CULT PER L'ESTATE - "Il verdetto"

Legal movie a firma di Sidney Lumet con protagonista uno strepitoso "perdente" interpretato da Paul Newman

Per questo mese di Luglio del 2017 abbiamo deciso di consigliarvi, ogni settimana, un film cult di un importante regista di cui magari si parla troppo poco o tende a essere dimenticato troppo in fretta.

Sidney Lumet è uno di quei registi che con il termine "cult" ha sicuramente confidenza, da "Quinto potere" a "Serpico" o ancora "Quel pomeriggio di un giorno da cani", i film culto dello stimatissimo regista statunitense si sprecano letteralmente.


Oggi parliamo di un'altro suo superbo lavoro alla regia con protagonista un fenomenale Paul Newman, attore che qui, alla soglia dei 60 anni, troviamo incupito e intristito come non mai, nel ruolo di un avvocato alcoolizzato ai giri finali della sua vita e della sua carriera.

Un vecchietto che però ancora avrebbe avuto tanto da dare nel ventennio a seguire, come protagonista di altri grandiosi film come "Il colore dei soldi" (seguito de "Lo spaccone" di 35 anni prima) di Martin Scorsese o ancora "Mister Hula Hoop", esilarante metafora del mondo degli affari piena della satira graffiante ormai nota dei fratelli Coen.


In questo caso Lumet torna a uno dei suoi generi più amati, ovvero il film di ambientazione giudiziaria, come fu per il suo lontano esordio del '57 con "La parola ai giurati", altro indiscusso caposaldo del genere amatissimo da pubblico e critica; oppure uno dei suoi ultimi film come "Prova a incastrarmi", divertente mega-processo in salsa italo-americana divenuto famoso per essere durato quasi 2 anni.

Dove nel primo Lumet seguiva da vicino i vari membri della giuria (il film si svolge quasi interamente nella saletta dei giurati) e nell'altro invece era incentrato più che altro sul divertente personaggio di Vin Diesel, attore solitamente sprecato nei ruoli di macho tutto muscoli ma che in questo caso, come attempato mafioso dalla parlata siciliana, era invece risultato un personaggio azzeccatissimo.

Un ambiente quindi, il tribunale, che il regista usa come pretesto per esaltare il suo modo di fare cinema e delineare ossessivamente il suo modello di caratteri umani, dagli avvocati ai testimoni fino all'irascibile giudice e i membri impassibili della giuria.


Ma come mai affibbiamo addirittura l'etichetta di "cult" a questo film di Lumet, tuttosommato anche con una trama giudiziaria già vista e rivista?

Scopriamolo addentrandoci meglio nei vari ingredienti che compongono questa riuscita ricetta di cinema degli anni '80, preparata da un maestro da cui c'è solo da imparare ammirando il suo lavoro fotogramma dopo fotogramma.


GIUSTIZIA CIECA E SORDA
Partendo dal "pretesto" di una causa contro un ospedale di Boston, reo di aver ridotto in coma una povera ragazza durante un operazione di routine; Lumet ci descrive innanzitutto un mondo, quello giudiziario e politico, ecosistema dove il vecchio Paul Newman è quasi uno scarto ai margini della società.

Un mondo dove chiesa e potere e denaro (l'ospedale è infatti sotto l'egida del vescovato) si amalgamano in una disgustosa pozione malefica; dove giudici e avvocati di una parte o dall'altra sono in vendita, dove prove e testimonianze fondamentali vengono seppelliti con miseri trucchetti e gabole legali da quattro soldi.


Un mondo che ha già sconfitto il protagonista fin da giovane, quando aveva osato tenere la testa alta contro l'ennesimo abuso amorale e dal quale era uscito con le ossa rotte, il matrimonio distrutto e un inizio di alcoolismo cronico che lo porterà ad essere il relitto umano che lo vediamo all'inizio del film.

Un Paul Newman che però ha un regurgito d'orgoglio quando si tratta di liquidare il caso con una somma di denaro, risalendo stancamente in sella e imbracciando la lancia contro i mulini a vento dei soldi e del potere politico schierati compatti contro la povera ragazza menomata da un errore medico che tutti insistono a negare.


Nel contesto si inserisce anche la bella e misteriosa Charlotte Rampling, donna vissuta che incontra in un bar e con la quale allaccia una relazione, più di affetto e tenerezza che di passione e sensualità come giovani innamorati.

Un altro personaggio ambiguo inserito non a caso nella vicenda, anzi snodo fondamentale delle vicissitudini finali del difficile processo di Newman, dove pare avere tutto e tutti contro e forse per questo sempre più testardamente pervicace nel voler proseguire la sua lotta.


UNO SPACCONE ALLA SBARRA
Semplicemente sublime l'interpretazione di Paul Newman.

Attore che nella sua vita ha ricoperto una sterminata varietà di ruoli, dal "biliardista" bullo de "Lo Spaccone" al riottoso carcerato in "Nick mano fredda"; così come ex-piromane innamorato ne "La lunga estate calda" allo scienziato che si trova coinvolti negli intrallazzi e i complotti Hitchcockiani de "Il sipario strappato"; se non ancora infine nelle vesti del mitico pugile Rocky Graziano nel film "Lassù qualcuno mi ama".

In questo caso, ben lontano dal ruolo del bel fusto dagli occhi di ghiaccio, indossa le vesti del già citato avvocato Frank Galvin, avvocato beone vecchio e stanco, cinico disilluso e sconfitto dalla vita decadi addietro agli avvenimenti che danno il via alla storia.


Un avvocato come detto solo contro tutti, all'inizio perfino i genitori della povera ragazza in coma che volevano lasciarsi alle spalle tutta la faccenda con un facile e risibile risarcimento.

Sconsigliato dallo stesso giudice e dai colleghi, su tutti il rivale interpretato dall'altrettanto bravo e cinico James Mason, avvocato di grido con cui dovrà scontrarsi; il buon Newman trova (letteralmente) sul fondo della bottiglia un ultima ragione per cui lottare.

Ed è così che intravediamo finalmente un pò di vita negli occhi stanchi del vecchio e inutile perdente che ci viene presentato all'inizio, ravvivato ulteriormente dalla breve love story con la bella Rampling; se non poi finire ancora più cinico e solo di quanto era prima.


Un interpretazione fatta di un uomo vestito in modo anonimo e quasi dismesso, una voce bassa e rotta dalla tosse pronta a scoppiare in tutta la sua furia sopita da anni, una postura dalle spalle basse e la testa china che finalmente si raddrizza con un sussulto di dignità per l'ultima battaglia.

Un moderno Don Chisciotte in lotta contro degli apparentemente invincibili mulini a vento, per un'altra interpretazione da incorniciare a eterna memoria del divino Paul.


REGIA D'AUTORE OLTRE OGNI RAGIONEVOLE DUBBIO
Da non sottovalutare neanche lo storico David Mamet, sceneggiatore di lusso per questo film oltre che regista di carriera da quasi quarant'anni.

Una storia di uomini duri, scafati dalla vita, insensibili a ogni sofferenza terza; impegnati nella carriera e a far soldi come missione prioritaria nella vita sopra qualsiasi altra cosa.


Una storia saggiamente messa in scena con una fotografia fredda, priva di calore umano (tranne nei momenti della Rampling) e priva di qualsiasi empatia e morale come anonimo e freddo sono il duro marmo e i banconi di legno del tribunale.

Una giuria muta sullo sfondo, apparentemente insignificante ma in realtà vero cuore pulsante dei cittadini e che ribalterà la sentenza nonostante tutto il potere, l'amicizia e l'influenza del Vescovato.

Memorabili le sequenze iniziali che con poche riprese fisse e un laconico zoom sul viso stanco di Paul Newman mettono lo spettatore nel giusto "mood" della vicenda come se avessero letto 50 pagine del libro, grazie a un montaggio semplicissimo che lascia tutto il tempo (finalmente) agli attori di recitare sulla scena e dare il meglio di sè stessi nei loro ruoli.


Un processo che seguiamo gomito a gomito con il grande Newman, durante il processo palesemente solo anche come scelte di inquadrature ampie che lo fanno sembrare un puntino tra la folla; un attempato guardiano del faro rimasto solo a lottare contro le onde che si abbattono sulla scogliera.

Un piccolo gioello di tecnica da manuale e fotografia basilare a cui si aggiunge una recitazione composta e rigida come gran parte dei protagonisti, inflessibili nelle loro scelte e le loro posizioni, punti fermi come riferimenti della società moderna nell'ottusa ingiustizia di asservirsi ai più danarosi e potenti contro il singolo e indifeso individuo, vittima sacrificale sull'altare della società pur di non inguaiare i conti e la reputazione dell'ospedale.



CONSIGLIAMO OGGI QUESTO (COME POI TUTTI GLI ALTRI) FILM DI SIDNEY LUMET, UN AUTORE FORSE "DIMENTICATO" DALLE NUOVE GENERAZIONI MA CHE HA IN SACCOCCIA FILM PIU' CHE MAI ATTUALI DI UMANITA' E CORRUZIONE COME I VARI E GIA' CITATI "SERPICO" O "QUEL POMERIGGIO DI UN GIORNO DA CANI"; UN AUTORE DALLO STILE UNICO E RICONOSCIBILE COME DOVREBBE ESSERE UN VERO REGISTA, SOBRIO ED ELEGANTE COME UN UOMO IN SMOKING MA CAPACE DI STENDERE IL SUO PUBBLICO COME UN PUGILE NAVIGATO, LAVORANDOLI LENTAMENTE COL SUO JAB DI MESTIERE CINEMATOGRAFICO E METTENDOLI KO CON LE PROVE DEI GRANDI ATTORI CHE SCEGLIEVA COME PROTAGONISTI, COME L'IMPAGABILE PAUL NEWMAN DI QUESTO STRAORDINARIO FILM DI CUI ABBIAMO APPENA PARLATO.

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 30/07/2017