Novembre da Re - Parte 5

Altri 3 film D'AUTORE ispirati alle opere di Stephen King

Dopo aver parlato del King più "introspettivo" nelle sue storie dedicate a bambini e romanzieri nei guai più disparati, torniamo ora ad occuparci di quel King portato al cinema in maniera più "autoriale" da registi di genere di lungo corso e rodata carriera.

Nei precedenti articoli avevamo messo sul podio i film di Kubrick, Brian De Palma e David Cronenberg a spartirsi le medaglie nella corsa alla miglior trasposizione su schermo delle pagine dello scrittore.

Oggi parliamo di altri tre registi che non hanno certo bisogno di presentazioni.

Il primo è l'immortale John Carpenter, amato dal pubblico fin dal suo esordio negli anni '70 con il pluricitato e copiato "Distretto 13", passando poi per altri cult indimenticabili come "La cosa", "Essi vivono" o "1997: Fuga da New York", giusto per citare solo alcuni dei film del maestro statunitense.

Un autore universale che spazia dall'action alla commedia alla fantascienza, ma che ha nel cuore soprattutto l'horror in film come "Halloween" o il suo capolavoro "Il seme della follia", quest'ultimo dove già era presente una figura di scrittore "onnipotente" scolpita a immagine e somiglianza dello stesso Stephen King.

Altro autore horror il cui curriculum parla da solo è poi Tobe Hooper, autore di un caposaldo del genere come "Non aprite quella porta", film unico e banalmente sequelizzato e remakezzato più volte senza mai raggiungere minimamente le vette innovative scalate dal primo capitolo.

Senza contare poi l'altro suo piccolo cult "Poltergeist", storico film di infestazione spiritica il cui merito va diviso ovviamente con il produttore Steven Spielberg, la cui mano si vede e si sente (forse anche troppo) in alcune scelte di trama e di regia.

Infine parliamo anche di Frank Darabont, regista, sceneggiatore e produttore di successo noto al pubblico soprattutto per aver dato il via alla famosa serie horror "The walking dead", epopea umana a sfondo zombie basata sull'omonimo fumetto di Robert Kirkman.

Introdotti i registi di cui parliamo oggi, andiamo quindi ad occuparci singolarmente dei loro film ispirati a famosi (o meno) romanzi e racconti di Stephen King.


CHRISTINE - LA MACCHINA INFERNALE (1983 - John Carpenter)
Ottimo esempio di "cinema di genere" diretto da un esperto navigato del genere come Carpenter, capace di rendere giustizia all'ottimo romanzo omonimo di King senza stravolgerne eccessivamente la trama e i personaggi.

La storia è quella semplicissima ed efficace della "casa stregata", in questo caso una casa su quattro ruote posseduta in modo non specificato da un inarrestabile spirito maligno.

Dopo aver rovinato la vita al precedente proprietario, l'automobile si insinua lentamente nella vita e nella psiche del giovane Keith Gordon, imbranato cronico bullizzato senza tregua a scuola che tira avanti solo grazie all'amicizia del suo amico John Stockwell.

Acquistata l'auto infatti il ragazzo sembra inizialmente aver svoltato e avere più successo sociale, trovando una bellissima ragazza (la giovane Alexandra Paul) e lottando strenuamente con gli apatici e ottusi genitori per avere un lavoro e una vita maggiormente autonoma.

Ma ovviamente i bulli si vendicheranno rivalendosi sulla sua amata macchina, facendola letteralmente a pezzi nell'officina dove la tiene parcheggiata, scatenando così la furia omicida del demone che la possiede che si vendicherà brutalmente contro ognuno di loro.

Un ottimo film demoniaco/adolescenziale, ben scritto nei suoi risvolti psicologici specie nel cambiamento psico/fisico del protagonista; così poi diretto divinimente da Carpenter in alcune sequenze da antologia, come la diabolica macchina in fiamme che insegue le sue vittime o il violentissimo scontro finale dove sembra essere immortale e indistruttibile.

Uno degli horror più belli degli anni '80, sicuramente non un capolavoro nè il miglior film di Carpenter, ma comunque imperdibile per gli amanti del regista così come dello scrittore.


THE MANGLER - LA MACCHINA INFERNALE (1995 - Tobe Hooper)
Altro film ingiustamente massacrato dalla critica, eccessivamente corrosiva per un piccolo b-movie horror che ha nel suo piacere puro per il semplice racconto e la regia la ragione d'essere; incompreso quindi trasformandone suoi pregi in difetti da mettere in croce.

Basato sul racconto "Il compressore" di King, parte della raccolta "A volte ritornano" dove lo scrittore narrava di questa lavanderia il cui compressore viene accidentalmente e per una sfortunata serie di eventi "contaminato" da una serie di involontari rituali che finiscono col farlo possedere da un pericoloso demone assetato di sangue.

Cambiando la struttura della storia, Hooper rende meno centrale la macchina e più protagonisti/antagonisti della vicenda il vecchio Robert Englund e il giovane Ted Levine.

Il primo storico "Freddie Krueger" per gli amanti del genere, qui nel ruolo del proprietario che venera la macchina come una divinità a cui offrire in sacrificio i suoi stessi dipendenti.

Il secondo invece storico serial killer "Buffalo Bill" nel film "Il silenzio degli innocenti", proposto invece come poliziotto incaricato di indagare sui misteriosi fatti di sangue che ruotano attorno alla lavanderia.

Inizialmente scettico, l'uomo si troverà poi solo in una lotta all'ultimo sangue contro il malefico Englund, sempre più ossessionato dall'offrirle in sacrificio la giovane Vanessa Pike, vittima ideale per il prossimo tributo di sangue all'insaziabile demone/macchina.

Un altro bel racconto ottimamente translato su schermo da un altro regista esperto del genere, capace di unire le atmosfere Kinghiane alle logiche d'intrattenimento e le meccaniche horror di un film solo all'apparenza di second'ordine.


LE ALI DELLA LIBERTÀ (1995 - Frank Darabont)
Dello stesso anno è poi questo film diretto da Darabont, cineasta che ha al suo attivo soprattutto film tratti dalle opere di King, come saranno poi  "Il miglio verde" e il riuscito horror "The mist", quest'ultimo fiaccamente riproposto come serie televisiva dalla piattaforma online Netflix.

Indiscusso protagonista della vicenda è Tim Robbins, attore/regista/sceneggiatore di lungo corso qui nel ruolo di un timido banchiere accusato ingiustamente di omicidio e rinchiuso nel durissimo carcere di Shawshank.

Inizialmente vessato e abusato da altri carcerati, l'uomo riesce a stringere amicizia col vecchio prigioniero Morgan Freeman, oltre che poi col venire sfruttato per le sue capacità di contabile per nascondere i profitti illegali del direttore interpretato da Bob Gunton, attore come al solito a suo agio nella parte del cattivissimo di turno.

Un film diretto con i dovuti svolazzi tecnici e inquadrature ad effetto dal buon Darabont, oltre che poi meravigliosamente montato scena dopo scena e sequenza dopo sequenza per fare pesare il lento ma inesorabile scorrere degli anni e dei decenni dietro le sbarre dei vari protagonisti.

Bravissimo nel ruolo il già citato Robbins e forse ancora meglio nel suo Morgan Freeman, insostituibile viso pieno di stanca e disillusa saggezza che in una delle scene verso la conclusione è protagonista di un meraviglioso monologo menefreghista alla commissione per la libertà sulla parola.

Finora e probabilmente anche dopo il miglior film in assolutodi Darabont, autore come detto della prima (e più riuscita) stagione della serie "The walking dead", successivamente sostituito per il trasformarsi inevitabile dello show in una scialba e noiosa "telenovela horror" dall'andazzo soporifero e annacquato per mantenere alto il numero delle puntate e fidelizzare i suoi spettatori ai personaggi più che alla qualità della serie stessa.

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Articolo pubblicato il 16/11/2017