Olimpiadi invernali 2026: Perché non candidare l’accoppiata Torino e Milano?

Pubblichiamo una riflessione del Direttore di 2006PIU’ Marco Margrita pubblicata sull’ultimo numero della rivista scaricabile sul sito www.daiimpresa.it

In un recente convegno sulla Montagna - “là dove tutto nasce”, recitava il titolo – promosso presso la Cascina della Marchesa a Torino, impeccabile padrone di casa Luigi Chiabrera, il giornalista Francesco Marino ha lanciato l’idea di una nuova candidatura di Torino ad ospitare i Giochi Olimpici Invernali, quelli del 2026.

Il presidente del Coni, Giovanni Malagò, dopo aver visto sfumare, con il niet della grillina Virginia Raggi, l’ipotesi di portare a Roma le Olimpiadi estive del 2024, sta lavorando, in realtà con pochi agganci in un mondo politico affaccendato nelle manovre pre-elettorali, alla candidatura di Milano per la stessa Olimpiade.

Entrambi i progetti, inutile nasconderlo, hanno molti punti di debolezza. Su tutti, come già nel caso romano, una tutt’altro che invidiabile situazione dei conti pubblici italiani che sconsiglia di avventurarsi in organizzazione di grandi eventi; su cui, per altro, il consenso sociale è sicuramente meno forte del passato, in questo contesto di sfiducia generalizzata rispetto alla classe dirigente.

Nello specifico subalpino, poi, pesano le polemiche rispetto al destino degli impianti, come la pista di Bob a Cesana e il trampolino per il salto a Pragelato, che non hanno rappresentato certo una legacy entusiasmante. La prospettiva meneghina è resa accidentata dall’assenza di strutture sportive e dalla percezione tutt’altro che alpina che la città ha.

Ci sono anche gli atout positivi: per Torino il ricordo di un’esperienza che ne ha portato alla ribalta un’immagine d’insospettabile bellezza e per Milano il successo dell’Expo che ne ha fatto una vera capitale planetaria.

Il dibattito è ancora sotterraneo.

Questi, d’altronde, non paiono proprio essere tempi in cui si possano mettere all’ordine del giorno progetti che traguardano a orizzonti non immediati. Manca, poi, quel clima di forte attenzione all’interesse nazionale e il plus rappresentato dalla concordia politica tra le Istituzioni.

Dal nostro piccolo “pulpito di carta” ci sia permessa una proposta hard, che potrà apparire persino balzana agli attuali protagonisti della scena pubblica impegnati nella mera gestione del quotidiano: perché non avanzare un’unica candidatura di Torino e Milano.

Una candidatura alpina e padana, che dia una complessiva visibilità a un’area che deve cercare di trovare una sua unità (senza fare del capoluogo piemontese una periferia un po’ sfigata della capitale economica italiana) e un protagonismo sulla scena globale all’altezza della vitalità che conservano.

Varrebbe la pena iniziare a parlarne, per uscire dagli ambiti ristretti del localismo stolto che ha nel rifiuto di grandi opere e grandi eventi uno dei suoi sintomi più visibili. E dannosi.

Marco Margrita

@mc_margrita

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Articolo pubblicato il 14/08/2017