Giuseppe Macherione

A Torino, una via e una lapide in via Garibaldi ricordano l’infelice poeta e patriota siciliano

Percorrendo la strada di Lanzo, nella parte periferica del quartiere torinese di Madonna di Campagna, si possono considerare le intitolazioni delle vie traverse: nemmeno qui mancano quelle, onnipresenti, dedicate ai piccoli comuni del Piemonte, (Brosso, Rueglio, Noasca, Druento…), mentre alcune vie sono dedicate a città italiane (Orbetello e Caltanissetta) e si attraversa una piazza che ricorda l’isola greca di Stampalia.


Diverse vie portano il nome di eterogenei personaggi: il latinista Ettore Stampini, che la targa ringiovanisce di ben sei anni, svariati  personaggi risorgimentali come Giacomo Durando, Giuseppe Massari, Giuseppe Sirtori, Michele Berrino, Giuseppe Macherione e Guglielmo Pepe. A personalità artistiche note, come il pittore Paolo Veronese e il Nobel per la letteratura Luigi Pirandello (1934), si affianca il ciclista Giovanni De Stefanis.


La mia attenzione si concentra sul poeta Giuseppe Macherione, nato a Giarre, in provincia di Catania il 22 marzo 1840, e morto prematuramente a Torino, il 22 maggio 1861.


Giuseppe Macherione appartiene ad una famiglia borghese ed è il penultimo di sette fratelli. Il padre Gaetano, avvocato, è amante della letteratura. Studia dai padri Filippini e dimostra grande impegno nello studio del latino: traduce Virgilio e Orazio e compone versi latini.


La sua adolescenza è travagliata da disgrazie familiari: nel 1855, il fratello Antonio annega mentre fa un bagno in mare, nel 1857 la madre muore, minata dalla tisi. Questa grave malattia si è diffusa nella famiglia, provoca la morte di una sorella e anche Giuseppe viene colpito.


Si iscrive alla facoltà di Legge dell’Università di Catania all’età di 17 anni: qui stringe amicizia con Luigi Capuana, più vecchio di un anno, che sarà giornalista, scrittore e critico letterario, noto come teorico della corrente letteraria del Verismo. Con Capuana, Macherione aderisce alle idee risorgimentali di unificazione italiana, idee che si concretizzano alcuni anni dopo con la spedizione dei Mille di Garibaldi (1860).


Macherione, anche se comincia a manifestare i primi sintomi della tisi, accorre prontamente ad arruolarsi come volontario garibaldino nelle squadre che si riuniscono intorno a Messina prima della battaglia di Milazzo. A causa della sua salute precaria, deve però rinunciare. Si dedica allora, con serietà e coraggio, al giornalismo politico, prima a Catania, e successivamente a Palermo.


Qui, in occasione del trionfale ingresso di Garibaldi, scrive l’ode “Il 27 maggio 1860”, stampata in centinaia di esemplari che vengono gettati dai balconi al suo passaggio:


Terror de’ troni, Garibaldi è in campo,

Sin che lacrimi ancor l’itala terra,

Gridiam, fratelli, del suo brando al lampo:

“Viva la guerra!”.


Anche per la solenne visita di Vittorio Emanuele II a Palermo, il 1° dicembre 1860, Macherione scrive l’ode “A Vittorio Emanuele” che, come quella dedicata a Garibaldi, viene stampata in migliaia di copie e gettata dai balconi.


Nel febbraio 1861, Macherione desidera fortemente assistere all’apertura del nuovo Parlamento italiano. Si imbarca su un piroscafo diretto a Genova e di qui prosegue per Torino, prima Capitale del Regno d’Italia, dove giunge con gli altri deputati siciliani.


Anche se a Torino Macherione stringe nuove amicizie e riscuote la stima del primo ministro Cavour, questo viaggio, come prevedibile, si rivela molto imprudente: la sua salute appariva sempre più cagionevole, tanto che i medici e gli amici lo avevano sconsigliato. Muore la sera del 22 maggio 1861, a 21 anni, nella sua abitazione in via Dora Grossa (oggi via Garibaldi).


Negli anni successivi alla sua morte, Macherione viene ricordato dal professor Angelo Russo, autore dello studio biografico intitolato “G. Macherione, poeta e patriota” (Giarre, 1883). Luigi Capuana, nella sua opera “Per l’arte” (1885), rievoca i suoi trascorsi giovanili e dedica al Nostro alcune pagine.


Nel Novecento, per commemorarlo è istituito un Comitato che, nel 1928, propone al Municipio di Torino di apporre una lapide sulla casa al civico 4 di via Garibaldi, dove è morto il giovane poeta. Lo statista Paolo Boselli (1838-1932) detta l’epigrafe che ne mette in risalto la passione per l’ideale risorgimentale.


Nel 1961, nel quadro dei festeggiamenti per il primo centenario di quella che viene indicata come “Unità d’Italia”, vengono trasferite a Giarre le spoglie mortali di Macherione, che alla sua morte era stato sepolto nel cimitero monumentale di Torino.


A Torino, Macherione è ricordato, oltre che dalla lapide commemorativa di via Garibaldi, dalla via nel quartiere Madonna di Campagna.


A Giarre, lo ricordano una lapide sulla sua casa natale, un busto nel centro storico, una piazza, una via e una scuola; a Calatabiano (Catania) un istituto comprensivo e una via. A Catania, gli è stata dedicata una strada.


Nel 2013, la scrittrice e giornalista torinese Carla Casalegno ha scritto la biografia di Giuseppe Macherione intitolata “Dall'Etna alle Alpi. Giuseppe Macherione. Un giovane poeta e patriota italiano” (Edizioni del Capricorno, Torino, 2013).

 

Ho iniziato a scrivere questa sintetica biografia di Giuseppe Macherione in quanto “titolare” di una via e di una lapide in Torino. Al momento di concluderla mi sorge un dubbio: in questo periodo in cui si assiste al manifestarsi di opinioni antisabaude e neoborboniche con richieste, talora esaudite, di abolire le vie dedicate al generale Cialdini, Giuseppe Macherione potrebbe essere bollato come un “collaborazionista”?

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Articolo pubblicato il 27/04/2017