Lo strazio di Marco Lucchinelli per la morte del figlio Cristiano

Un ulteriore dramma vede un motociclista immolato sulla strada, vittima delle distrazioni automobilistiche. Ironico destino per chi si occupava di sicurezza stradale e di sport

Martedì scorso, nei pressi di Imola, Cristiano, figlio di Marco Lucchinelli, è rimasto vittima, di un fatale incidente stradale dopo aver impattato con la sua motocicletta contro un fuoristrada. Il padre, campione del mondo di motociclismo nel 1981 classe 500, ex pilota e manager che vanta una carriera costellata di successi, è piegato dal dolore.

Cristiano Lucchinelli aveva 36 anni ed era impegnato in un progetto dedicato alla sicurezza della guida, sia in campo agonistico, che in quello stradale: il Lucchinelli Experience. Progetto con sede all'autodromo Adria che Cristiano gestiva insieme al padre Marco e all'ex pilota Fausto Ricci, oltre a molteplici iniziative in altri circuiti, dedicate al mondo della motocicletta.

L'incidente ha suscitato una forte emozione, soprattutto tra gli sportivi e gli utenti delle due ruote. Al padre Marco, noto a tutti gli appassionati anche per la sua recente attività di apprezzato commentatore della moto GP sulla rete SKY, tutta la solidarietà degli appassionati, ma non solo.

A volte la vita sa essere molto crudele. La cattiva sorte ha colpito proprio chi era impegnato nel perfezionamento della guida sportiva, nell'educazione e nella prevenzione della categoria dei motociclisti, sovente additati come soggetti tendenti all'azzardo e al rischio, mentre molto spesso non è così.

Per prima cosa il motociclista è una persona e in quanto tale, alla guida di qualsiasi mezzo così come nel comportamento quotidiano, esprimerà se stesso e il proprio carattere. La motocicletta in realtà è uno splendido mezzo di trasporto e di sport, quanto una scuola di consapevolezza e di attenzione quando ci si rende conto della sua endemica pericolosità.

È ovvio che la velocità è una componente che aumenta il rischio, così come altre dinamiche legate all'equilibrio, ma il motociclista ne è consapevole e solitamente le gestisce sapendo quel che fa. Il pericolo più prossimo è rappresentato dalla scarsa visibilità di un mezzo dal profilo frontale minore, molte volte celato dagli angoli morti delle vetture.

L'alta densità del traffico, la fretta e la distrazione di molti automobilisti sono sovente all'origine di tragici incidenti procurati anche soltanto da manovre sbagliate e poco appariscenti che possono causare la perdita dell'equilibrio di chi si muove su due ruote.

Il continuo degrado del manto stradale, sempre più disseminato di buche e di trabocchetti è un pericolo aggiunto che da tempo reclama di essere eliminato. Improvvise rotonde asimmetriche, banchine a centro strada e la micidiale ghigliottina del guardrail in caso di una semplice scivolata sono anch’esse causa di incidenti e di gravi lesioni.

Il triagico incidente che ha decretato la scomparsa del figlio di Marco Lucchinelli ha suscitato un'onda emotiva al di là della dinamica del sinistro, che vede il pilota del fuoristrada indagato per mancanza di precedenza.

Come tante altre, reclama una necessaria attenzione verso queste problematiche a cui sono da attribuire manovre e comportamenti sovente confusi con atteggiamenti imputati ai centauri da una frettolosa morale comune poco informata.

Al grande, campione e alla sua famiglia, si stringe l'affettuosa, rispettosa vicinanza del popolo motociclista. Sono in molti a immaginare che Marco andrà incontro a un periodo duro e che la sua "stella fortuna" perderà molto splendore, intaccato da un dramma irreversibile. È quello di una giovane vita stroncata, di un altro motociclista caduto sul campo di una guerra non dichiarata.

Guerra che reclama troppe vittime sul nastro d'asfalto dove in realtà l'incidente stradale è nel 98,2% il prodotto di un errore umano e in quanto tale, poteva essere evitato.

L'educazione stradale è un soggetto a cui sono dedicate poche risorse, eppure ci sarebbe molto da fare. Non basta instaurare lo spauracchio dell'omicidio stradale, occorre anche adoperare le potenzialità dei mass media verso un'informazione su un problema comportamentale che ferisce e uccide un numero impressionante di persone, ma inspiegabilmente sembra non fare audience, non abbastanza.

Forse perché siamo abituati a certi modi di morire e ad altri no; quotidianità che ci minacciano subdole ogni volta che ci inoltriamo per strada e che ormai accettiamo come calcoli delle probabilità quasi scontati e meno originali di qualche attentato pseudo-mistico o politico che mette paura e aumenta gli ascolti, ma le lacrime che suscitano hanno il medesimo e inatteso, disperato, salato sapore. Difendiamoci almeno da noi stessi.

 

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Articolo pubblicato il 08/07/2017