L’EDITORIALE della DOMENICA di CIVICO20NEWS – di Enrico S. Laterza - Lavorare manca.
C. Ebbets, 'Pausa in cima al grattacielo', RCA Building, Rockefeller Center, New York, 1932, foto © Corbis

E mancherà sempre di più: la rivoluzione tecnologica impone di ripensare radicalmente la nostra vita produttiva e sociale

Una rivoluzione. La terza, la quarta, la quinta… Dopo quella francese, quella industriale e post-industriale, quella informatica e internautica, ecco la intellirobotica.

 

Per semplificare, in due parole, o quattro: la macchina sostituisce l’uomo. Bella scoperta.

 

Proviamo a confrontare l’abbondanza di personale indispensabile al funzionamento delle rotative di una pubblicazione-stampa nel 1970-80 rispetto alla relativa esiguità di adesso (senza considerare l’alternativa del web, che ne annulla proprio in nuce l’esigenza).

 

Il processo, o progresso, ha radici e origini antiche, naturalmente, ma l’accelerazione, cominciata con lo storico utilizzo generalizzato del motore a vapore di James Watt nel settore tessile dell’Inghilterra ottocentesca e successivamente, nel ’900, l’organizzazione fordista della catena-di-montaggio in Nordamerica, è divenuta inarrestabile, quindi, con l’applicazione delle innumerevoli scoperte, specialmente dalla seconda metà del secolo scorso all’inizio del terzo millennio, addirittura frenetica.

 

Per l’Occidente, l’Europa e l’Italietta, prima fu il boom. Poi la globalisation selvaggia, che stiamo oggi sperimentando. No, subendo. Sulla nostra pelle.

 

Occhio – e orecchio – ai termini: finanziarizzazione, mondializzazione, delocalizzazione… Dietro tali orridi neologismi pseudoeconomici si cela “alcunché d’antico”, anzi vetusto: la schiavitù. Non abbiamo paura di chiamare le cose con il loro nome. Però, gli Egizi, i Romani e i sadici signorotti delle piantagioni di cotone della Confederazione (tra cui l’indimenticabile miss Rossella alias Katie Scarlett O’Hara di Via col vento) almeno alloggiavano e nutrivano i servi, avendo cura di non rovinare troppo il “capitale umano” acquistato, che potevano rivendere in caso di bisogno. Gli odierni padroni enne-punto-zero, invece, han licenza di disinteressarsi completamente della sorte della digitale manodopera-manovalanza che “assumono” e im-piegano a paga e costo irrisori, sovente sfruttando e spremendo, tramite modernissime app, i galoppini o fantozziani “inferiori” (assai peggio dei sottoproletari d’antan, tipo Rocco e i suoi fratelli), per cacciarli a pedate nel deretano non appena esauriscono il compito, disturbano o “sforano il budget”, e mettendo in concorrenza le miserie di ogni latitudine, in un contesto di migrazioni epocali. Risultato: in cima alla piramide, un ristrettissimo club di megamiliardari che si spartiscono la torta gigantesca; alla base, una sterminata massa di strapoveri in guerra reciproca per raccattarne le bricioline che cadono dalla tavola del banchetto pantagruelico dei ricconi. Che presente, che futuro!

 

Nel panorama di desertificazione delle aree urbane periferiche, disseminate di scheletri rugginosi di ex fabbriche, nonché fuga indisturbata degli im-prenditori verso le fiscalmente paradisiache Isole Felici Vergini (benché di dubbia illibatezza) o Paesi dai Bassi Balzelli, appare davvero grottesco lo spettacolo dei bradimiranti governanti paleopolitici (orientati alle “prossime elezioni” piuttosto che alle “prossime generazioni”, per citare il citatissimo James Freeman Clarke), ai quali piace vantare le microfrazioni percentuali di variazione in negativo della disoccupazione giovanile, giocando sull’oscillazione degli scoraggiati “inattivi” – sorta di vasi-comunicanti – e contando pure gli ultraprecari dei voucher! Lasciamo perdere. Meglio bersi una birretta, magari una biondiccia Poletti. O scappare all’estero. Di realizzazione e dignità, manco a sognarne!

 

Se la richiesta di risorse e l’offerta di posti cala (per giunta, qui nello Stivale, con l’aggravante dell’aumento dell’età pensionabile, prescritta dalla legge Fornero, su gentile diktat di Bruxelles), necessita investire intensamente sull’alta qualificazione, su ricerca-e-sviluppo, è pacifico.

 

Non basta. Già, perché le diavolerie tecnologiche guidate dalla summenzionata artificial intelligence (cui l’ineludibile Spielberg ha dedicato un memorabile film nel 2001), oltre all’automatizzazione spinta della produzione, alle stampanti-3d (ossia le stereolitografiche – dalle domestiche di pochi grammi alle edilizie o aerospaziali di parecchi metri di grandezza –, da non confondersi con gli aggeggini da copisteria!) et similia, non si limitano a vincere a scacchi: è notizia recente che un androide-computer in metallo, plastica e silicio avrebbe sbaragliato i romanzieri in-carne-ed-ossa, conquistando il premio letterario Nikkei “Hoshi Shinichi” in Giappone. Ed è soltanto l’inizio.

 

(Tra parentesi, quando i geniali algoritmi self-learning dei colossali mainframe cui sarà abbandonato il destino dell’Umanità, ne dedurranno la perniciosità per il Pianeta e le galassie, concluderanno – in ossequio alla classica minaccia distopica fantascientifica – che devono eliminarci, cancellarci dalla faccia-della-Terra.)

 

Persino le formichine cinesi rischiano. Anch’esse saranno presto superflue, non credano.

 

Del resto, non è dagli Anni Cinquanta-Sessanta che gli espertoni ci prospettano, o avvertono, che nella società avanzata ci saremmo affrancati da fatica, sudore e conseguente stanchezza pavesiana e avremmo avuto molto tempo-libero?… Sì, per morir di fame!

 

Sembra dunque così stupida, assurda, l’idea (lanciata dal famigerato bolscevico William Gates III) di tassare i robot stessi? E offrire seria (sottolineasi seria) preparazione professionale obbligatoria, insieme ad un reddito minimo garantito, a quanti si trovano in mezzo a una strada?

 

Pensiamoci.

 

 

Chi non si aggiornaaaa non fa lavorooo, questo mi ha detto ieri la mia scheda-madre.”


Enrico S. Laterza


 

 

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Articolo pubblicato il 09/04/2017