Sergio Zaniboni ha lasciato la sua matita...

Il vissuto ricordo del dottor Gianni Marietta, ingaggiato con alcuni compagni di studi, futuri veterinari, come modello nella preparazione dei fumetti di Diabolik e del “Tenente Marlo”

Presento con grande piacere ai lettori di “Civico20News” questo ricordo di Sergio Zaniboni scritto dall’amico e collega dottor Gianni Marietta (m.j.)

 

Era un elettrotecnico e da elettrotecnico all’ENEL aveva cominciato la sua carriera lavorativa. Una carriera sicura, tranquilla, serena… avvilente. Lui era un artista. Il disegno era il suo destino. E così, verso i trent’anni mollò tutto per cominciare un’attività che gli dava meno certezze, ma che era quella a cui era destinato.


Oggi Sergio Zaniboni, che ci ha lasciato pochi giorni fa all’età di 80 anni, è uno dei più apprezzati fumettisti italiani, ma all’inizio non deve aver trovato certo una bella strada spianata. Da radiotecnico che era, come si è detto, si è inventato illustratore grafico e pubblicitario. Si fece notare con un logo delle “Figurine Panini”, disegnando la famosa fotografia di una plastica rovesciata di Carlo Parola. Poi il colpo che attendeva da tempo: l’ingresso nel mondo dei fumetti a metà anni sessanta, con una collaborazione con l’editore Gino Sansoni, realizzando alcuni adattamenti di romanzi, tra cui “I promessi sposi”. All’epoca Gino Sansoni era sposato con Angela Giussani: a quel punto era fatta! L’intervento di Zaniboni nella produzione di “Diabolik” era ormai una realtà.


In breve entrò a far parte dello staff ufficiale di Diabolik, diventando uno dei disegnatori principali del personaggio, con centinaia di avventure disegnate e svariate copertine. Con lui, il volto monocorde e sempre corrucciato che il personaggio aveva mostrato agli esordi, si era aperto a una serie di espressioni più varie: è diventato più credibile, più «vero».


Zaniboni, amava ispirarsi dalle situazioni reali. Faceva fotografie “anche ai passanti che avevano posizioni strane”, raccontava e da quelle traeva lo spunto per le sue tavole.


Ingaggiava amici e conoscenti come modelli per i personaggi e alcuni gli sono stati grati per anni. Dice Cristina Adinolfi, in una intervista: “Quando mi è stato chiesto di prestare la mia immagine a Eva Kant ho accettato senza farmi problemi, magari per comprarmi un paio di jeans in più senza dover chiedere i soldi a mia madre. Ero giovanissima, i miei amici a volte mi prendevano in giro, e mi chiamavano Eva. Ancora oggi qualcuno sul cellulare mi ha memorizzato così”.


Anch’io ero stato ingaggiato per fare da modello. Attraverso l’amico e collega Franco Adinolfi, fratello di Cristina/Eva, di tanto in tanto ero convocato in corso Benedetto Brin, a Torino, dove Sergio aveva attrezzato la stanza dove viveva prima di mettere su famiglia, a casa dei suoi, come una sala di posa. Lui seguiva la sceneggiatura che gli arrivava dalle sorelle Giussani e ci disponeva lì, immobili, come in un fotoromanzo, secondo le necessità del copione. Cappotti, pistole, cappelli, occhiali uscivano da comò e armadi a conferire un ché di realistico alle nostre pose. I suoi figuranti erano i nostri compagni di studi, futuri veterinari come me o Franco Adinolfi ed il compianto Massimo Bravo.


E poi c’era lei: la giovanissima Cristina, che Zaniboni aveva utilizzato per dare quel tocco espressivo tutto suo ad Eva Kant: quel tratto che l’ha reso famoso. “Zaniboni”, commenta Mario Gomboli, “ha dato a Diabolik, e soprattutto a Eva Kant, la loro inconfondibile impronta grafica. Con lui scompare un pezzo di storia non solo del Re del Terrore, ma di tutto il mondo del fumetto italiano”. Già, proprio così. “Sergio Zaniboni non si limitava a disegnare Diabolik, gli dava vita” commenta sulla fanpage di Facebook Marco Pettinari.


Ha lavorato molto anche per il «Giornalino» e proprio negli ultimi anni settanta, insieme a Claudio Nizzi, aveva ideato il “Tenente Marlo”. Ricordo con un pizzico di orgoglio questo fumetto, poiché l’ispettore Pete, braccio destro di Marlo, era strutturato proprio sulla mia figura. Beh, naturalmente il Tenente ricordava le fattezze di Franco Adinolfi.


Si era anche cimentato con una storia speciale di “Tex”, un album dal titolo “Piombo Rovente”. Qui si dovette mettere alla prova col suo timore di non saper disegnare i quadrupedi. “Ho fatto delle riprese al maneggio vicino a casa mia: volevo imparare a far bene i cavalli”, confidò anni fa.


Qualcuno ha detto: “Oggi non è solo la sua matita a essere triste”. Concordo pienamente.

Gianni Marietta

 

 

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Articolo pubblicato il 27/08/2017