Diciottesimo Rapporto Giorgio Rota su Torino.

Recuperare la Rotta.

Partiamo dal contesto generale: La crisi macroeconomica sta passando. Il PIL è tornato alla crescita, anche se con un passo che non si può considerare soddisfacente. Il Paese, la cui nervatura era rappresentata dallo storico triangolo Torino-Milano-Genova, si scopre molto cambiato.

Il PIL pare spinto dal successo del made in Italy nel mondo, dall’internazionalizzazione delle medie imprese e dall’applicazione dei nuovi paradigmi tecnologici, in larga parte incernierati nell’informatica e che permettono di realizzare nuovi beni e cambiare modelli di comportamento e di consumo, sia nel settore pubblico sia in quello privato.

In questo contesto i poli di sviluppo rappresentati dalle città che furono protagoniste della crescita del XX secolo hanno visto cambiare alcuni dei punti cardinali del loro benessere. La vocazione alla trasformazione materiale è sfidata da un’innovazione che incorpora sempre più creatività immateriali.

Il ridisegno di modelli organizzativi industriali comporta il cambiamento e, qualche volta, la riduzione delle centralità direzionali. Lo stesso successo internazionale dei cluster locali più competitivi, come l’automotive a Torino, riproduce processi di espansione che partono dal capoluogo piemontese, creano valore aggiunto nel mondo e, in misura minore che in passato, all’ombra della Mole.

Negli anni del successo industriale Torino aveva assunto dimensioni e caratteristiche da città in cui erano incernierati fattori di competitività che il mondo dell’economia globale ha redistribuito sulla superficie del pianeta.

La globalizzazione, che ha ridotto le distanze economiche tra i Paesi emergenti e i Paesi sviluppati, all’interno di questi ultimi ha riaperto i termini di una competizione delle risorse locali con quelle del resto del mondo che l’organizzazione industriale del XX secolo aveva fatto dimenticare, congelando i buoni rapporti di forza su cui potevano contare Torino e le città che le assomigliavano.

Fin dai primi anni del XXI secolo, Torino però ha iniziato a guardare altrove, per comporre un quadro di vocazioni competitive per sostenere la popolazione, i suoi consumi, i servizi e gli investimenti delle imprese.

 La prima rotta venne data dal Piano strategico, elaborato in successive edizioni , che ruotava intorno alla centralità di investimenti infrastrutturali e a favore di settori di investimento nei quali o fossero decisive le risorse pubbliche o fossero importanti quelle private diffuse, senza chiamare in causa investimenti e investitori giganti.

 I Piani strategici hanno dato una rotta basata sulla ragionevole attesa che il mercato avrebbe prodotto gli investimenti di media e piccola dimensione favoriti dall’evoluzione infrastrutturale e urbanistica. Questo è senza dubbio in parte avvenuto, ma, a questo punto della transizione, la rotta deve probabilmente essere verificata.

La trasformazione della città e, particolarmente, della sua base economica è infatti in corso e le statistiche congiunturali non sono così favorevoli come quelle, di per sé solo tiepidamente rosee, che si leggono su altre regioni e città. Per verificare la rotta della trasformazione di Torino si deve partire facendo il punto, di come è articolato il lavoro ( area che vedremo più avanti).

Per quanto riguarda l’area manifatturiera, la realtà è “meno valore aggiunto più export”.

L’economia mondiale ha registrato nel 2016 una crescita del 3,1 %, in diminuzione rispetto alle stime diffuse in precedenza Fondo Monetario Internazionale (MFI), con una crescente incapacità mondiale di trovare soluzioni economiche e politiche ai problemi di un pianeta sempre più preoccupato e sempre meno sorridente ( anche grazie a Trump e alla May). Ad eccezione dell’India, tutte le principali economie avanzate ed emergenti, negli otto anni successivi alla crisi del 2008, hanno registrato una crescita media del PIL inferiore a quella del periodo precedente.

In questo contesto internazionale, l’Italia è arrivata alla crisi già in difficoltà. Nel complesso il nostro Paese presenta una variazione del valore aggiunto nel periodo 2008-14, del -1,1%, mentre per Torino, tale riduzione è di -3,5%.

Quindi il sistema torinese ha perso competitività in termini di valore aggiunto, ma una quota crescente di produzione prende la strada dell’estero. Oggi siamo la seconda provincia metropolitana per livello dell’export e la distanza dalla prima (Milano) si sta riducendo. Nel 2016 però questo trend positivo ha subito un arresto e l’export è diminuito del 6,2%. Al contrario della maggior parte delle altre provincie metropolitane.

Focus sull’area imprese nei prossimi articoli, continuate a seguirci.

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Articolo pubblicato il 08/10/2017