Ora anche Padoan ‘vede’ la possibile fine dell’euro.

In un'intervista al Finalcial Times il ministro italiano attacca per la prima volta l'austerity.

Cogliendo al volo l’occasione dell’elezione di Emmanuel Macron in Francia, il ministro delle Finanze italiano Pier Carlo Padoan ha cercato una sponda Oltralpe per condividere le politiche europee del prossimo futuro. E per la prima volta anche Padoan – in una lunga intervista col Financial Times – ha parlato dei problemi legati al paradigma dell’austerità, della necessità di crescita e persino della possibilità della fine dell’euro senza un cambio di rotta.

Padoan – come nota Paolo Annoni su ilsussidiario.net – ha avvertito l’Europa dei rischi che si potrebbero correre se ci si limitasse a politiche fiscali restrittive perché “correremmo gli stessi rischi del 2010 e del 2011”. A cinque anni di distanza è ormai pacifico, anche per Padoan, che l’austerity è stata controproducente e tutti, o quasi, concordano che senza gli effetti devastanti sull’economia oggi gli indici di finanza pubblica sarebbero migliori.

Sicuramente quelli dell’Italia, che ha subito prima una recessione senza precedenti e poi le sue conseguenze sul sistema bancario: cinque anni di depressione e crisi di fiducia grazie all’austerity.

Macron ha richiesto la possibilità di un budget comune europeo che riduca le differenze tra le economie, perché “queste divergenze hanno creato le tensioni di cui ha sofferto l’Italia recentemente”. Padoan aggiunge: “L’incubo dell’elettore medio tedesco è perdere i soldi dandoli ai terribili europei del sud.

Siamo seri: la storia ci dice che l’integrazione monetaria richiede qualche forma di redistribuzione. Altrimenti l’aggiustamento che verrà presto o tardi sarà molto più dannoso per tutti i Paesi”.

Dunque, dice Padoan, non può esserci un’unione monetaria, con la stessa valuta, la stessa banca centrale e le stesse leggi in cui ci sono Paesi con la disoccupazione al 25% e altri al 5%, in cui alcuni hanno un surplus finanziario e altri un deficit.

La crescita delle divergenze in Europa non è un incidente dell’euro, ma la sua inevitabile conseguenza nella misura in cui si impone una rigidità a Paesi diversi senza nessun meccanismo di redistribuzione interna. “L’aggiustamento dannoso” di cui parla Padoan senza la redistribuzione si chiama rottura dell’euro.

Se si vuole continuare l’esperimento dell’Unione europea e dell’euro devono accadere due cose simultaneamente: che i Paesi del sud si adeguino alle richieste dell’Europa e che l’Europa, in quanto tale, si faccia carico della crescita e della redistribuzione. Questo implica che il cittadino tedesco accetti che l’Europa raccolga tasse per dare un sussidio di disoccupazione a un greco o per costruire una fabbrica o un ponte ad Atene, come faceva un veneto per la Calabria. Al di fuori di questo è pura follia ipotizzare che la distanza tra Grecia e Germania si possa accorciare quando, via austerity, è ormai chiaro a tutto il mondo che può solo allargarsi.

Senza questo cambiamento – si legge ancora – non solo l’euro finisce, ma finisce malissimo con la Germania circondata dalle macerie in Italia, Spagna, Portogallo, Grecia (140 milioni di europei – mezza Europa) e forse anche in Francia. Se l’Italia accetta di inserire in Costituzione il pareggio di bilancio trasferendo sovranità alla Germania via Europa, la Germania deve accettare che l’Europa tassi i tedeschi per pagare i sussidi di disoccupazione, deve accettare che i greci abbiano qualcosa da dire sulle tasse dei tedeschi esattamente come i tedeschi decidono le riforme in Grecia.

Altrimenti la Germania si tiene, lecitamente, i suoi soldi e l’Italia ritorna alla lira con cui ha dimostrato di saper vivere benissimo con i suoi pregi e i suoi difetti.

quifinanza.it

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 27/05/2017