Globalizzazione sferica e globalizzazione poliedrica.

In difesa delle nostre identità territoriali.

Più volte in questo prezioso spazio che ci è concesso su queste colonne abbiamo messo in relazione tra di loro le Pmi e l’identità del territorio, senza affrontare mai esplicitamente ciò che vi è oltre il confine naturale della determinata porzione d’Italia in cui abitiamo e lavoriamo.

Appare chiaro, scorrendo tra le pagine del nostro giornale 2006PIU’ e i contributi per Civico20, che come gruppo non siamo fan della globalizzazione tour court.

Ovvero, quel processo che cancella le particolarità in nome di un’uniformità che è la forma deteriore del mercato.

Di più ci colpisce la formula, usata dal Papa, della globalizzazione come poliedro anziché sfera: intesa come processo sintetico che sa conservare le specificità. Viene da pensare al Pasolini che denunciava l’omologazione linguistica italiana operata dal Boom economico e, quindi, la massaia siciliana che pronunciava frigorifero al pari di quella trentina.

In quest’ottica le Pmi, o quelle grandi aziende che non dimenticano le proprie origini, hanno il giusto rapporto dimensione-radicamento locale, per essere da un lato dei motori di sviluppo e dall’altro dei presidi per la manodopera locale, che così non deve spostarsi in cerca di occupazione, né deve andare a ingrossare le fila di un’azienda, magari multinazionale, totalmente fuori contesto.

Il suggerimento, come gruppo d’imprenditori che non disdegna il lato sociale, è che il mondo dell’impresa impari a conoscere anche gli aspetti culturali negativi di un fare impresa selvaggio.

Così da saper come muoversi per scongiurarli e diventare, come ci auguravamo in un precedente articolo per questo spazio, di farsi parte viva di quell’organismo complesso che è il territorio.

Luca V. Calcagno

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 12/04/2017