La “Torino noir” vista e narrata da Milo Julini

Platone in tribunale

Abbiamo letto in un precedente racconto che il cronista giudiziario Basilius consigliava di frequentare le udienze del giudice conciliatore come rimedio contro l’ipocondria, la depressione ottocentesca.

Bisogna dire che in questo periodo,molti cronisti giudiziari considerano i casi da sottoporre ai loro lettori e soprattutto alle loro lettrici, nell’ottica della “Giustizia che diverte”, anche quando i reati sono più gravi e gli accusati sono giovani ma ormai criminali abituali.

È il caso descritto da Curzioncino (M.) nella “Rivista dei Tribunali” della “Gazzetta Piemontese” del 5 giugno 1875, col titoletto “Platone al tribunale”.

Leggiamo:

«Il giorno appresso avanti lo stesso tribunale compariva Platone… mi spiego… non è già il filosofo dell’antichità  che tornasse a far capolino tra noi; è ben tutt’altra cosa. È un tale Platone Giuseppe, di anni 22, da Quattordio in quel di Alessandria, garzone panettiere, senza fisso domicilio.

Questo povero infelice pare abbonato al carcere: vi passò gran parte di sua vita. È brutto, nero, con un muso lungo e sporgente in fuori, due occhi rapaci che mostrano in lui la nativa tendenza al furto.

Col sistema di Gal alla mano, e colla teoria della forza irresistibile, si potrebbe quasi, davanti ai giurati, in altri luoghi, tentare il colpo di carpire la sua assolutoria.

Egli ebbe già a sostenere cinque giudizi, con cinque condanne, che sono le seguenti:

(1°) Dal Tribunale di Alessandria, in data del 29 gennaio 1869, a tre mesi di carcere per furto qualificato;

(2°) Dalla Corte Imperiale di Aix, al 23 giugno 1870, a un anno di prigione per furto e vagabondaggio;

(3°) Dal Tribunale di Nizza Marittima, il 17 settembre 1870, a tre mesi di carcere per furto:

(4°) Dal Tribunale di Alessandria, il 4 novembre 1870, a due anni di carcere per due furti, l’uno consumato, l’altro mancato, a danno di certa Garretto Lucia, in Oviglio [Alessandria];

(5°) Dal Tribunale di Saluzzo, al 15 aprile 1874, ad altri sei mesi di carcere per tentata fuga dal medesimo.

Al 27 marzo di quest’anno (1875) egli usciva dal carcere dopo aver scontato quest’ultima pena.

Ma il giorno appresso vi tornava di bel nuovo.

Ed ecco perché. Verso le ore otto antimeridiane del 28 marzo p. p., il Platone gironzolando nei pressi della Stazione ferroviaria di Porta Nuova, trovando aperti i cancelli dei magazzini delle merci in arrivo a piccola velocità, vi si introdusse, si accostò pian piano alla tettoia e ivi vide varii cesti di paste legati insieme a due a due.

Egli slegò la corda che li legava, e presone uno, se lo mise in spalla e poi pian piano, per non dare sospetto, si avviava verso l’uscita.

Le guardie magazzini Bordino Giuseppe e Saletti Francesco, che osservarono il tutto, lo inseguirono e lo raggiunsero presso la cancellata prima che la varcasse.

-  Ehi! Giovanotto, dove andate con quel cesto?

-  Lo porto d’ordine di quel signore che vedete là, a casa sua – e accennò a un individuo che esso pure per caso camminava più avanti di lui.

-  Ma la bolletta di pagamento l’avete?

-  L’avrà quel signore – il quale intanto già era andato per i fatti suoi né più si vedeva.

-  Ma chi è quel signore, dite?

-  Oh bella! È il padrone del cesto, è il signor Bianco Rigati, come sta scritto qui sopra.

Le guardie esaminano il cesto delle paste, e vi leggono sopra a stampa in grossi caratteri: ditali bianchi rigati.

Il ladro scambiò l’indicazione della qualità delle paste col nome del proprietario, il quale era invece lo spedizioniere sig. Odoarda.

Si verificò la cosa, e si trovò che la relativa bolletta di pagamento non era ancora stata spiccata. Perciò quel giovane fu trattenuto in custodia.

Ma quelle guardie furono ancora assai compiacenti: girarono per tutto il Borgo San Salvario a cercarvi il signor Bianco Rigati per caso che alcuno avesse potuto dare al Platone l’ordine che egli diceva aver avuto.

Ma il supposto complice non si rinvenne; si consegnò alle guardie di P. S. il Platone Giovanni, che per questo furto venne tradotto innanzi al tribunale correzionale.

Ivi egli ripeté francamente la stessa storia già da lui narrata alle due guardie magazzini della ferrovia. Si raccomandò poi alla clemenza dei giudici, facendo loro le più ampie e sincere promesse di volersi ravvedere.

Ma a queste promesse il Tribunale non è solito a prestar guari fede; e intanto condannò il Platone a sei mesi di carcere.

Potrà egli ravvedersi? Vorrei bene; ma ne dubito; perché colui che per un valore di 6 a 8 lire torna oggi al carcere donde usciva ieri, mostra di avere tale istinto al furto, che lascia poco bene sperare del suo ravvedimento.

E credo che anche i miei lettori parteciperanno a questo dubbio di Curzioncino (M.)».

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Articolo pubblicato il 19/10/2017