Gli Immortali – “Rosemary’s Baby – Nastro rosso a New York”

Mia Farrow e John Cassavetes nell’horror psicologico-demoniaco capolavoro di Roman Polanski

Anno: 1968

Titolo originale: Rosemary’s Baby

Paese: USA

Durata: 136 minuti

Genere: Thriller, Horror

Vietato ai minori di 14 anni

Regia: Roman Polanski

Soggetto: Ira Levin (romanzo)

Sceneggiatura: Roman Polanski

Cast: Mia Farrow, John Cassavetes, Ruth Gordon, Sidney Blackmer, Maurice Evans, Ralph Bellamy

L’estate è la stagione più indicata per farsi venire i brividi con un bel film dell’orrore, visto che da qualche anno a questa parte le uscite al cinema dei mesi caldi propongono quasi esclusivamente questo genere. Se le ultime tendenze in fatto di horror offrono soprattutto massicci utilizzi di effetti speciali per procurare grandi spaventi e distrarre così il pubblico da una sostanziale mancanza di carattere, rivediamo dunque un caposaldo del genere, agghiacciante e spaventoso grazie a un’ottima scrittura e un sapiente uso della macchina da presa.

L’anno era il 1968 e ad un giovane Roman Polanski venivano affidate la regia e la sceneggiatura del suo primo film hollywoodiano, Rosemary’s Baby – Nastro rosso a New York, prodotto dalla Paramount sulla base dell’omonimo romanzo di Ira Levin appena uscito, al quale il film è fedelissimo.

Guy Woodehouse, attore emergente, e sua moglie Rosemary stanno cercando casa, e la trovano in un esclusivo complesso residenziale di Manhattan, la cui fama sinistra non li preoccupa affatto. Qui conoscono gli anziani coniugi Castevet, loro vicini, i quali si affezionano molto alla giovane coppia. Quando Rosemary rimane incinta e vive una gravidanza difficile, l’attaccamento  dei Castevet si fa morboso e lentamente la donna scoprirà un piano diabolico (in tutti i sensi) ordito alle sue spalle per portarle via il nascituro.

Le primissime immagini del film, con i titoli di testa in corsivo rosa su panorami newyorkesi accompagnati da un’angosciante ninnananna canticchiata a mezza voce da Mia Farrow (le stesse che chiuderanno il film), la dicono già lunga sull’atmosfera che regna sovrana in Rosemary’s Baby. Considerato uno dei lavori migliori di Polanski, se non il migliore, il film è un capolavoro di inquietudine e turbamento, che mantiene viva nello spettatore una sensazione di apprensione per tutta la sua durata peraltro estesa, due ore e un quarto che sono tutto tranne che prolisse.

L’impressione di vivere un incubo senza fine non viene mai meno, e come già detto non è realizzata attraverso un’esibizione artificiosa di orrori – l’elemento esplicitamente sovrannaturale è relegato alla sequenza allucinatoria della notte del concepimento, che peraltro non è chiaro se sia realtà o incubo -  bensì veicolata da una sceneggiatura perfetta e dalla capacità di costruire e alimentare la tensione e l’ambiguità tramite lo strumento cinematografico.

In particolare, la claustrofobia, tema ricorrente nell’opera di Polanski, pervade tutto il film ed è ancora più efficace dal momento che si nasconde dietro la lussuosa e luminosa facciata dello splendido appartamento di Manhattan, imbiancato e arredato con gusto moderno, che proprio in forza della sua bellezza acuisce la netta impressione che ci sia qualcosa che non va. (Il palazzo di New York dov’è girato il film esiste, si chiama Dakota e ha davvero la fama di aver ospitato orribili vicende e crimini efferati; fu davanti a quest’edificio che nel 1980 John Lennon venne ucciso con quattro colpi di pistola).

Lo spettatore si ritrova a chiedersi se simpatizzare con la povera Rosemary, vittima di un agghiacciante complotto, o se invece compatirla per la sua paranoia. C’è davvero lo zampino del diavolo o è tutto nella testa della donna? Questo sino alla fulminante sequenza finale, quando vediamo Rosemary avvicinarsi alla culla nera e assistiamo con il fiato sospeso alla sua reazione sconcertata - ma non ci è dato vedere chi o cosa lei veda, mossa registica geniale che non fa che accrescere la nostra disperata curiosità.

Rosemary’s Baby è quindi un thriller, ancora più che un horror, fortemente psicologico e introspettivo, dove i meccanismi mentali dei personaggi sono protagonisti e motori della narrazione, specie quelli di Rosemary, il cui punto di vista ci guida attraverso tutta la vicenda.

L’elemento religioso, incarnato dal cattolicesimo di Rosemary e dai sensi di colpa che ne scaturiscono in alcune brevi, oniriche sequenze, è un sottotesto fondamentale del film, curioso contrappunto all’altrettanto fervida convinzione degli adoratori di Satana. Tra le righe non è difficile scorgere una critica alla facilità con cui chi crede in qualcosa di superiore possa essere vittima delle sue stesse credenze, che sia da una parte o dall’altra, così come alla mentalità piccolo-borghese e arrivista perfettamente esemplificata da Guy.

Il lungometraggio è una macchina perfetta anche grazie all’apporto fondamentale degli attori, su tutti Mia Farrow nei panni di Rosemary. Al suo primo ruolo da protagonista, l’attrice americana (all’epoca sposata con Frank Sinatra, che le fece recapitare i documenti del divorzio sul set) stregò pubblico e critica con la sua interpretazione sofferente e straniata, i capelli tagliati cortissimi e una magrezza quasi patologica che ne accentuava il volto tormentato. Rosemary’s Baby la consacrò come star internazionale, facendole ottenere un David di Donatello come migliore attrice straniera. Diversi anni più tardi l’attrice ebbe un ruolo che venne visto come l’ideale ritorno in scena di Rosemary in Omen – Il presagio di John Moore.

John Cassavetes interpreta il marito Guy, in fin dei conti il vero villain della storia, mentre Ruth Gordon e Sidney Blackmer sono gli ambigui Minnie e Roman Castevet. La Gordon, per il suo ruolo della ossessiva e importuna Minnie, vinse il premio Oscar come miglior attrice protagonista (l’unico per un film horror fino a Il silenzio degli innocenti nel ’91).

Nel cast, non accreditato, figura anche Tony Curtis, non perché appaia fisicamente nel film, bensì per aver prestato la voce a Donald Baumgart, l’attore scelto per una parte importante poi andata a Guy Woodehouse quando l’uomo diventa improvvisamente cieco, con il quale Rosemary parla al telefono. Polanski non rivelò alla Farrow di chi era la voce con la quale avrebbe interagito, e così facendo ottenne una sincera sorpresa e confusione, catturate sul volto dell’attrice nella sequenza della telefonata.

La colonna sonora è firmata dal compositore e pianista jazz polacco Krzysztof Komeda, autore delle musiche di diversi altri lungometraggi di Polanski. L’inquietante ninnananna cantata da Rosemary sui titoli di testa e di coda, Rosemary’s Lullaby o Sleep Safe and Warm, è rimasta nella memoria collettiva e arrangiata da diversi artisti.

Rosemary’s Baby – Nastro rosso a New York è stato il capostipite di una lunga serie di film dell’orrore sui temi stirpe demoniaca e bambini diabolici, ed è oggi considerato un’importante svolta nel genere nonché un film di culto. In parte, la sua fama è anche dovuta alla tragica scomparsa della moglie di Polanski, Sharon Tate, assassinata solo un anno più tardi dai seguaci di Charles Manson quand’era all’ottavo mese di gravidanza, in un terribile e chissà quanto casuale parallelismo con le vicende del film.

Nel 2001 l’American Film Institute ha inserito Rosemary’s Baby al nono posto della classifica dei migliori cento film thriller o horror della storia del cinema.

Un classico del genere horror psicologico, confezionato con altissima perizia e con un cast di ottimi interpreti. Un incubo claustrofobico che spaventa nel profondo e a lungo, di una paura mentale e non visiva accompagnata a diverse e profonde riflessioni. Gli appassionati del genere e i cinefili tout court non possono non vederlo almeno una volta nella vita.


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Articolo pubblicato il 19/08/2017