Festa dell’Unità: incontro con il ministro Minniti

Il Ministro degli Interni a ruota libera tra immigrazione, legalità e umanità.

Torino. E’ il personaggio più apprezzato del momento, almeno all’interno del Pd.
Un partito, quello democratico, alla disperata ricerca di un’identità, persa per strada dopo la batosta del referendum e le successive elezioni amministrative.
Un po’ per caso, un po’ per disperazione è spuntato dal mazzo Marco Minniti, da una vita nelle file della sinistra, ma con un ruolo non sempre di primissimo piano: da oltre otto mesi è alla guida del Ministero degli Interni.
Non dev’essere complicato sfigurare quando prendi il posto di Alfano, tuttavia il neo ministro sta avendo un ruolo cruciale nel limitare gli sbarchi di immigrati sulle coste italiane e la relativa svolta populista che in molti, tra le file del Pd, temevano.

Quindi l’inizio è incoraggiante, e tra le sedie sotto il capannone della festa dell’Unita, quest’anno tenuta dalle parti del Parco Dora, si respira grande interesse. Tutta l’area è chiusa al pubblico e i controlli per accedervi sono serrati. Tra i presenti, oltre alle decine di poliziotti in borghese e non, c’è qualche Giovane Democratico, diversi curiosi e una fitta schiera di anziani.
Il vento trasporta un buon odore di grigliata e patatine, e i bicchieri sono colmi di birra, oltremodo cara.
Da una palestra fuoriescono le note di un liscio.
Le coppie all’interno sembrano aver ballato su vari decenni di storia.

Con quaranta minuti di ritardo arriva il Ministro, preceduto da scorta e uomini in antisommossa, camicia blu scuro e completo nero.
Si scusa con la platea per il ritardo, colpa dell’aereo.
Sul piccolo palco, oltre al Ministro, l’onorevole Stefano Esposito e Carlo Bonini di Repubblica, che medierà l’incontro.
Si parte subito con l’affermazione, che suona a mò di provocazione, che la sicurezza sia un concetto di destra, cosa subito smentita da Minniti che sottolinea come la sicurezza non dev’essere intesa solo come una camionetta della polizia che presidia una piazza, ma anche come la luce, il recupero urbano, i progetti legati a quella piazza. Allora sì che la potremmo considerare un valore di sinistra.
Sicurezza non è mostrare i muscoli, ma cercare di prevenire eventuali problematiche.

Apre poi una lunga parentesi sulla sua storia personale e politica: gli anni della militanza all’interno del Pci, la distanza che lo separava da chi sparava durante gli anni di piombo, rivendica con orgoglio “io sono figlio di quella storia”, sottolineando come un ministro non debba polemizzare con le altre parti sociali e politiche, bensì ascoltarle.

Il tono è forte, la dialettica precisa e puntuale. E gli applausi non si fanno attendere.
La priorità, accelera il Ministro, è quella di abolire l’associazione immigrazione/emergenza.
Infatti con il termine emergenza, sembra si debba cercare una soluzione temporanea, una sorta di pezza da porre per gestire ciò. Ma è un ragionamento sbagliato, si devono trovare soluzioni a ampi respiro.

Per fare ciò dichiara di aver intrapreso un lungo percorso con i Paesi del Mediterraneo , specie la Libia, fatto di dialogo e aiuti reciproci.
E’ convinto , Minniti, che quello debba essere il nostro primo interlocutore; anche perché si tratta di uno Stato fortemente danneggiato dal traffico di esseri umani: il 97% dei partenti verso l’Italia parte dalle coste che erano governate da Gheddafi, e solo un numero infinitamente piccolo è libico.
Fa capire che il concetto “aiutiamoli a casa loro” di salviniano stampo non è così tanto sbagliato: certo, non usa le stesse parole del leghista, però fa intendere come sia necessario garantire ai Paesi africani sviluppo e investimenti, oltre che una nuova classe dirigente, magari formatesi nelle università europee.

Una volta gestiti i flussi, nella ipotetica fase due, Minniti azzarda come l’Italia possa farsi carico di gestire i cordoni umanitari oltre che garantire un certo grado di immigrazione regolare.

Smentisce il legame tra immigrazione e terrorismo ma sottolinea come esso possa scaturire da una pessima integrazione: l’accoglienza ha un limite nella capacità di integrazione.

Infine Bonini gli chiede una battuta sul Moi.
Minniti risponde che bisogna sempre seguire due rette, la legalità e l’umanità; nel primo caso significa fare in modo che le case occupate vengano restituite ai loro proprietari, senza però lasciare indietro gli ultimi, coloro per i quali devono essere create strutture alternative.
Il suo modello di accoglienza, chiosa infine, prevede una distribuzione diffusa dell’immigrato, così che ogni comune sia in grado di gestire un numero limitato di persone.
La fine è un bagno di folla, qualche tv locale e parecchi flash.
C’è ancora tempo per un giro tra gli stand, le grigliate e le patatine lo tentano.
Di là si suona ancora il liscio.
Non ha mai smesso.

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Articolo pubblicato il 09/09/2017