In Svezia 60mila potenziali jihadisti.

A rivelarlo non è la statistica di un sito complottista anti-svedese, ma Magnus Ranstorp, il responsabile della lotta al terrorismo jihadista per la polizia segreta svedese e per le forze armate reali.

In un’intervista a Repubblica, infatti, Ranstrop sostiene che ci potrebbero essere: ” circa 60mila potenziali attentatori da espellere. Tuttavia, riguardo il dato, aggiunge: “non li troviamo e non sappiamo combattere contro la cultura dell’odio dei quartieri ghetto”. Il professore è convinto: il modello svedese si rivelerà vincente, ma intanto questi 50-60 mila potenziali jihadisti colpiti da provvedimento d’espulsione non si trovano. ” “Diventare capaci di coordinarci meglio, trovare quelle decine di migliaia di latitanti colpiti da decreti di espulsione. Coordinarci tutti meglio tra europei.

E, compito titanico, trovare il modo di espellerli in corsa, dopo averli trovati. È difficile organizzare capacitá logistiche per respingere 50 o 60 mila persone, e controllare i foreign fighters che emigrano da noi, vanno a combattere in Medio Oriente e poi tornano qui”. Solo a Stoccolma, precisa l’esperto della lotta ai jihadisti, ci sono 3 mila persone soggette a decreto d’espulsione.

Il progetto d’integrazione svedese, in realtà, sembra destinato a fallire. Le periferie somigliano sempre più alle banlieue francesi, sono in mano agli immigrati di seconda e terza generazione provenienti principalmente dall’Africa e dal Medio Oriente. Lo stesso Rakhmat Akilov, il trentanovenne di origine uzbeka. protagonista dell’attentato dello scorso 7 aprile, era solito inneggiare all’Isis sui social network. Proprio come gli altri casi sottolineati da Ranstrop, Akilov era ricercato poiché sottoposto ad un provvedimento di espulsione.

La connessione che lega i jihadisti alla Svezia non è notizia d’oggi: all’inizio degli anni Novanta, infatti, migliaia di persone di origine balcana, somala ed iraquena entrarono in Svezia come rifugiati. Tra questi molti abbracciarono l’ideologia salafita. Le politiche sull’accoglienza sempre e comunque, peraltro, sono in discussione. Lo stesso premier svedese ha operato un dietrofront. La Svezia, del resto, accoglie ogni anno circa 200.000 mila persone.

Le banlieue svedesi oggi sono 55. Vengono chiamate “no-go areas”, esattamente come le  “ZUS” francesi (Zone urbaine sensible). L’ammissione di Ranstrop, dunque, coinvolge numeri spropositati poiché  all’interno di un macro-problema strutturale, non certo di episodi isolati. L’esperto di lotta al jihadismo specifica le difficoltà nello stanare questi potenziali terroristi: ” difficile anche infiltrarli. Si autoisolano in zone dove non senti parlare svedese e non compri nulla di svedese, né libri né abbigliamento né cibo.

È un problema centrale, il fronte su cui il nostro sistema vincerà o perderà”. Esemplificativamente sarà utile sottolineare come in Svezia più del 15% della popolazione totale (circa 10 milioni) sia di origine straniera. A Rinkeby, quartiere della periferia di Stoccolma, abitano quasi 16 mila persone, facenti parte di 60 etnie differenti. A Rinkeby si parlano più di 40 lingue.

Questi dati sono presi dal rapporto  di sicurezza nazionale svedese del 2014 La Svezia, come la Francia, è il centro focale di una bomba sociale pronta ad esplodere. Un mix tra povertà, criminalità e jihadismo di cui basta conoscere i numeri, per assumere immediata consapevolezza della velocità con la quale andrebbe affrontato.

ilgiornale.it

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Articolo pubblicato il 20/04/2017