In Italia il sogno è diventare bidelli.

Triste sintomo di una generazione tradita.

I numeri. Entità fredde, scientifiche, oggettive, spesso non hanno bisogno di essere accompagnate da spiegazioni, dichiarazioni e proclami.
Dicono già tutto, i numeri.
E quelli relativi alle domande per l’inserimento nelle graduatorie di terza fascia del personale Ata, per farla breve, chi ambisce a diventare bidello, segretario o tecnico di laboratorio, sono palesi.
Oltre che esageratamente elevati.
Si prospettano oltre due milioni di domande per il bando che si rinnova ogni tre anni (qui si parla del triennio 2017-2020) e mette a disposizione poco più di 12’ 000 posti all’interno della scuola, chiaramente partendo da supplenze e contratti a tempo determinato.
Questo ci dice che di tutta questa mole di domande, che presumibilmente intaseranno le già intasate segreterie scolastiche di ogni angolo d’Italia, nemmeno una persona su cento riuscirà ad ottenere l’ambito incarico.
Già, per diventare bidello.
Con questo non si vuole criticare tale figura, la cui complicità con lo studente unita ai singoli episodi vissuti tra le mura scolastiche, rientra nella memoria collettiva di ciascuna persona.
Serve semplicemente a dimostrare che la famosa ripresa tarda a vedersi, stando sempre ai numeri.
Se , infatti, i requisiti per entrare in graduatoria sono piuttosto bassi- si va alla terza media per la figura di operatore scolastico, fino al diploma tecnico per chi vorrebbe lavorare nei laboratori,- l’impressione (i dati saranno formiti solo al momento della chiusura del bando, il 30 ottobre, ndr) è che saranno molti i laureati a presentarsi.

Lo stesso viene confermato dalla Ministra dell’istruzione Fedeli che dichiara “Alla fine le domande saranno più del doppio e in tanti sono i laureati, soprattutto al Sud”: quando parla del doppio si riferisce alle domande presentate nel 2014, che già superarono il milione.

Questo boom di richieste fa il paio con l’indagine Ocse uscita lo scorso giovedì che di fatto aveva bacchettato il sistema formativo italiano, evidenziando come nell’11% dei casi il laureato ha competenze superiori rispetto alla mansione svolta, e il 18% è addirittura sovra-qualificato.
Sempre dal discusso report Ocse si evince come il 35% dei laureti lavora in un ambito totalmente differente da quello cui si è specializzato, sottolineando come in molti casi non ci sia comunicazione tra le aziende che cercano determinate competenze, e il mondo dell’istruzione che ne fornisce altre.
Insomma, la fotografia che viene fornita dal sondaggio Ocse unito ai dati sulla domanda per diventare supplente nelle scuole è quella di una generazione che gioca al ribasso, pronta ad accontentarsi dei lavori più umili e a mettere da parte le proprie competenze pur di trovare un impiego.
Pur d’avere l’agognato posto fisso.
E tutto questo in barba ai dati che, sparati trionfalmente dai tg e dalle veline governative, vorrebbero una situazione economica florida, in cui tutto è in ripresa, le aziende finalmente rispuntano come rododendri in primavera, e il disoccupato viene preso di forza e portato a firmare un contratto a quattro zeri.

Prepariamoci piuttosto a un esercito di postini, vigilanti, oss, e netturbini con la laurea in tasca e magari qualche master nascosto sotto il bancone del Mc Donalds, e non stupiamoci se le prossime ordinazioni al ristorante saranno prese in latino o il cassiere del supermercato riuscirà a fare i conti sul resto a mente. E anzi brindiamo, il bidello di nostro figlio, per educazione e cultura, potrebbe saperne più dello stesso insegnante, fornendo al ragazzo un valido supporto in più.

 

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Articolo pubblicato il 08/10/2017