Trump festeggia i primi cento giorni, con un’ossessione. Anzi due.

L’idea di cancellare Obama e i rapporti con la Corea del Nord non fanno dormire il Presidente.

Si sa, in politica ogni amministrazione che si rispetti ha il pallino dei primi cento giorni.
A ogni intervista ai candidati per qualsiasi elezione si va a parare sempre con la fatidica “cosa ha intenzione di fare nei primi cento giorni?” E gli americani, ovviamente, non sono esenti da ciò.
Di solito si dice che questo lasso di tempo può essere sufficiente per capire come potrà evolversi una legislatura o meno, e lo stesso Trump ha più volte fatto capire in campagna elettorale quanto per lui fosse importante questo concetto, stilando liste e tabelle di marcia da rispettare sin da subito.

E così, in occasione dei suoi primi cento giorni da Presidente, Trump ha deciso di convocare alla Casa Bianca i giornalisti della Reuters per promuovere la sua azione di governo, cercando di convincere i più che quello che sta facendo è qualcosa di straordinario.
E poco importa se tutti i sondaggi lo stimano come il Presidente meno popolare della storia Usa; al magnate americano piace puntare il dito sui trenta ordini esecutivi firmati di suo pugno che lo renderebbero uno dei Presidenti più attivi del Dopoguerra. E a chi gli chiede un’autovalutazione, lui si da un una bella A (per gli anglofoni il massimo).
Lo stesso Trump negli ultimi giorni ha provato a rimescolare un po’ le carte, tirando fuori come asso dalla manica la carta della rivoluzione fiscale: l’idea è quella di abbassare drasticamente le tasse, portando al 15% la tassazione sul reddito d’impresa. Si vedrà.

Intanto, se dobbiamo parlare di questi primi cento giorni, e dobbiamo, non possiamo sicuramente dipingerli come se li era figurati nella testa Trump, ossia sfolgoranti; passi indietro, ripensamenti, nessuna rivoluzione. Queste le prime impressioni.

Ma partiamo dal suo più celebre obiettivo, quel muro al confine col Messico che tanto ha fatto discutere.
La sua costruzione rientrava tra le priorità; ora, però, è tutto bloccato.
Prima aveva provato a farsi pagare una parte dell’opera dal Messico, ricevuto il no, ha setacciato la strada dei dazi sui prodotti messicani, che è stata scartata perché si sarebbe riversata sui consumatori finali. Infine ha provato a farsi finanziare l’opera, stimata in oltre 20 miliardi, dalla finanziaria: il Congresso gliel’ha impedito ed è tutto fermo.

Anche per ciò che riguarda la politica estera le cose non stanno andando a gonfie vele.
Pare non pagare il pugno di ferro con Pyongyang: il rivale coreano vive e si alimenta di questo scontro, e Trump non sembra la persona adatta a depotenziare il rischio scontro nucleare.
In Medioriente si è registrato un solo squillo, il bombardamento alla base di Al Shayrat, dell’esercito siriano, una mossa che ha fatto andar di traverso la colazione, pardon il caviale, all’ex amico Putin.
E i rapporti con l’Europa? Chiaro, con noi qualsiasi presidente Usa ha vita facile, certo è che alle orecchie del tycoon non sono pervenuti gli stessi elogi giunti a quelle di Obama.

Dal punto di vista commerciale c’è da registrare il dietrofront sulla volontà di abolire il Nafta, insieme di relazioni economiche che lega Usa, Messico e Canada palesato più volte dallo stesso Trump: l’idea pare già essere archiviata per un ben più morbido “sediamoci a un tavolo e trattiamo”.

Trump, per ora, sembra volersi accanire contro le scelte fatte da Obama, anche quelle considerate più ragionevoli, cercando di smantellarle o quantomeno depotenziarle.
E’ il caso dell’Obamacare che impone a tutti i lavoratori americani l’assicurazione obbligatoria: era nella testa di Trump quella di eliminarla. Per ora non ce l’ha fatta, ma l’intenzione è sempre quella.
Si potrebbe citare anche il tema ambientale, tanto ignorato oggi quanto di vitale importanza per i nostri figli. Obama, nel suo piccolo, aveva cercato di promuovere la sensibilità ambientale cercando  di incentivare l’uso delle rinnovabili attraverso borse di studio, firmato accordi contro l’uso di pesticidi tossici, bandito le armi i cui proiettili contenessero piombo. Tutti ordini revocati o in via di revoca da Trump che, bisogna ammetterlo, non aveva mai fatto trasparire grande interesse verso il tema verde.

Per ora quindi, posto che sia sbagliato valutare un’amministrazione entro i prima tre mesi, le tracce dell’azione di Trump sono rinvenibili più che altro nelle urla di protesta dei migranti contro i ban e in quelle dei broker americani che, dati alla mano, vedono un Wall Street mai così euforico.
Se è frutto di buone sensazioni o una coincidenza nessuno può saperlo.

 

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Articolo pubblicato il 29/04/2017