Niente da nascondere

Vendetta, rancore e ipocrisia in un thriller francese del grande regista Michael Haneke

Michael Haneke è uno degli autori meno conosciuti ai più del cinema degli ultimi 30 anni quasi.

Pur essendo famosi alcuni suoi film più di successo come "Funny games", "La pianista" o "Il tempo dei lupi"; in realtà sono ben pochi tra il pubblico ad associarne il nome alla sua regia come avviene per altri colleghi più illustri e famosi come Quentin Tarantino o Christopher Nolan, dei quali citando il titolo di uno dei loro film il 99% degli spettatori sa subito rispondere il nome del regista.


Il film di cui andiamo a parlare oggi può essere uno spunto interessante per aprirsi allo stile e le tematiche tanto care all'ormai 75enne regista austriaco, non a caso laureato in psicologia e filosofia, sempre in grado col suo sguardo clinico di spellare la buccia delle buone maniere e il tacito quieto vivere della borghesia tipica per mostrarci i vermi pulsanti nella polpa nascosti sotto.

Un film tutto sommato più semplice e scorrevole rispetto al resto della filmografia, saggiamente girato sotto forma di "thriller metropolitano" dove la vita monocorde e ripetitiva di un giornalista e sua moglie viene sconvolta da una serie di videocassette con allegati disegni dal tratto infantile ma minaccioso, chiaramente rappresentanti un uomo dalla gola tagliata.


Girato con mezzi poverissimi, giusto un paio di interni e una manciata di strade, ma grazie a uno stuolo di attori in forma e l'ottima regia di Haneke il film si rivela pieno di idee sul piano narrativo per mandare avanti la storia, dipanandone lentamente i nodi cruciali e personaggi primari; oltre che poi (al solito) grondante critica e scetticismo verso l'ipocrisia comune e la fondamentale debolezza della società moderna, qui ovviamente incarnata dalla coppia con bimbo interpretata da Daniel Auteuil e Juliette Binoche.

Una coppia con bimbo apparentemente felice, in realtà "assuefatta" al loro status matrimoniale e terrorizzata da ogni benchè minimo cambiamento; così come parallelamente la nostra società è assuefatta ai telegiornali taroccati e l'informazione manipolata di cui il personaggio di Auteuil, ad esempio, è maestro nel suo campo di lavoro distorcendo il senso e il significato di un dibattito televisivo in sala di montaggio.


Non da meno poi il regista colpisce altrettanto duro lo spirito nazional francese giocando in sceneggiatura sul senso di colpa per la guerra d'Algeria degli anni '60, un "cesto storico/culturale" stracolmo di terribili episodi di razzismo, torture, attentati da cui prendere a piene mani e parlare dell'uomo e la sua condizione più basica di ignobile bestia, quando ogni costrizione della società è inibita nel frenarlo.

Premiato con la miglior regia al festival di Cannes del 2005 (non che il sottoscritto abbia necessariamente bisogno di premi o statuette per farsi piacere un film) e successivamente agli European Film Awards di Berlino, il film resta sicuramente uno dei migliori spaccati sociali della borghesia di oggi, oltre che poi (cosa che non guasta) anche un thriller/drammatico di tutto rispetto e girato con gran mestiere.


Ma vediamo ora i punti di forza migliori di questo "Niente da nascondere" ("Caché" in lingua originale), come già detto film del 2005 diretto da Michael Haneke.


GUARDA QUELLO CHE VEDI
Il tema dell'apparire e della "immagine" è sicuramente il fulcro su cui si muovono tutti gli assiomi della storia.

Dal principio sono i fotogrammi delle videocassette anonime e il disegno da bimbo di un uomo con la gola tagliata, che la coppia riceve per posta senza riuscire a immaginare quale misterioso mittente possa avercela con loro fino a quel punto.

Una verità nascosta sotto la superficie dell'apparenza, la vita perfetta della famigliola felice in una casa elegante piena di un enorme libreria di cui nessuno legge mai un volume e che quindi fa parte dell'arredamento/finzione messo assieme alla bisogna come un set cinematografico.


Come non parlare ancora del già citato lavoro del marito, giornalista e responsabile di una trasmissione televisiva dove ancora è l'aspetto che prevale sulla sostanza, un bel completo e un sorriso sbiancato è più convicente di un articolato dialogo politico; dove alla fine è l'emittente che decide cosa deve sapere lo spettatore e non certo il contributo dei suoi ospiti.

Ancora poi possiamo analizzare la residenza spartana e lurida del ricattatore, specchio della sua vita vuota e frantumata già dalla più tenera età; un ricattatore in realtà anch'egli vittima che non vuole nulla dal giornalista se non che ammetta la sua stessa natura, nascosta a sè stesso sotto una serie di ricordi manipolati e fasulli della sua infanzia.


Ed è proprio dal suo gesto finale estremo che il velo della superficiale apparenza di felicità viene strappato per sempre, con il marito e uomo che continua a negare l'evidenza perchè non sa come altro reagire alla vita, ma con la moglie e il figlio ormai consapevoli della sua patetica farsa e il suo sorriso falso indossato anche questo alla bisogna come fosse parte integrante del suo bel vestito da lavoro.


ASCOLTA IL SILENZIO
Perfettamente dosato il ritmo tra una scena e l'altra, tra i dialoghi sempre più concitati e acidi tra il marito e la moglie e quelli senza speranza di risposta e comunicazione tra lui e il ricattatore e suo figlio anche alla fine.

In tutto il film non cè praticamente colonna sonora poi, tranne la sigla del programma televisivo del giornalista, riempendo gli spazi coi respiri colpevoli di tutti i caratteri (nessuno è innocente) e i rumori urbani tanto noti all'uomo comune da appartamento, il traffico in sottofondo a migliaia di voci e sussurri di un grande condominio in una grande via trafficata e sovrappopolata.


Basta quindi un'inquadratura fissa di una telecamera per creare quel disagio che comincia lentamente a spaccare una famiglia e frantumare il muro che trattiene i ricordi d'infanzia rimossi del marito, un senso di colpa negato fino a punto di non esistere per l'inganno con cui ha fatto un torto al bambino che conviveva in casa sua, ospite figlio di genitori morti in un tragico episodio durante una sommossa popolare.

Il silenzio è quindi non solo del protagonista ma anche della Francia intera, ben felice di dimenticare quegli anni bui della "decolonizzazione" e le tragiche conseguenze che hanno avuto sulla popolazione algerina e francese; non a caso nel programma televisivo accennando parallelamente  alla guerra coloniale in Iraq spacciata come "pacificatrice" o l'annosa questione della Palestina.


Un film per cui non basta senz'altro una sola visione per coglierne i molteplici sottotesti e significati, sia nei dialoghi che sullo sfondo di molte inquadrature principali, tanto poi nelle vicende personali e psicodrammatiche di ogni singolo personaggio, al di là del minutaggio minore o maggiore che abbia nella storia.


CHIEDO SCUSA FIN DA SUBITO PER I PIU' "RAFFINATI" PATITI DEL CINEMA FRANCESE, NON E' MAI FACILE PARLARNE E FORSE IL SOTTOSCRITTO PUO' NON ESSERE ALL'ALTEZZA DI PRESUMERE DI CAPIRE APPIENO UN FILM DI MICHAEL HANEKE; CERTO PERO' PROVARCI E' LECITO COSI' COME QUELLO DI AMPLIARE I PROPRI "ORIZZONTI CINEMATOGRAFICI" AL DI LA' DEI FILM DI GENERE O PIU' PURAMENTE COMMERCIALI. RESTA INTESO CHE SENZA DUBBIO SI TRATTA DI UN'OPERA COMPLESSA DALLE MOLTEPLICI LETTURE, SICURAMENTE DA AFFRONTARE CON ATTENZIONE E NON PER PURO E SEMPLICE SVAGO, UN IMPEGNO CHE FORSE NE SPIEGA ANCHE LA SCARSA DISTRIBUZIONE NELLE SALE ITALIANE.

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Articolo pubblicato il 21/05/2017