L’Universale è provinciale ( e viceversa)

Proponiamo l’ultimo editoriale del Direttore di 2006PIÙ Magazine Marco Margrita sul numero di marzo-aprile

Lo scrittore israeliano Amos Oz, nella lectio magistralis tenuta ad Alba nell’ottobre dello scorso anno, quando gli è stato consegnato il Premio Bottari Lattes Grinzane, ha sostenuto che “la vera letteratura è quella provinciale”.

Per suffragare l’assunto ha fatto qualche esempio:  “Prendiamo i miei eroi: Cechov raccoglieva i pettegolezzi delle piccole cittadine e li faceva diventare universali. O Faulkner: parlava di città dimenticate in America. Ma quando lo leggete, quelle città parlano di voi, delle vostre illusioni, sofferenze, angosce. E poi il mio scrittore italiano preferito: Giuseppe Tomasi di Lampedusa parlava di universo, infelicità, tradimenti, complotti. Insomma, l'universale è provinciale”.

Queste parole, specularmente, ci confermano come non sbagliassimo nel sentire un sapore di provincialismo nelle astratte dichiarazioni di disprezzo per le nostre “piccole patrie” pronunciate da sedicenti profeti nell’universalismo sradicato.

Si esiste solo in un luogo. Le grandi questioni, quindi, non esistono a prescindere dai luoghi, ma solo in essi.  Quelli dove nasciamo e viviamo, insomma, sono “luoghi dell’anima”. E l’anima dei luoghi ci suggerisce, ci interpella, ci ripropone le grandi domande. Non stiamo certo facendo del paganesimo d’accatto.

Tutto ci parla del Tutto. Sradicarsi non ci rende più universali, ci fa solo più carpibili dai tentacoli di una globalizzazione sferica e omologante.

Troppa cultura ci ha proposto un’idea turistica della scoperta. Commerciale nel suo voler essere alternativa. Seriale e seriosa: artefatta in non-luoghi.

A noi piace ricordare, invece, un illuminante passo del nostro Mario Soldati. “Esistono alcuni scrittori o, meglio, alcuni uomini che non hanno mai viaggiato, ma ai quali il paesaggio della città natìa, pur nella sua esiguità, ha dato il senso di ogni lontananza, viaggio e distacco.

Basta una solitaria “barriera” dove i tram arrivano più rari e deserti; bastano le montagne in fondo a uno squallido viale, bastano le colline al di là del fiume. Il viaggio è un sentimento, non soltanto un fatto. L’universale è provinciale, ancora una conferma. Almeno episodica.

Nei nostri luoghi, solo in essi, ci scopriamo “esseri desideranti”, bisognosi di una corrispondenza profonda che ci completi. Nella provincia sopravvive l’idea di universale, che l’omologazione ha distrutto imprigionandoci nel solipsismo. E l’Italia è le sue provincie; universale perché insigne provinciale.

Sulla decisività dei luoghi ha molto insistito l’attuale direttore della “Civiltà Cattolica”, padre Antonio Spadaro. L’importanza e la concretezza dei luoghi, che sempre parlano, rivelano, è un motivo ricorrente nella sua vita e nella sua opera: basti ricordare il lavoro “archeologico” realizzato nel suo studio appassionato nei confronti di alcuni autori come Pier Vittorio Tondelli o Flannery O’Connor.

Proprio Flannery O’Connor è la dimostrazione dell’universale che resiste perché è difesa la dimensione provinciale. Come fa notare Nicola Lagioia, “Tutta la sua esistenza sembra protetta dalla corazza della marginalità. Provinciale nell’epoca in cui le metropoli statunitensi raggiungono il loro massimo splendore (sono gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento), credente in un mondo di atei, cattolica in una regione di protestanti infervorati, malata mentre il salutismo sta diventando il salvacondotto per accedere al regno dei felici molti”.

Questo giornale, voce di una realtà localizzata quindi aperta al mondo qual è DAI Impresa, si è sempre pensato come un tentativo di racconto e giudizio “glocale”. Queste pagine sono frutto, insomma, della consapevolezza di quanto universale c’è nel provinciale; di come abitando il margine e le periferia si possa essere immuni dall’indottrinamento del “pensiero unico”.

Ci sono il senso e il sapore della comunità nel nostro scrivere. E dalla comunità guardiamo al mondo. Sappiamo che è un mestiere faticoso, come certe cime per il ciclista. Come ci ha insegnato Gianni Brera, però, “Solo in provincia si coltivano le grandi malinconie, il silenzio e la solitudine indispensabili per riuscire in uno sport così faticoso come il ciclismo”.

Marco Margrita

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Articolo pubblicato il 15/05/2017