro che terrorizza il pubblico pur non muovendo un dito per tutto il film.

Altrettanto valido il mestiere di Øvredal alla regia, forse un pò scontato per qualche scena "jumpscare" a facile e scontato balzo del pubblico sulla sedia; ma sempre con il giusto crescendo di anticipazione e sempre con una buona ingegnosa bravura nelle inquadrature e scelte di musica e montaggio.

Insomma un'altra buona prova per un regista che forse adesso è finalmente pronto per cimentarsi con un film di serie A, anche se in un certo senso speriamo continui a produrre film di serie B se il risultato è quello come questo "The Autopsy of Jane Doe".


CARNAGE PARK (2016 - Mickey Keating)
Dopo due ottimi "mostri" sovrannaturali arriviamo invece a parlare di un uomo in carne ossa, ispirato da reali fatti di cronaca e che il regista mette al centro di una sconfinata porzione di montagne e boschi circondata da una recinzione elettrica che il maniaco usa come sua "riserva di caccia" personale, all'interno della quale braccare e uccidere chiunque e in qualunque modo.

Un killer spietato interpretato dallo sguardo spiritato di Pat Healy, perennemente col suo fido fucile di precisione in braccio e pronto ad elargire a tutti le sue "lezioni di vita" per poi imbottirlo allegramente di proiettili.

Un film divertentemente "Tarantiniano" nel suo incipit, con i due banditi in fuga dopo un colpo dei quali uno dei due ferito sul sedile posteriore in stile "Le iene" e con tanto di ostaggio nel portabagagli stile "Dal tramonto all'alba"; i quali per caso finiscono nella zona di tiro del killer.

Di qui in poi il film si alterna con alcuni flashback nella prima metà anch'essi dai contorni "Tarantineggianti" nei dialoghi e i tagli delle inquadrature, per poi virare decisamente verso la follia e la violenza più di un Rob Zombie e il suo piccolo cult d'esordio "La casa dei 1000 corpi" fino alla conclusione.

Un film anche questa volta con pochi personaggi ma ambientato invece in degli spazi desertici, immensi e assolati che paradossalmente diventano "claustrofobici" per le vittime del maniaco, appostato invisibilmente a distanza e in grado di colpire chirurgicamente chiunque con il suo letale fucile da caccia.

Un film quindi spassosamente "pulp" nella sua prima parte e agorafobicamente "horror" nella seconda metà, in una serie di location via via sempre più folli e sanguinolente come la pazzia implacabile del maniaco protagonista.

Maniaco di cui un già detto ottimo Pat Healy si contrappongono gli ottimi altri attori James Landry Hébert, nel ruolo del pazzo rapinatore Joe "Scorpion" Clay e il suo rozzo e gretto amico Michael Villar; nonchè poi lo sceriffo interpretato da Alan Ruck che da loro la caccia e ha un rapporto molto particolare con il maniaco di cui sopra.

Non da meno per ultima poi non poteva mancare "una regina dell'urlo" per un film del genere, la brava e convincente Ashley Bell, che da timida donna presa in ostaggio si trasforma in una inarrestabile macchina di sopravvivenza non da meno cruenta e spietata tanto quanto il killer.

Un ottimo film insomma per godere una volta tanto degli sconfinati spazi aperti americani in chiave horror, come non succedeva forse dai tempi del mitico "The Hitcher" con il suo grandioso Rutger Hauer in versione autostoppista omicida seriale psicopatico.


COME SEMPRE SPERO DI AVERVI CONSIGLIATO FILM VALIDI CHE POSSANO GUSTARVI, ANCHE SE MI RENDO CONTO CHE L'HORROR E' FORSE UNO DEI GENERI PIU' "PERSONALI" TRA QUELLI CINEMATOGRAFICI, DATO CHE O LO SI AMA O LO SI ODIA SENZA TANTE MODERATE VIE DI MEZZO; SEMPRE CONTANDO ANCHE LA VOSTRA PERSONALE SENSIBILITA' E SOGLIA DI TOLLERANZA VERSO LE SCENE CRUENTE OPPURE QUELLE DI TENSIONE, TENSIONE CHE COME DICEVA IL BUON ALFRED HITCHCOCK QUANDO SI FA "INSOPPORTABILE" SPERIAMO CHE DURI IL PIU' A LUNGO POSSIBILE... PER LO MENO AL CINEMA.

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Articolo pubblicato il 26/03/2017