Iva o aliquota? La web tax divide e fa discutere

Si prevedono in ogni caso, tempi lunghi per giungere a una decisione

Un dibattito sottotono quello sulla web tax, ma che divide il fronte tra chi vorrebbe l’obbligatorietà della “stabile organizzazione” in Italia, così da applicare l’iva al 22%. E chi, invece, si avventura verso una tassa indiretta inferiore al 10%.

Intanto, il Governo sembra intenzionato ad andare fino in fondo con la web tax. Infatti, la tassa verrà introdotta nella Finanziaria del 2018, come indicava ieri La Stampa, seppur “la norma arriverà solo durante l’esame parlamentare”. Ma Il Sole 24 Ore è invece più scettico sull’iter: “sembra quindi più verosimile che l’ipotesi dei tecnici di via XX Settembre sarà stralciata dal decreto legge per essere incardinata in Parlamento, con una dilatazione dei tempi utile ad attendere, tra l’altro, gli sviluppi delle trattativa in corso sui tavoli di Bruxelles”.

Sono al vaglio due ipotesi sotto il profilo tecnico si stanno. La più soft “prevede di imporre un’aliquota pari a circa l’8 per cento a tutti i big della rete senza stabile organizzazione in Italia”.

C’è poi la seconda opzione: “se l’azienda ammette volontariamente di avere una stabile organizzazione nel Belpaese (e dunque un fatturato più alto di quello denunciato) il governo si limiterebbe a imporre il pagamento dell’Iva dovuta”.

Un ipotesi salutata con favore anche da Francesco Boccia, presidente della Commissione Bilancio della Camera in un’intervista a Il Manifesto: “ma perché non deve pagare almeno l’Iva all’Italia, così come accade alla libreria sotto casa, che proprio per la concorrenza di Amazon sta chiudendo?” E più avanti nel colloquio: “il calcolo è che questo settore erode ogni anno al nostro erario circa 32 miliardi di base imponibile, pari a 5 miliardi di gettito fresco solo considerando l’Iva”.

Il Sole 24 Ore ha fatto i conti: “ponendo l’8% come punto di approdo del progetto del governo, la web tax così ipotizzata avrebbe triplicato le tasse 2016 di Facebook Italia (da 260mila euro a 744mila, su 9,3 milioni di fatturato) e anche quelle di Twitter (da 170mila euro a 408mila, su 5,1 milioni di fatturato della divisione italiana)”.

L.V.C.

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Articolo pubblicato il 11/10/2017