Dalla Venere di Milo a Lucian Freud… ma l’Arte non fa salti

Andrea Biscàro si sofferma sulle riflessioni della pittrice Cristiana Zamboni

L’Arte è una questione di pelle, di brividi, di emozioni.


Possiamo non conoscere nulla dei preraffaelliti, dei simbolisti, degli impressionisti – cito, a caso, alcune correnti – ma sappiamo che, vedendo un quadro di John William Waterhouse, di Carlos Schwabe o di Pierre-Auguste Renoir – altri tre nomi a caso nel panorama pittorico – rimaniamo impressionati da quel misterioso quid di sensazioni che la tela, la sua dimensione, i colori, i tratti delle figure, le pennellate, l’insieme veicola alla nostra anima e questa al corpo.


La pittrice milanese Cristiana Zamboni – in un recente articolo su Artevitae – Quotidiano di Fotografia, Design, Arte e Cultura – dona ai suoi lettori una manciata di riflessioni che non possono passare inosservate fra gli amanti del Bello.


Il titolo del suo scritto trasmette il Senso di un viaggio interiore, artistico e umano: Le due facce della bellezza nell’arte: dell’arte greca e di Lucian Freud.


 

«L’arte – scrive Cristiana Zamboni – rappresenta ciò che siamo. Da sempre cerca di comunicarci ciò che siamo stati ed è alla ricerca di ciò che saremo.  Esseri incapaci di rapportarci con il mondo esterno, con noi stessi e con la realtà di ciò che siamo. Anelanti eterni alla perfezione esteriore in lotta con la fragilità interiore che ci contraddistingue. L’unica vera certezza che ho sull’arte è che serve a comprendere che siamo vivi».


E ancora: «L’arte è una forma di comunicazione che è stata creata dall’uomo per lasciare un segno di sé e del suo passaggio singolo e comunitario».


 

Era così nel tempo classico. È così nel tempo presente.


Cristiana Zamboni traccia una linea retta che passa da due punti: la Venere di Milo e la Ragazza nuda che dorme del pittore tedesco naturalizzato britannico Lucian Freud (1922-2011), nipote di Sigmund Freud.


Nel tracciare questa linea – concreta, più di quanto si possa immaginare – pone «l’accento sull’eterno confronto tra la bellezza dell’arte greca e quella dell’arte contemporanea», avvalendosi «dell’analisi del pensiero di Lucian Freud, massimo esponente del ritrattismo contemporaneo».


Può apparire, quella della Zamboni, una provocazione.


In realtà trattasi di un divenire storico – pertanto graduale – e quindi culturale, antropologico, in una visione olistica dell’essere umano.


«Immagino che passare dalla “Venere di Milo” alla “Ragazza nuda che dorme” possa lasciare perplessi. Non vi si trova similitudine fra le due opere, se non per il soggetto.


Platone scrisse “L’anima se sta smarrita per la stranezza della sua condizione, anela là dove spera di poter rimirare colui che possiede bellezza”».


I due punti sono davvero distanti, ma da essi passa la linea della storia umana.


Lucian Freud scrisse:


«Non avrei mai potuto mettere nulla che in realtà non fosse lì davanti a me. Sarebbe stata una bugia inutile».


L’Arte siamo noi, il Creato, i nostri equilibri e squilibri, l’esaltazione del Bello e della Perfezione esteriore (l’arte classica dell’antica Grecia) a scapito, a lungo andare, delle caratteristiche interiori. L’Arte siamo sempre noi, anche e specialmente quando mettiamo in mostra – in una sorta di epifania del conscio e dell’inconscio – quella che Zamboni chiama «la bellezza della fragilità umana, dell’imperfezione, della paura e del declino interiore dato dalla ricerca della perfezione nel vivere», proprio come ha realizzato, attraverso le sue opere, Lucian Freud.


La ricerca della perfezione nel vivere…


Una ricerca sofferta, dilaniante, a tratti insensata, passionale, classica dell’uomo moderno, diviso tra l’eterna ricerca (e conoscenza) di sé e la corsa frenetica verso l’indispensabile divinità del superfluo. Una umanità schizofrenica, opulenta e consunta.

 

L’artista milanese unisce la competenza artistica alla ricerca personale delle emozioni. Il viaggio tra i due punti – l’arte classica greca e la forza espressiva moderna di Freud – è sintomatico di chi ama sbranare la vita in cerca di...


È come se si trovasse – e noi con lei – di fronte alle due opere e riflettesse sulle due Bellezze, frutto di epoche storiche differenti. A pelle prova delle emozioni. Con la mente riflette sulle sue stesse emozioni. In questo duplice binario – emotivo e cognitivo – «vi trovo lo spirito artistico di Lucian Freud, che nella “Ragazza nuda che dorme”  potrebbe ricordare la distruzione della  “Venere di Milo”, ma, credo ne sia solo l’evoluzione sociale del soggetto. Prendendo queste due opere, lasciando da parte i secoli passati nel frattempo, l’evoluzione umana sociale appare chiara. La ricerca continua e spasmodica della perfezione e l’avvicinarsi a qualcosa di superiore può portare ad una lenta distruzione interiore che si riflette nella sua esteriorità. Lotte psicologiche che implodono ed, inevitabilmente, portano ad una solitudine dell’IO ed una deformazione fisica dovuta al dolore della consapevolezza. Incapace di rapportarsi con il mondo esterno, con se stessi e con la realtà di ciò che si è. Soprattutto in una seconda metà del novecento distrutta dalla guerra».

 

La Venere di Milo e la Ragazza nuda che dorme sono facce della stessa umanità, estremi di un percorso umano che noi, donne e uomini del nostro tempo, possiamo e dobbiamo (dovremmo) sperimentare.


La complessità dell’oggi sta nel provare emozioni antitetiche, in bilico tra l’effetto di una tela di Freud e la sperimentazione delle ataviche evocazioni di un classico greco.


La maggior parte delle volte non viviamo la consapevolezza del legame col noi-stessi-prima-di-noi, ma questo è reale. Cristiana Zamboni ha saputo sottolinearlo con passione tutta al femminile:

 

«Siamo parte di un disegno meraviglioso che ci ricorda che ci siamo, ci siamo stati e ci saremo, indipendentemente da come ci vediamo e rappresentiamo».

 

 

Andrea Biscàro

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Articolo pubblicato il 29/09/2017