Max Gallo: Nizza culla dell'unità Greco-Latina

Pubblichiamo integralmente un articolo del Prof. Aldo Alessandro Mola.

di Aldo A. Mola

 

Il presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, ha accolto Donald Trump, presidente degli Stati Uniti d'America, a Versailles. L'ha ospitato a pranzo con vista sui Champs Elysées e l'ha condotto dinnanzi al sarcofago di Napoleone a Les Invalides.

Gli ha mostrato in sintesi la grandezza della Francia, uno Stato millenario: storia e modernità, identità condivisa nei secoli, malgrado feroci guerre franco-francesi, da quelle di religione alla Fronda, dalla Vandea al “regolamento di conti” tra “liberatori” e “collaborazionisti” all'indomani dell'occupazione germanica, venti volte più sanguinoso di quello italiano dell'aprile-maggio 1945 e nondimeno accuratamente rimosso.

Il novantaduenne Pétain, eroe della Grande Guerra, fu condannato alla fucilazione (risparmiata solo per l'età). Però, quand'è il momento, la Francia sta “al di sopra della mischia”. Così vicina all'Italia e così diversa. Anche l'Italia ha monumenti strabilianti. Ovunque. E ne ha di eccelsi in Roma. Ma stenta a farsene vanto e vetrina. 

Ha una storia unitaria recente. Solo l'anno venturo festeggerà il centenario dell'unione di Trento e Trieste alla Patria: coronamento dell'antico “Patto di Ausonia”.

La differenza tra la Francia e l'Italia è evidenziata anche dalla narrazione storica. Lo mostra bene il caso di Max Gallo (Nizza, 7 gennaio 1932 - Cabris, 18 luglio 2017). Ricordato frettolosamente dai “media” all'indomani della morte, Gallo narrò la propria formazione nell'introduzione al volume “Cuneo-Nizza: storia di una ferrovia” (Cuneo, 1982), su invito di Franz Collidà, giornalista di rango: un libro da rileggere mentre la TAV si arresta, la linea Cuneo-Nizza langue e il Tenda è una vergogna.


Della sua famiglia, Gallo disse che gli rimaneva il ricordo della povertà. A cinque o sei anni sua nonna lavorava in una fabbrica di ceramica, forse a Mondovì. Trasportava pile di piatti “e quando uno di essi si rompeva, c'era il rimprovero e la trattenuta sul salario, così che i bambini talvolta dovevano dei soldi al datore di lavoro, invece di riceverne”: appena un secolo fa... Figlio di un piemontese con i baffi alla Umberto I, suo padre era migrato a Nizza per fame: a piedi, tappa dopo tappa.

Ma sempre fedele alla Patria. Vi tornò per fare servizio militare negli Alpini. La strada ferrata da Breil saliva sino a Vievola (raggiunta nell'età di Giolitti), poi si proseguiva alla bell'e meglio. Altrettanto valeva per chi da Cuneo puntava alla mitica  Costa Azzurra. I piemontesi a Nizza, ricorda Gallo, continuavano a preferire l'Asti spumante allo champagne, i formaggi delle loro valli originarie, il dolcetto… e a sognare gli antichi portici: soprattutto quelli di Cuneo, che con la imponente Stazione Nuova, monumento della Terza Italia, aveva un Consolato francese e rimaneva “Caput Pedemontis”, con statisti quali Giolitti e Marcello Soleri e politici come Angelo Segre, venerabile della “Vita Nova”.

Ma chi fu Max Gallo? Italiano? Francese? Fu appassionatamente nizzardo, come Giuseppe Garibaldi la cui biografia scrisse nel centenario della morte (1982). Dalla città di Caterina Segurana (la cui italianità è rivendicata da Giulio Vignoli in saggi documentati) assimilò l'“idea della Francia” quale sintesi della latinità e la narrò in opere di storia e in romanzi che gli assicurarono popolarità e il seggio n. 24 all'Accademia di Francia, tra gli Immortali: invidiato dagli eruditi che passano la vita a lucidare la loro miserabile piastrella senza alzare gli occhi alle pareti, né immaginano il Cielo al di sopra dell'“aiuola che ci fa tanto feroci”.

Max Gallo ha restituito ai francesi Luigi XIV, Robespierre, la figura gigantesca di Napoleone I e le altre epoche della Grande Nation. Perché ricordarlo anche in Italia? Tre motivi. In primo luogo dai suoi lavori Oltralpe sono nate opere di divulgazione televisiva, come la serie “Napoléon” di Yves Simoneau.

Sinora l'Italia non ha saputo fare altrettanto con i suoi re e non ha dedicato alcuna lettura filmica a nessuno dei presidenti della Repubblica, salvo lamentare che le Istituzioni sono ignorate dal “grande pubblico”. Come guida valga il bel libro di Tito Lucrezio Rizzo, “Parla il Capo dello Stato” (ed. Gangemi).

Molti sciocchini rivendicano il primato della  “territorialità” dimenticando la Patria. In secondo luogo, Gallo “nacque” militante del Partito comunista francese, il più settario dell'Europa occidentale. Ma, come Renzo De Felice e altri storici e politici italiani (fu il caso di Antonio Giolitti), dopo il 1956 si liberò dalle tossine, “capì” Mitterrand (decorato di Vichy) e divenne un liberale europeo.

Infine, a differenza di quanto  scritto da frettolosi autori di epicedi, non ebbe proprio nulla a che vedere con certi “divulgatori ” nostrani che si accanirono contro i difetti degli italiani e non ne seppero cogliere la grandezza al di là delle miserie, né la voglia e la capacità di riscossa dopo secoli di dominazione straniera.

In una stagione irripetuta della storiografia italiana si misurarono la “Storia d'Italia” diretta per la Casa Einaudi da Ruggero Romano e Corrado Vivanti e quella orchestrata per la Utet da Giuseppe Galasso, meritatamente Premio Acqui Storia alla carriera. Ma il richiamo alla forza delle idee è poi stato corroso dal particolarismo, oggi trionfante, che ha impoverito e frantumato la coscienza nazionale.

Oscurati e dimenticati i “Costruttori dello Stato” ripercorsi da Domenico Fisichella (ed. Pagine), prevalsero l'elogio di un “vate” politicamente arruffone come d'Annunzio, dell'“arci-italiano” Malaparte, “intellettuale” girevole come i pannelli solari, e di scrittori dalla penna svelta, corrosiva ma infine girevole, come quella di Indro Montanelli. E l'Italia? Troppo spesso fu irrisa e umiliata.

Max Gallo ha invece insegnato la via maestra della Storia: liberarsi dalle divisioni e farsi Nazione, in una visione superiore. Però, a differenza dell'Italia, la Francia fa leva su Istituzioni, come la Massoneria, che da secoli ne alimentano la coscienza civile. L'Italia ha Rosy Bindi...

In vista del centenario della Vittoria, il prossimo 4 novembre 2018, vi è tempo e modo di ricucire l'unità della storia nazionale. Lo fa il presidente Sergio Mattarella, forte delle virtù cardinali che quotidianamente spende da capo dello Stato, mentre il Parlamento offre uno spettacolo desolante proprio nel 70° della nascita della Repubblica.

Garibaldi, che vedeva lungo, propose Nizza areopago sovrannazionale per dirimere le contese tra gli Stati con soluzioni pattizie. Ve n'è bisogno mentre l'Unione Europea è un'etichetta stinta sulle divisioni tra Stati nazionali. Perciò è vivida la “lezione” di Max Gallo, italo-franco-nizzardo: emblema dell'unità greco - latina del Mediterraneo.

 

 

Aldo A. Mola

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Articolo pubblicato il 25/07/2017