Torino. I cinquant’anni del “Pannunzio” (che non li dimostra)

Civico20 intervista il professor Pier Franco Quaglieni

Il Centro Pannunzio, una delle istituzioni culturali più radicate in città, compie cinquant’anni di attività e di presenza critica.

L’evento sarà festeggiato lunedì 22 maggio alle ore 17 dapprima nel cortile d’onore del rettorato in via Po, 17 ove sarà reso omaggio alla statua del professor Francesco Ruffini che fu rettore dell’Università ed alla lapide che ricorda il rifiuto opposto dal professor Ruffini e da altri pochi  colleghi, tra cui suo figlio Edoardo, al giuramento fascista del 1931 che gli causò l’allontanamento dall’insegnamento universitario.

Seguirà poi un concerto pianistico del M° Fabrizio Sandretto nell’Aula Magna, che inizierà con l’esecuzione dell’Inno Nazionale. Nell’intervallo del concerto, nel corso di un breve intervento, il professor Pier Franco Quaglieni, ricorderà, nel centenario della nascita, la socia fondatrice del Centro, professoressa Frida Malan.

Seppur giovanissimo, tra i primi ideatori, alla nascita del Centro Pannunzio svolse un ruolo di rilievo lo studente universitario Pier Franco Quaglieni, che ha dedicato le sue energie alla Cultura, alla Scuola ed all’affermazione costante del Centro, sino a diventarne direttore Generale. Oggi continua in modo instancabile a proporre e a seguire a tutto campo le iniziative culturali della prestigiosa Associazione.

Ripercorriamo con il professor Quaglieni, un pagina di Storia dei fermenti culturali e della vicende politiche di Torino, che trovano riscontro, per certi versi con i cinquant’anni del Pannunzio.

Professor Quaglieni, qual’era il panorama culturale torinese, in quel lontano 1967, prima ancora che le proteste studentesche anticipassero il “68”?

Era un panorama abbastanza povero. Poche realtà consolidate sul tipo dei mitici "Venerdì letterari “ della grande Irma  Antonetto, il meglio in assoluto  della cultura torinese fino alla morte della sua fondatrice, la "Pro Cultura Femminile" della prof . Grosso, moglie del Sindaco- professore, l'"Unione Culturale" di Antonicelli ,  il "Centro Gobetti", qualche piccolo circolo cattolico.

Un  panorama molto elitario. Ricordo come mi trattò con freddezza snob Antonicelli, quando gli venni presentato da Oscar Navarro. Antonicelli era un ex liberale e riteneva i liberali dei reazionari. Un  incontro glaciale.

Era un contesto culturale  in cui i giovani in generale erano esclusi. In certi ambienti si entrava in base alle appartenenze famigliari  o politiche.

Ben diversa fu l'accoglienza che mi fece all'Università Aldo Garosci che  mi parlò molto negativamente di don Milani e del suo libello, lo definì proprio così, "Lettera ad una professoressa “.

Irma Antonetto fu generosa di consigli , poi negli anni diventai amico di suo fratello Carlo. I consigli di Irma furono molto preziosi. Sicuramente non seppi metterli a frutto.

Torino non ha più avuto nulla che fosse paragonabile ai “Venerdì letterari”.

Come veniva considerato in quegli anni il neo Centro Pannunzio, che stava muovendo i primi passi, tra il grigiore dell’Unione Culturale, gli intellettuali Azionisti ancora attivi e i neo movimenti cattolici vicini al Cardinale Pellegrino?

"Il Mondo" di Pannunzio sospese le pubblicazioni nel 1966 ma il gruppo degli amici del "Mondo " non chiuse i battenti per volontà di Arrigo Olivetti, editore del giornale.

Poi Pannunzio mori improvvisamente nel febbraio del 1968 e il gruppo amici del “Mondo"  si chiamò  Centro di studi e ricerche "Mario Pannunzio" sempre per iniziativa di Olivetti e di un gruppo di giovani in cui c’ ero anch' io che ebbi, negli anni  successivi, un rapporto speciale con Arrigo.

Camillo Olivetti mi ha scritto recentemente che per me suo Padre aveva una predilezione e mi scelse come suo continuatore.

Mario Soldati ebbe un ruolo non appariscente ma fondamentale ,come lo ebbero Giulio De Benedetti e Alberto Ronchey, vecchio e nuovo direttore de "La Stampa " che ci aiutarono molto, come anche il conte Carandini.

Gelida fu l'accoglienza da parte del mondo cattolico vicino al cardinale Pellegrino, mentre il cattolico liberale  Valdo Fusi fu tra i primi soci come il mitico prof. Paolo Greco.

Il mondo comunista ci ignorò fino a che, quando dimostrammo di contare qualcosa, incominciò ad osteggiarci.

Carla Gobetti, quando nascemmo, ci regalò una fotografia di Piero che è ancora appesa nella nostra sede, ma noi non fummo mai gobettiani.

Pannunzio nella polemica di Omodeo contro Gobetti si sarebbe schierato in difesa del Risorgimento.

Tra i liberali solo Zanone, Mario Altamura (mio grande amico per tanti anni) e Nicoletta Casiraghi  ebbero un rapporto positivo con noi. Altamura si fece socio del Centro.

Furono anni difficili, noi ci costituimmo anche per combattere all'interno dell'Università contro le violenze e le intolleranze.

Trovammo appoggio in Allara, Gullini, Chiodi e nel grande Venturi.

Anche Firpo vide con favore  la nostra nascita tanto che divenne presidente nel 1980, poi il rapporto si ruppe. Un nostro grande amico fu Alessandro Passerin d'Entrèves.

Carlo Casalegno fu uno dei primi soci e ci aiutò molto. Una volta mi disse che il Centro non si lasciava mettere in riga da nessuno. Erano gli anni di piombo ,quando Casalegno pagò con la vita il suo amore per la libertà. Nei momenti difficili penso spesso a lui.

Il suo fu il più bel complimento, ma fu anche molto impegnativo. Direi una sorta di viatico a cui mantenere fede.

Oltre ad Arrigo Olivetti, nei cinquant’anni trascorsi, il Centro Pannunzio registrò la vicinanza e la partecipazione di alcune delle “Figure dell’Italia Civile” da lei citate e descritte nel suo saggio, edito nei mesi scorsi. Ci può tratteggiare i momenti maggiormente significativi?

Ricordo  i grandi storici Franco Venturi e Rosario Romeo, Ronchey, Spadolini  e tanti altri. Ma andrebbero anche ricordati i giovani che erano con me e che in larga misura si sono persi per strada. Qualcuno purtroppo è anche già morto.

Ricordo  Gabriele  Pajno Ferrara, mio compagno di scuola e primo segretario del Centro, ricordo con affetto   i fratelli Schirru; recentemente ho conosciuto  Monica, la figlia di uno dei due.

E’ venuta alla presentazione del mio ultimo libro e mi ha emozionata.  La spinta iniziale fu giovanile, non giovanilistica perché su di noi vegliava e ci aiutava anche finanziariamente Olivetti. Senza di lui avremmo combinato poco.

Quali  tappe salienti, tra le attività del Pannunzio, ricorda con particolare interesse?

 Credo che l'evento più importante realizzato dal Centro sia stato la Mostra dei       disegni di Leonardo della Biblioteca Reale. Una battaglia epica contro le ottuse resistenze della burocrazia. Il massimo studioso di Leonardo prof .Carlo Pedretti ci aiutò molto. Venne dagli Stati Uniti apposta, gratuitamente.

Poi facemmo mostre sul" Mondo", su Cavour e Giolitti nella caricatura, grandi convegni sulla scuola in cui riempivamo di studenti il Colosseo, con la collaborazione di Paravia.

Vanno anche ricordate le battaglie contro il finanziamento pubblico dei partiti   e per  i diritti civili come il divorzio. In quel contesto nacque l'amicizia con Pannella.

Comunque, abbiamo promosso qualche decina di migliaia di eventi piccoli e grandi con un successo non costante perché anche noi abbiamo avuto sale vuote.

Ricordo la commemorazione  di Pannunzio nel 1988 tenuta a palazzo Lascaris da Montanelli, ospitato da Aldo Viglione, grande presidente e grande promotore di cultura.

Abbiamo commesso anche molti errori e il primo responsabile degli errori sono io. Ho anche dato fiducia a persone  che non la meritavano.

In primis ho sentito il vuoto lasciato da Olivetti, Fusi, Soldati, Alda Croce. Decidere da solo a volte è molto difficile. Gli errori sono stati forse inevitabili. Un altro amico che mi manca molto da tanti anni è Aldo Viglione, uomo colto, libero, generoso, il Presidente del Piemonte per antonomasia, appunto.

Professor Quaglieni, se dovesse parlarci delle Presidenze del Centro Pannunzio con le quali ha collaborato, chi potrebbe descriverci con maggior efficacia ed identificazione?

Senz'altro Olivetti, Soldati, Alda Croce  ed anche Mario Bonfantini e l'attuale presidente Camillo Olivetti. Personalità anche molto diverse che hanno lasciato la loro impronta nel  Centro.

Aggiungo che eleggeremo in giugno un nuovo Presidente  e anch'io, senza cessare la mia collaborazione, lascerò l’incarico  attualmente ricoperto.

Non sarò comunque io il nuovo presidente. Avverrà un rinnovamento nella continuità. È un'espressione un po' togliattiana, lo riconosco,  ma faremo proprio questo. Un mix di novità anche molto importante e di continuità. La discontinuità non avrebbe senso perché noi siamo orgogliosi del nostro passato che, tutto sommato, errori a parte, é un passato abbastanza degno.

A suo parere, professor Quaglieni, oggi per quali contenuti continua a   distinguersi la presenza del Centro nella cultura torinese?

Il Centro" Pannunzio" continua a distinguersi per il suo spirito libero, per il suo non genuflettersi ai poteri più o meno forti. Siamo molto osteggiati. Più oggi che in passato. Può sembrare incredibile, ma è così.

Io, a volte, sento palpabile un’antipatia anche personale anche nei miei confronti.  Non so quale sarà il nostro futuro, ma piuttosto di venire a compromessi con i nostri princìpi e i nostri valori liberali e laici, siamo pronti a chiudere.

Il "Mondo", che era tanto più importante di noi durò appena sedici anni. Noi però vediamo anche che oggi molte verità scomode che abbiamo affermato in passato, piano piano, sono state condivise da persone che hanno ripetuto per decine d'anni la solita tiritera ideologica.

Nella città della feroce egemonia gramsciana e del populismo grillino è importante una voce fuori dal coro come il Centro "Pannunzio".

Spero che i molti che ci seguono, ma non si associano al Centro, colgano l'occasione del cinquantenario per farlo, sostenendone le attività, lontane dai salotti élitari della Torino snob e radical- chic, detto diversamente lontane dal “sistema Torino”.

Se cerchiamo di volgere lo sguardo al futuro, a suo parere, con quale ruolo e   programmi  il Pannunzio, potrà varcare il  prossimo decennio?

Non so se varcheremo il prossimo decennio, nel decennio scorso sono mancati tanti amici solo parzialmente rimpiazzati.

Penso a Carlo Antonetto, Pininfarina, Giuseppe Fassino ,Alda Croce, Chiusano, Conso, Claudio e Adelaide Dal Piaz, Leonardo Caldarola, Lamberto Jona Celesia, tanto per citare qualche nome.

Sono vuoti incolmabili. Ripeto però che cercheremo di stringere i denti e di andare avanti.

Il prossimo decennio si annuncia come una nuova traversata del deserto, i nostri Mosé di un tempo non ci sono più. Restano le tavole della legge a cui guardare, in cui sono incise le parole libertà, democrazia, tolleranza, cultura. Basteranno? Oggi non saprei rispondere.

Mi consenta di ringraziare il mio braccio destro da molti anni, Dante Giordanengo  che nell'ombra, in umiltà tutta piemontese e cuneese, è il grande regista e tessitore del Centro "Pannunzio".

Anche mia moglie Mara Pegnaieff, sempre nell'ombra, mi dà una grossa mano. Senza di lei sarei perduto.

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 19/05/2017