Disfatta l’Italia ora bisogna disfare gli italiani.

Ius Soli. La Patria non è un cavillo burocratico. Emanuele Ricucci.

Progresso. Ma dopo, cosa c’è? Dopo la vita e dopo la fine di Beautiful? Parliamo di cosa c’è dopo per la paura di vivere cosa c’è ora? Ce lo chiediamo perché la nostra natura è l’umile curiosità. Al contrario, invece, è perversione del coatto, come quella che segna la presunzione di un’epoca. Un’epoca che ha tutto: la tecnologia, gli hamburger vegani, il maglione per cani, le file all’Apple Store e l’Unione Europea.

Ma che soprattutto si è liberata dei più grandi fardelli: si è tolta dai piedi Dio e il senso di identità e confine; ha liquidato secoli di umanissime certezze (e quei valori non negoziabili che sono il piedistallo dell’essere semplicemente umani, citando Torriero, sono stati gioiosamente messi sul mercato), ha travolto le aggregazioni e gli atti essenziali, come la famiglia, la dignità, la partecipazione, la sovranità, la legalità, lo Stato padre, l’identità come amore, e la spontaneità – se entra un ladro in casa, tanto vale preparagli un bel panino quaglie e broccoletti -.

E poi, maestra di nichilismo, ha passato la spugna sulle cose semplici che sostengono il mondo, poiché ci risulta eroticamente indispensabile credere che sia necessario coltivare gli uomini, per poter coltivare le idee e non crepare di futuro (repetita…). Ha murato il cantuccio, l’angulus oraziano, quello da cui cogliere la visuale senza essere ancora corrotti dal mainstream. Luogo noto e sicuro, per ritrovare sempre se stessi nell’epoca della grande siccità dello Spirito.

Tutto questo, perché, dicono, dobbiamo andare oltre. Ma oltre de che? Oltre il sangue, persino. E tutto si riduce ad una questione di marketing (elettorale. Francia docet). Prendete lo Ius Soli. Approvato alla Camera nel 2015, rischia di diventare certezza il prossimo giugno al Senato. Il divieto di sosta per gli italiani. Ah la grande modernità! Ma lo sapevate che Kaled è nato in ospedale e quindi è un medico? Eh già, gli spetta di diritto. In tutti i sensi; anche se avrebbe voluto fare altro nella vita, il terrorista, ad esempio. Insomma non conoscevate la storia di Kaled. Curioso. In questo mondo iperconnesso. Storia, per altro, molto simile a quella di Omar, che è nato in Italia da padre libico e madre spagnola ed è italiano. Italianissimo, pugliese di Tripoli.

Nel giro di due anni, il gioco è fatto. Un Paese giovane, ancora alla ricerca di se stesso, che ancora deve sanare il divario tra Nord e Sud, tra secessionisti di confine ed il riconoscimento di un inno e di una bandiera nazionale, in cui ancora dobbiamo integrarci tra noi, figuriamoci. Un popolo che si sente unito davanti all’Italia che gioca per la qualificazione agli europei. Un Paese che ancora deve fare i conti con i vecchi italiani e che ora, già ne fabbrica di nuovi.

Le conquiste della civiltà: cento anni dopo, esatti, dalla Grande Guerra, la Camera dei Deputati approva lo Ius Soli. Ora tocca al SenatoamicodiRenzi. Cento anni prima il dovere degli italiani di sentirsi italiani, cento anni dopo il dovere di far sentire italiano chiunque passi di qui. A saperlo prima, avremmo detto a quei poveri ragazzi in trincea, soprattutto a quelli del ’99, così piccoli, di tornare a casa dalle mamme o dalle giovani mogli in Calabria, di lasciar perdere o al limite, di farla con i propri connazionali deliranti, la guerra, non con i dirimpettai o con qualche straniero. Connazionali…o sarebbe meglio definirci coinquilini d’ora in avanti? Disfatta l’italia ora bisogna disfare gli italiani, perché la nazionalità s’indossa come un vestito, si sceglie su un catalogo.

Che la coesione sociale è un problema serio, la governabilità è sempre a rischio, i poveri ci sono sempre stati, l’Italia inizia a diventare un lontano ricordo ed in questo paese, indiscutibilmente, oltre alle belle giornate di sole, alla pasta col pomodoro, al mare azzurro e alla pizza con i frutti di mare, si sta decisamente male, conviene aprire all’internazionalizzazione. L’ultima italianità rimarrà chiusa in uno stereotipo e nell’eco lontano, rimbombante delle note di Domenico Modugno, delle parole di Dante: “Sempre la confusion de le persone principio fu del mal de la cittade”.

Dopo la palese interruzione democratica riparte il “treno dei diritti civili”: la cittadinanza italiana è un affare da appioppare. Torna lo Ius Soli, per il secondo round, tra ridicolezze, poco sense of humour ed il dramma del fatto che non si stia scherzando, anzi, si faccia decisamente sul serio.  Dal diritto di sangue a quello di transito.

Acquista la cittadinanza per nascita chi è nato nel territorio della repubblica da genitori stranieri, di cui almeno uno sia in possesso del permesso di soggiorno Ue per soggiornanti di lungo periodo. Per ottenere la cittadinanza c’è bisogno di una dichiarazione di volontà espressa da un genitore o da chi esercita la responsabilità genitoriale all’ufficiale dello stato civile del Comune di residenza del minore, entro il compimento della maggiore età. Se il genitore non ha reso tale dichiarazione, l’interessato può fare richiesta di acquisto della cittadinanza entro due anni dal raggiungimento della maggiore età“, come riporta Repubblica e così come andò alla Camera.

Nessun cenno ad un giuramento, allo studio dell’identità di questo Paesaccio. Nessun sentimento. Nessun inno, nessun esame. Al limite lo ius culturae (tanto il latino sta bene con tutto, anche col beige), che consentirà ai minori stranieri arrivati nel nostro Paese prima dei dodici anni di diventare italiani esibendo una semplice licenza di scuola elementare, come risalta Gian Micalessin, sottolineando il pericolo futuro e palpabile di ritrovarci in casa il terrorismo con inaudita facilità.

Il gioco è fatto in barba a D’Annunzio e al Capitano Giovanni De Medici.

Cittadinanza, quindi, non è un mero fatto giuridico. A farcelo presente è anche Giuliano Guzzo: “L’assegnazione della cittadinanza per il solo fatto di nascere in Italia pare dunque, ad essere buoni, un azzardo. A maggior ragione se si rammenta che la cittadinanza non è un mero dato giuridico e che prevede la «condivisione di valori comuni che sono alla base del sentimento di appartenenza e dell’integrazione del soggetto all’interno di un comunità» [2], condivisione che fa sì che una data comunità possa, grazie ai propri componenti di diritto, continuare ad esistere preservando i propri tratti identitari. Facile, qui, l’obiezione: ma neppure tanti italiani onorano la loro cultura e la loro patria osservandone principi e regole. Certo, ma questo nulla toglie al valore della cittadinanza; in altre parole il problema, se molti cittadini non onorano i valori del loro Paese, non è dei valori, bensì di questa parte di cittadini, e sarebbe sbagliato utilizzare il pretesto della scarsa disciplina di taluni per svuotare di rilevanza un diritto – quello della cittadinanza – che riguarda tutti nonché, insistiamo, la sopravvivenza della comunità”

L’Occidente cadrà da dentro. Come ogni impero che si rispetti.

Ma è progresso. E quindi Dobbiamo andare oltre. Ma oltre de che?

Millantiamo un mondo libero, che ha capito i propri recenti errori, e poi se non metti il velo tuo padre ti gonfia come una zampogna, ci sono tir che travolgono e missili in cielo; si evocano fascisti ogni minuto, si lasciano crepare i giovani di futuro. I ricchi si arricchiscono, i medi muoiono, i poveri aumentano. Le domande etiche esplodono: io che ho un pène, ma vorrei una vagina, e mi rendo conto che, in realtà, il sesso è solo un ingombro, posso partorire pur non avendo l’utero?

Tutto questo perché, dicono, dobbiamo andare oltre. Abbracciare il Progresso.

Se la maestra Eugenia ogni volta che inizia a spiegare una parte di storia non la termina e va avanti con nuovi argomenti, improvvisamente, proiettando gli scolaretti nella confusione e costringendoli a tempestare l’ingenua Eugenia di domande, non è andare avanti, è creare confusione. Non è trasmettere conoscenza e consapevolezza. Per metter ordine al caos, serve ordine: non altro caos. I giovani virgulti, a fine anno c’arrivano lo stesso; i promossi, saranno promossi, i bocciati verranno frustati a casa dai genitori e Padoan continuerà a non sapere quanto costa un litro di latte; eppure i ragazzi, di storia, non c’avranno capito un cavolo, saranno confusi, si saranno dovuti adeguare in fretta e si accontenteranno così. L’importante è andare avanti.

Non sempre ciò che vien dopo è progresso. Ecco appunto. Ciò che vien dopo. Ma oltre de che? Oltre la funzione e l’essenza stessa degli uomini? Eppure a giudicare dalla lingua che parliamo, e quindi il luogo che viviamo, per essere fedeli ad Emil Cioran, la vita è un tutto un post.

Faccio un post-it per ricordarmi di scrivere un post che esprima sdegno sulla post verità che avanza mentre percepisco, dalla fondamentale battaglia per la democrazia di Emanuele Fiano, contro la vendita di gadget del Ventennio nel nostro Paese, che la post ideologia avanza e ci rende nuovi. Post, ma in che tempo? Posto cosa? Quale premessa? Dopo di che? Dopo il pudore, dopo il rispetto, dopo la famiglia, dopo il sesso biologico, e dopo Dio? Diritti, ora, quando, proprio per tutti

A posteriori verso il postribolo. Tutto a post, tranquilli.

Nel dubbio tiè pij’t la cittadinanza.

ilgiornale.it

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Articolo pubblicato il 29/05/2017