Il Nirvana quale unica via di liberazione.

Il termine Nirvana è divenuto famosissimo in occidente non solo per il crescente interesse  al buddismo introdotto qua da noi dalla figura del Dalai Lama, ma anche per il notissimo  gruppo rock americano portante lo stesso nome. Nonostante ciò, pochi hanno approfondito questo concetto che suona esotico alle nostre orecchie moderne.

Nirvana propriamente significa “estinzione” ,”dissoluzione”, e ciò va preso nel senso letterale del termine, cioè l’eliminazione totale di tutto ciò che siamo, sia a livello fisico, psichico che spirituale. Rappresenta quindi la completa trasformazione della nostra statura plumbea nell’oro di una sovra coscienza difficile da definire e da inquadrare.

Bisogna notare il fatto che il Nirvana si ottiene in vita, con in possesso dell’apparato fisico che diventa così solamente un involucro di camuffamento, una sorta di vestito, utile per agire ancora nel mondo degli uomini legati alla ruota delle reincarnazioni.

Un concetto simile esiste nel sistema esoterico del sufismo ed è denominato “Fana”. Fana è traducibile con l’espressione “estinzione”, perfettamente parallela al termine buddista.

Il corpo di chi ha raggiunto il Nirvana viene definitivamente deposto in quel momento cruciale chiamato “Paranirvana”, che equivale alla eliminazione  finale di ogni possibile legame karmico, quindi all’effettiva uscita dalla ruota del Samsara.

Nel sufismo il Paranirvana viene  definito  con “fana el Fana”, ovvero come l’estinzione dell’estinzione. Esiste nel canone buddista ufficiale un piccolo libro dal titolo “paranirvanasuttanta”, dove viene descritto dettagliatamente il processo di questo ultimo distacco corporale, ed è molto apprezzato dagli studiosi seri del buddismo originale.

Lo scopo ultimo del continuo pellegrinare nella ruota circolare delle reincarnazioni, è quello di portare la coscienza ad una maturità tale che riesca a vedere come unica via di uscita dalle problematiche umane, proprio il Nirvana.

L’antica fraternità dei catari, sviluppatesi essenzialmente nel sud della Francia nel milleduecento, aveva come sigillo sacramentale, un rituale chiamato “Consolamentum”, che permetteva all’essenza profonda spirituale dell’uomo, di scindersi dalla sua controparte corporale legata alla terra e quindi mortale.

Il Consolamentum, se effettivamente applicato, rendeva l’essere che lo subiva, partecipe dello stato nirvanico di fana, lo liberava cioè dal perpetuo ciclo delle reincarnazioni.

L’uomo vive praticamente la sua effimera vita terrena, misconoscendo questo profondo fine, anche perché la ruota delle reincarnazioni è il dominio di Maya, delle illusioni cosmiche che ci fa accettare dei semplici passatempi come se fossero delle cose essenziali e piene di valori.

Ma la ruota del samsara retta alla base dalla dea Maya, è diretta anche dalla legge polare della dualità e quindi tutto si trasmuta nel suo opposto: il bene in male, la gioia in dolore, la vita in morte. Forse dopo migliaia di incarnazioni in questo livello dell’universo, l’anima è stanca di questa erranza instabile ed incomincia ad aspirare a qualcosa di immutabile, all’eternità, sinonimo anch’esso di nirvana.

Non a caso nel sistema filosofico rosacrociano moderno, lo stato di nirvana è chiamato “ statica” o “regno della statica”, poiché qui  tutto è unico e connesso e non esiste nessuna dualità, tantomeno quella di vita—morte tipica del regno samsarico retto dalla dea Maya in cui ora noi esistiamo.

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Articolo pubblicato il 29/05/2017