Uno contro tutti di Trump a Taormina: G7 degli Usa un "successo".

Quando Paolo Gentiloni si presenta alla stampa per definire “un successo” il vertice di Taormina, Donald Trump ha già lasciato l’Hotel San Domenico, sede del summit. Va via a passo svelto, in attesa di raggiungere le truppe americane a Sigonella. A loro, e solo a loro, racconterà per sommi capi come sono andati questi due giorni di lavoro, sottolineando le richieste fatte: su sicurezza, sui migranti, “per proteggere i cittadini Usa”.

Ad aggiornare la stampa arrivata dagli States – non le centinaia di giornalisti del summit – invia invece due tra i suoi più potenti consiglieri, H.R. McMaster e Gary D. Cohn. E il loro è un controcanto del presidente del Consiglio: per Trump, dicono, il vertice è andato benissimo, non poteva andare meglio; il presidente aveva degli obiettivi e li ha raggiunti in pieno. Un successo, appunto.

Ma non è lo stesso di Gentiloni. Perché il premier italiano ammette molto onestamente le difficoltà di questi due giorni di discussioni, con distanze su alcuni temi sensibili rimaste tali.

E su queste distanze trova fondamento la soddisfazione americana. Che poi vi sia anche un malcelato nervosismo per quanto, nelle stesse ore, sta accadendo a Washington, questo è evidente nei gesti, non nelle parole. Bocche cucite sul caso Kushner, il genero del presidente coinvolto nell’inchiesta dell’Fbi sulle presunte ingerenze russe nelle elezioni, davanti alle insistenti domande dei giornalisti.

Sui grandi temi in discussione a Taormina, invece, Trump ha detto la sua, eccome. Tenendo il punto su migranti e clima, cedendo qualcosa – poco – sul commercio internazionale, sposando la tesi dell’unità contro il terrorismo e l’Isis, sostenendo la necessità di risolvere la questione nordcoreana con “misure rafforzate”.

Così come sulla Russia e il suo ruolo nella crisi Ucraina. “Le sanzioni” contro Mosca “potranno essere revocate quando la Russia adempirà ai suoi impegni. Ad ogni modo, noi siamo pronti ad assumere ulteriori misure restrittive nei confronti della Russia” recita il comunicato fine lavori. E Trump l’ha sottoscritto senza avere troppo da obiettare.

Molto più faticosi, invece, i negoziati sul pieno rispetto dell’Accordo di Parigi e sul commercio internazionale.

L’incessante e frenetico lavoro degli sherpa è servito solo a limare appena la dichiarazione finale. “Discussioni complesse e molto dure” le ha definite Angela Merkel. Nonostante le pressioni degli europei – la Francia soprattutto – Trump non ha cambiato la sua posizione sul clima: nessuna concessione alla controparte perché la valutazione in materia è ancora in corso. “Prenderò una decisione definitiva la prossima settimana!” ha annunciato enfaticamente Trump. Su Twitter, naturalmente.

Dunque, niente accordo sulla tematica ambientale che sta tanto a cuore a Parigi, ma una “presa d’atto” delle istanze Usa messa nero su bianco alla fine del vertice con una “formulazione non ideale” (copyright dell’Eliseo). Quanto al commercio, invece, Trump e gli altri Grandi hanno confermato l’impegno per tenere aperti i mercati e per combattere il protezionismo, restando fermi contro ogni pratica di commercio scorretto”. Un risultato di compromesso tra la posizione Usa e le pretese di condanna di “ogni forma di protezionismo”.

E anche sul tema dell’immigrazione Trump può rivendicare un buon risultato. Nella dichiarazione finale figurano solo due paragrafi dedicati al tema, in cui si ammette genericamente la necessità di aggredire le cause della “mobilità umana”.

Uno stringato riconoscimento dell’importanza di stabilire una “partnership” allo scopo di “aiutare i Paesi a creare nei loro confini le condizioni che risolvano le cause” della migrazione, ma anche l’affermazione dei “diritti sovrani degli Stati di controllare i loro confini e “stabilire politica nel proprio intersse nazioanle e della sicurezza”. Una chiosa di chiaro stampo americano, indicativa di quanto gli Usa e Trump abbiano condizionato la stesura del documento nella sezione dedicata all’immigrazione.

Insomma, a chi gli chiedeva rassicurazioni Trump ha risposto di fatto alimentando con parole e gesti “un sentimento di incertezza e insicurezza”. “Una cosa è chiara”, aveva avvisato già ieri il generale McMaster, il suo consigliere per la Sicurezza nazionale.

“Prenderà le sue decisioni in funzione di ciò che pensa sia meglio per gli americani”. Di certo, in questi due giorni a Taormina, il presidente Usa non ha fatto nulla per mostrarsi parte integrante del gruppo. “L’accomodante statista celebrato in Arabia saudita e Israele” di cui parlava stamane il New York Times, ora è diventato “il terribile americano che calpesta gli amici dell’America e cestina l’Alleanza atlantica”. “Il burino in capo”, lo ha apostrofato il quotidiano finanziario tedesco Handelsblatt, parafrasando la sua carica di “Commander in chief”.

Sempre in ritardo, nelle retrovie durante la passeggiata distensiva di metà giornata in centro città, ha interagito usando modi e toni diversi con i suoi interlocutori. Ha avuto una discussione “vivace e franca” con Angela Merkel, non ha mostrato pubblicamente la sua complicità con il suo “amico” Shinzo Abe, ha espresso vicinanza e cordoglio a Theresa May dopo la strage di Manchester.

Tutta da costruire, invece, la storia delle sue relazioni con il nuovo presidente francese Emmanuel Macron, al di là di un pranzo di lavoro, un primo scambio di opinioni “costruttivo e diretto” e una virile stretta di mano nei giorni scorsi a Bruxelles.

askanews

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Articolo pubblicato il 27/05/2017