L'EDITORIALE DELLA DOMENICA DI CIVICO20NEWS - Francesco Rossa: Torino. Dalla Provincia alla Città Metropolitana

La popolazione della ex provincia di Torino (ora Città Metropolitana) si attesta oggi  intorno ai 2.300.000 abitanti e il territorio si estende su una superficie di 6.830,25 km², pari al 2,26% del territorio nazionale.

La Valle di Susa, con il circondario di Bardonecchia, è il lembo più occidentale dell’Italia peninsulare: il suo punto estremo è alla Gran Bagna. La densità demografica è pari a 333 abitanti per Km².

La lunghezza delle strade che ricadono sotto la competenza diretta della Città metropolitana di Torino, raggiunge uno sviluppo di 3.095 chilometri. Il monte Ciamarella è la cima più alta del territorio (3.676 m) situata nelle valli di Lanzo.

Sono 2959 gli ettari di aree protette, di cui 5 parchi naturali e una riserva speciale.

5 i laghi: Avigliana grande, Avigliana piccolo, Candia, Sirio e Viverone, il più grande della provincia diviso a metà con il territorio della provincia di Biella, con un’estensione di 6 km² e una profondità massima di 70 metri.

La nostra Provincia gestisce 162 plessi scolastici e 95 istituti per la Scuola Media Secondaria superiore, nonché due Convitti ed il Conservatorio Musicale.

Un’ultima curiosità: nel territorio le autovetture circolanti sono circa 1.500.000, i motoveicoli circa 190.000 e circa 3.300 gli autobus.

L’origine della provincia è assai lontana. Sin dal 17esimo secolo, il Piemonte era  suddiviso in circoscrizioni dette Province. Tale sistema di ripartizione, poi, in conseguenza delle successive annessioni di nuovi territori, venne, gradualmente, esteso ai nuovi dominii acquisiti dai Savoia nel Milanese e verso Genova.

Nel 1847, con il supporto determinante del ministro dell’Interno Luigi Des Ambrois de Névache, si diede avvio alla riforma dei consigli provinciali che già recepì l’assetto della Monarchia Costituzionale disegnata dallo Statuto Albertino promulgato il 4 marzo1848.

Per quanto concerne lo Stato Sabaudo, l’istituto provinciale ha sempre mantenuto un livello qualitativo di rilievo.

La medesima funzione estesa a tutto il territorio nazionale è continuata con l’Unità d’Italia. Almeno sino al varo delle regioni nell’ordinamento italiano nel 1970, le province hanno rappresentato il punto intermedio del potere tra lo Stato ed i Comuni, anche nel riferimento del cittadino.

La percezione alta, era particolarmente sentita nei comuni periferici o  montani. Il ruolo degli interventi della provincia era intimamente collegato alle competenze acquisite.

Dalla strade, alle aule scolastiche sino alla captazione delle acque e successivamente alla costruzione degli acquedotti.

Il suffragio popolare, secondo i limiti imposti dalla legge elettorale del tempo, ha costantemente portato nei consigli provinciali le migliori presenze politiche. Si pensi alla lunghissima permanenza nel consiglio provinciale di Cuneo di Giovanni Giolitti, nonostante i lunghi e prestigiosi incarichi governativi.

La provincia di Torino, tra le altre figure di spicco annovera il già citato conte Luigi Des Ambrois de Névache, primo ideatore del traforo ferroviario del Frejus e dell’estensione delle ferrovie nel regno e autore di un progetto regionalista dello Stato.

Il fascismo aveva mutilato la provincia di Torino, scorporando Ivrea e l’alto canavese, per includerle nella provincia di Aosta, al fine di cercare di annientare le ascendenze francofone del patois, la lingua parlata in Valle.

Nel 1945, la provincia di Torino ha nuovamente acquisito i 113 comuni del Canavese ed ha raggiunto il primato della provincia italiana con il maggior numero di comuni; 316 per l’esattezza.

Il trattato di pace di Versailles di 70 anni or sono, ha in parte mutilato il nostro territorio. Alla Francia è stata assegnata la Valle Stretta sopra Bardonecchia e il colle del Moncenisio, ove era funzionante l’ospedale.

A capo dell’amministrazione Provinciale dal 1951 sino al 1965 è stato ininterrottamente eletto il Professor Giuseppe Grosso. La provincia ha vissuto un periodo, che potremo definire irripetibile per il nostro territorio. Si sono stabiliti contatti con la Francia per l’avvio della costruzione dei trafori alpini anche di concerto con la Valle d’Aosta e le aziende torinesi.

Si è intensificato il trasporto ferroviario attraverso il Frejus e si sono poste le basi per la costruzione della rete autostradale per la Valle d’Aosta e da qui verso il traforo del Monte Bianco e del Gran San Bernardo e verso Piacenza, per poi poter raggiungere l’autostrada del sole. In quegli anni il nostro tessuto industriale si consolidava e cresceva.

Torino divenne il crocevia d’Europa e le migrazioni dal sud Italia proseguirono senza sosta, attratte dal “Miracolo economico piemontese”.

Torino nel 1961 raggiunse il milione d’abitanti. Ciò ha comportato notevoli sforzi, di concerto con le aziende e la Città di Torino amministrata dall’avvocato Amedeo Peyron, un sindaco che ha rapidamente provveduto a sanare le ferite belliche, mirando allo sviluppo, l’avvio della costruzione delle case per i lavoratori, le scuole e l’estensione della rete viaria e dei trasporti pubblici in armonia con l’estensione del territorio cittadino urbanizzato. La Provincia era percepita in modo positivo dai sindaci e dagli elettori.

Il rinnovo dei consigli provinciali continuava a rinvigorire una classe dirigente espressione di un’accurata selezione a livello locale. Il sistema elettorale dei collegi con candidato unico per ogni lista, rappresentava di per sé un valido sistema di selezione, se si eccettua il voto ideologico che interessava solamente i partiti estremi.

Al presidente Grosso, chiamato a succedere al sindaco Anselmetti deceduto innanzi tempo, a sindaco di Torino, si alternò un altro autorevole piemontese il canavesano avvocato Gianni Oberto Tarena, quale testimone nella continuità. L’estensione dell’obbligo scolastico, in quegli anni ha comportato la costruzione di numerosi edifici scolastici anche in piccoli centri della provincia.

Negli anni successivi, a livello nazionale, la componente politica mazziniana che faceva capo a Ugo La Malfa, s’impegnò al massimo per l’istituzione delle regioni, quali enti territoriali dotati di poteri sanciti dalla Costituzione.

Nel panorama degli appetiti partitici e nell’opinione pubblica, le nascenti regioni, contribuirono ad offuscare il prestigio delle Province.

Se valutiamo i quasi cinquant’anni di vita dell’Ente regione, non possiamo che condividere una tesi che raggruppa studiosi ed osservatori di diversa provenienza. Nella gran parte dei casi si è trattato di un centro di potere costoso, dotato di burocrazia sproporzionata, con competenze non sempre gestite con oculatezza e fonte di scandali non indifferenti.

Molti consigli regionali,  nel corso degli anni, sono stati sciolti dalla Magistratura per cause differenti, ma certamente non encomiabili.

Contestualmente inizia in Italia il tentativo di riforma del Titolo V della Costituzione, che dopo aver diviso, anche aspramente le forze politiche, sfociava nella bocciatura referendaria del 4 dicembre 2016.

I detrattori delle regioni, furono sopraffatti da coloro che ritenevano che il vulnus del sistema delle rappresentanze risiedesse nelle province e, in anticipo rispetto al voto referendario, il ministro Del Rio, con una farneticante disposizione, ne dichiarava la soppressione, come organo elettivo di primo livello a vantaggio di un feticcio che scontenta tutti, la Città metropolitana.

I molteplici tentativi anche di semplificazione e accorpamento delle province che in quegli anni erano proliferate, tornando a quelle dell’Unità d’Italia, caddero nel vuoto.

Alla fine naturale delle legislature provinciali, tra il 2014 e il 2015, i consigli non vennero rinnovati, Il territorio della provincia del capoluogo , fu conglobato nella nuova istituzione, la Città metropolitana, il cui sindaco metropolitano coincide con la figura del primo cittadino del capoluogo.

Un mini consiglio di 18 consiglieri é eletto dai consiglieri comunali dei comuni pertinenti tra i loro membri. il Sindaco del capoluogo, unico non eletto diviene il sindaco metropolitano, totalmente estraneo alla vita dei comuni di riferimento.

Ciò ha determinato un appiattimento nella scelta dei nominati e la cristallizzazione politica ancorata ad anni precedenti.

Nella nascente Città Metropolitana di Torino, nei primi due anni di vita, ove il sindaco metropolitano nominato era di diritto Piero Fassino, non si avvertirono scossoni per uniformità della maggioranza.

Purtroppo sono intervenuti i primi problemi nella vita dell’Ente. Le competenze erano indefinite, centinaia di dipendenti della ex provincia rimasero in attesa di collocazione e le finanze scarseggiavano rendendo pressoché difficile ogni intervento manutentivo su strade ed edifici scolastici.

Questo è l’aspetto fondamentale che riguarda tutte le ex province.

Nei giorni scorsi le 76 Province italiane hanno denunciato di “avere le casse vuote” e per cautelarsi rispetto a tragedie che potrebbero essere causate dalla mancata manutenzione, da tre anni, di 3.600 scuole e di 100mila strade, stanno presentando un esposto cautelativo alle procure della Repubblica, alle Corti dei conti regionali e alle prefetture per “la mancata previsione di un adeguato finanziamento. È l’ultimo atto della protesta nazionale che le Province stanno promuovendo ormai da giorni.

“Le Province garantiscono servizi da cui dipende la stessa sicurezza dei cittadini: non aspettiamo le tragedie per intervenire” ha detto il presidente dell’Upi, Achille Variati, denunciando la situazione drammatica delle province italiane che offrono servizi essenziali, sulla viabilità e sull’edilizia scolastica, ma “non hanno più risorse per far fronte a questi servizi”.

Da qui la decisione dei presidenti di provincia di “autotutelarci perché se dovesse succedere una disgrazia le procure devono sapere prima qual è situazione nella quale stiamo operando”.


Quando nella primavera del 2017, la giunta Fassino concluse il suo mandato, anche il Consiglio metropolitano decadde.

A Torino com’è noto si verificò il cambio del sindaco e dei riferimenti partitici. Chiara Appendino esternò onestamente il disagio nel rappresentare oltre un milione di cittadini che non l’avevano votata, ma non potè fare a meno di diventare, di diritto anche lei, sindaca Metropolitana.

Le elezioni di secondo livello, videro l’affermazione del Movimento Cinque Stelle, limitatamente alla città di Torino ed a qualche comune limitrofo, mentre tutto il territorio della provincia riconfermò i riferimenti partitici dei comuni del territorio, espressione del PD e per 3 consiglieri, del centro destra.

Ad oggi la sindaca metropolitana non possiede la maggioranza e dovrà contrattare il bilancio ed i provvedimenti di rilievo con le opposizioni.

Su qualche materia, come la permanenza dell’Ente nell’osservatorio della TAV, Appendino ha dovuto accettare i condizionamenti del consiglio ed assumere una posizione antitetica rispetto a quella che dovrà esprimere per la Città di Torino.

Ma, a prescindere da osservazioni estemporanee, appare evidente come le farneticazioni di quel Graziano Del Rio, autore di una legge sconsiderata e lontana dalla realtà amministrativa e del territorio, risultino e risulteranno controproducenti e impraticabili per il ruolo e l’operatività dei consigli metropolitani.

Infatti e il nostro è un caso emblematico, il consiglio si riunisce raramente e mai per aspetti vitali.

Siamo lontanissimi dai periodi della sviluppo e della crescita del territorio, già evidenziati. Ma, oltre al vulnus delle rappresentanze, sorge un problema di continuità. Sono in molti ad invocare l’inutilità dell’attuale Ente.

In assenza di democrazia, con uno Stato che ha cercato di abolire anche il voto dei cittadini per il rinnovo del Senato, forse la presenza di un commissario prefettizio che con diligenza possa provvedere alla manutenzione dei manufatti, tutti purtroppo in pessime condizioni per la carenza dei fondi, potrebbe apparire maggiormente funzionale, in luogo di una democrazia monca a capo di un Ente che non è in possesso degli strumenti per poter funzionare.

Il voto di secondo livello, oltre ai limiti oggettivi, rappresenta infatti un insulto alla partecipazione democratica dei cittadini. Il cittadino sulle questioni di principio si è già espresso il 4 dicembre 2016, negando l’approvazione del referendum costituzionale.

Con la soppressione delle Province si è insultata la Storia, in cambio di cattivo funzionamento e danno reale verso il cittadino.

Se possiamo guardare oltre l’attuale nebulosità politica, nel 2018 ci sarà qualcuno in grado di cogliere un appello razionale sentito dai più, per poter provvedere, con coraggiose iniziative finalizzate a riportare il corretto funzionamento di un organismo fondamentale per la vita del Paese?

L’invito è aperto. Chi risponderà? 

Francesco Rossa
Direttore Editoriale
Civico20News.it

 

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Articolo pubblicato il 23/04/2017