Il 24 maggio 1923, a Viù (Torino)

Il sindaco socialista rifiuta di esporre la bandiera tricolore sul municipio: l’episodio è ricostruito da Alessandro Mella

Sottopongo molto volentieri ai Lettori di “Civico20News” questa ricostruzione di un curioso episodio avvenuto a Viù il 24 maggio 1923, redatta dall’amico Alessandro Mella (m.j.)

 

Spesso la Storia è fatta anche di piccoli aneddoti curiosi. Vale la pena ricordarne uno particolare, accaduto nella montana Viù, diversi anni orsono. Viù era stata amministrata per decenni, almeno dalla seconda metà dell’ottocento, da giunte d’ispirazione e vocazione liberale rispecchiando in minor misura una tendenza politica consolidata e favorita dall’elettorato ristretto.


Compagini elitarie contribuivano, infatti, ad affidare a sindaci di uguali vedute la gestione dei comuni grandi e piccoli. Con l’allargamento progressivo delle basi elettorali, anche i sindaci iniziarono ad essere politicamente più eterogenei e negli anni ’20 Viù prese ad avere anche giunte d’ispirazione socialista.


Le miserie e gli strascichi della Prima Guerra Mondiale avevano, tra l’altro, lasciato il segno e favorito quelle formazioni politiche che maggiormente sapevano esprimere il dissenso di chi sopportava una quotidianità non facile.


Tra questi sindaci venne eletto anche il socialista Giuseppe Fornelli che il 24 maggio 1923 fu protagonista di un episodio quasi spassoso e dal sapore vagamente guareschiano. Egli era, infatti, reduce di una guerra che i socialisti proprio non avevano voluto ed anzi avevano osteggiato con ogni mezzo.


La guerra era, nella logica socialista, una divisione che ostacolava la “riscossa proletaria” la quale non poteva concretizzarsi senza che prima i proletari di “tutto il mondo” non si fossero uniti.


I socialisti si consideravano cittadini del mondo, oltre i confini e le nazioni, per cui era inaccettabile, secondo loro, che i proletari fossero mandati ad uccidersi con altri proletari, solo per assecondare gli interessi ed i giochi di potere dei “padroni”. Il “sol dell’avvenire” reclamava unità proletaria per sorgere mentre la guerra innalzava barriere, divisioni e trincee.


Contrario a quel conflitto, e per formazione ideologica e per averlo vissuto sulla pelle viva, il Fornelli non si sentì sufficientemente in dovere di ricordarne l’inizio da lui certo considerato infausto:

 

L’ex sindaco di Viù, Giuseppe Fornelli, era appellante da una sentenza del Pretore locale che lo aveva condannato a 300 lire di multa.


La vigilia del 24 maggio dell’anno scorso [1923] - ricorrenza della entrata in guerra dell’Italia - il Fornelli, che era capo della amministrazione socialista di Viù, si rifiutò di esporre la bandiera tricolore dalla casa municipale, adducendo che tutti si ricordavano della data a cominciare da lui, che aveva appunto fatto quattro anni di guerra.


Sollecitato dal brigadiere dei carabinieri, anzi formalmente invitato ad esporre il tricolore, si rifiutò dichiarando che questa data non appariva dal calendario delle feste nazionali.


Poiché esistevano invece precise disposizioni al riguardo, pur non facendo segnalazione alcuna in riguardo il Calendario suddetto, il Sindaco venne, se non erriamo, sospeso, e poi denunciato all’autorità. Comparso davanti al Pretore si ebbe la condanna già nota di 300 lire di multa.


Il Fornelli, che ora non è più sindaco e, dicono, neppure più socialista, appellò e comparve ieri dinanzi ai giudici del tribunale. Dichiarò che effettivamente non si credeva tenuto ad esporre la bandiera, non figurando allora la data del 24 maggio tra le feste nazionali, ma poi avendo telefonato in Prefettura ed avendo avuto assicurazioni in riguardo, aveva esposto il tricolore. All’udienza di ieri venne difeso dall’avv. Carlo Barberis. Il Tribunale lo condannò a 100 lire di contravvenzione per rifiuto d’obbedienza. (“La Stampa”, 15 gennaio 1924).

 

L’estensore dell’articolo, apparso nella rubrica “Reati e pene” col titolo “La bandiera e l’ex-sindaco di Viù (Tribunale penale di Torino)”, non mancò di citare le ironie e le battute di spirito che circolarono attorno alla vicenda dal momento in cui, di fronte alla legge, il sindaco tentò di giustificare la sua azione.


Non rivendicò l’alto significato politico di quella sua protesta ma espose una serie di spiegazioni tali da lasciar pensare che egli fosse in buona fede ed il suo gesto fosse più un atto di ingenuità che una rigorosa presa di posizione.


Forse qualcuno che lo definì anche “non più socialista” volle ironizzare sul fatto che nel 1924 proclamarsi tale non era più tanto rassicurante e conveniente. Dall’ottobre 1922, infatti, a Palazzo Chigi vi era un certo Benito Mussolini che, pur essendo ancora il presidente del consiglio di un governo di coalizione, rappresentava un’area politica ormai del tutto ostile alle sinistre. Ed il peggio doveva ancora venire. Mesi dopo, in seguito all’omicidio di Giacomo Matteotti, il regime iniziò a prendere forma ed a consolidarsi progressivamente e le bandiere certo non mancarono più.


I pochi socialisti rimasti orgogliosamente tali andarono al confino o emigrarono all’estero. A Viù, poco dopo, non vi furono più sindaci e come in tutta Italia vennero i podestà. Ma questa è un’altra storia.

Alessandro Mella 

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Articolo pubblicato il 24/05/2017