Icone russe in mostra a Torino

Paolo Barosso per “Civico20News”

Da pochi giorni si è inaugurata a Torino, negli spazi della Paola Meliga Gallery di via Maria Vittoria 46/D, la mostra d’arte sacra sul tema “Iconografia russa dal 1700 all’inizio dell’era bolscevica”.

L’esposizione, programmata sino al 5 novembre e allestita nel mese del centesimo anniversario di quella “Rivoluzione d’Ottobre” che decretò il crollo del potere imperiale in Russia aprendo la strada all’avvento del regime sovietico, raccoglie una trentina di sacre iconeappartenenti ad un collezionista privato torinese e realizzate nel periodo compreso tra la metà del Seicento e gli albori del Novecento.

Il bolscevismo perseguitò l’Ortodossia cristiana condannando all’oblio una delle sue principali espressioni sul piano artistico e devozionale, le sacre icone, che avevano come collocazione naturale le chiese (appese alle pareti o alla iconostasi, letteralmente “luogo delle icone”, tramezzo che nelle chiese ortodosse separa la navata dal presbiterio) e che si esponevano anche nelle case (tale è la venerazione delle icone in terra russa che, secondo antica consuetudine, è buona norma, entrando in dimora d’altri, rendere onore prima all’icona che al padrone di casa).

Con la fine del regime sovietico, e soprattutto negli ultimi anni, si è manifestato in Russia il risveglio della fede cristiana che ha portato con sé una ripresa d’interesse verso la dimensione devozionale e artistica rappresentata dall’icona.  

Con il termine “icona”, derivante dal greco eikòn (tardo latino icònam) e traducibile come “immagine”, si indica una raffigurazione sacra, dipinta su supporto ligneo, ma anche realizzata su lastre di metallo, avorio o altro materiale, che trae origine dal contesto culturale e religioso bizantino, poi assorbito da quella parte di mondo slavo che aderì alla fede ortodossa.

L’icona, opera di un iconografo che è insieme artista e teologo, si afferma come oggetto di venerazione, un mezzo attraverso cui, al pari di una reliquia, l’uomo riceve aiuto, salvezza, protezione, e chi la dipinge, o meglio la “scrive” dato che è considerata “Vangelo in immagini”, non può realizzarla senza una profonda esperienza della vita della Chiesa e delle funzioni liturgiche ortodosse. Dinnanzi all’icona, che riflette il volto del Cristo o riproduce la figura della Madonna e dei santi, rendendoli come fisicamente presenti al cospetto del fedele, ci si raccoglie in preghiera, ma si ricerca con essa anche il contatto fisico, la si bacia, la si incensa, la si onora con inchini fino a terra.

Come osservava San Giovanni Damasceno, che strenuamente lottò contro la furia distruttrice dell’iconoclastia tra VII e VIII secolo e che evidenziava il fondamento teologico dell’icona e la sua funzione catechetica, l’immagine riprodotta parla agli occhi come le parole all’orecchio, mentre San Teodoro Studita faceva rilevare che quanto “è esposto nel Vangelo su carta e inchiostro è raffigurato nell'icona attraverso varie pitture e altri materiali”.

Tra le icone della tradizione russa occupano un posto di primo piano quelle che riproducono il volto di Cristo, di cui vi sono esempi nella mostra, che vengono realizzate dall’iconografo richiamandosi come suprema fonte ispiratrice alla più venerata immagine “acheropita” (dal greco “non fatta da mano umana”) del mondo bizantino, il sacro Mandylion o panno di Edessa. Il Mandylion, dall’aramaico “asciugamano” o “panno”, proietta nel mondo terreno l’immagine rivelata del volto di Cristo. Secondo la tradizione, Abgar, re di Edessa, attuale Urfa in Turchia, ammalatosi di lebbra e avuta notizia dei miracoli operati da Gesù, inviò presso Gesù un suo emissario, Anania, incaricandolo di eseguire un suo ritratto. Gesù, accortosi della presenza di Anania, che invano tentava di dipingerne il volto, si bagnò il viso asciugandolo poi con un panno di lino su cui rimase prodigiosamente impressa l’immagine del volto. Il panno, consegnato a re Abgar, guarì il re dalla lebbra e venne esposto come un palladio sulla porta di Edessa, da cui venne in seguito rimosso per metterlo al riparo dalla apostasia del figlio di Abgar, tornato al paganesimo. Ritrovato nel VI secolo in una nicchia scavata nelle mura, il Mandylion protesse la città dall’assedio del re persiano Cosroe e nel 944 venne trasportata a Bisanzio, per esservi conservato sino al principio del Duecento, quando se ne persero le tracce con il saccheggio della città (1204).

Il Mandylion, come il Keramidion (o Keramion), nome che designa la stessa immagine del volto di Cristo replicata prodigiosamente su una tegola di ceramica utilizzata per riparare il Mandylion nel periodo del suo occultamento, fu oggetto di venerazione nella sua duplice natura di reliquia, formatasi dal contatto fisico con il volto del Signore, e di immagine rivelata, capace di mostrare al fedele il vero volto del Cristo, mentre questi era in vita.

Il Mandylion, nella sua natura di reliquia, fu ritenuto depositario di un potere terapeutico, avendo guarito Abgar dalla lebbra, e di unafunzione apotropaica, dato che liberò Edessa dall’assedio persiano di Cosroe, e le medesime funzioni si ritrovano nelle icone che lo riproducono.  

A partire dalla seconda metà del X secolo, infatti, il Mandylion venne utilizzato dagli iconografi bizantini quale suprema fonte ispiratrice per la realizzazione delle icone del volto di Cristo, in quanto l’aderenza all’immagine del Mandylion costituiva garanzia assoluta di conformità all’originale, cioè al volto del Signore. Con il tempo si affermarono modi diversi di dipingerlo: a partire da una certa epoca, per l’influsso occidentale, lo si trova raffigurato come un panno sorretto da angeli, che mostrano in trionfo al mondo il vero volto del Signore, oppure sotto forma di Salvatore con la barba bagnata, appuntita verso il fondo e talora divisa in due estremità, una pratica derivante dalla tradizione per cui il Cristo, per imprimere il volto sul panno, se l’era prima bagnato con l’acqua.

Per quanto riguarda la Madonna, secondo la tradizione gli archetipi vanno ricercati nelle icone dipinte dall’evangelista San Luca dopo la Pentecoste, tra cui è annoverata la cosiddetta “Vergine di Vladimir” o “Madre di Dio della Tenerezza”, forse l’icona mariana che più di altre ha segnato l’orizzonte storico e spirituale del popolo russo, dispensatrice di tanti prodigi che la sua visione fu capace di frenare un feroce conquistatore come Tamerlano e influenzare persino un sanguinario e spietato dittatore quale Stalin, che ordinò di farle sorvolare i cieli di Leningrado, oggi San Pietroburgo, durante l’assedio tedesco. L’icona, tuttora conservata a Mosca, esercitò in ogni epoca un tale influsso sul popolo russo da indurre l’ideologo marxista Maksim Gor’kij a indicare la Madonna come il “nemico invincibile dell’ateismo” in Russia.

La Vergine nelle icone può essere raffigurata senza Bambino come Madonna Orante, che intercede presso il Cristo per ottenere la salvezza delle anime, oppure assieme a Gesù Bambino, le cosiddette Icone dell'Incarnazione, come Madre di Dio Odighìtria (la “Conduttrice”), iconografia che trae origine dall’omonima icona venerata a Bisanzio sin dal V secolo e attribuita dalla tradizione a San Luca, o Madre di Dio Eleousa, in atteggiamento affettuoso verso il Figlio, tipologia cui appartiene la Vergine di Vladimir. Esiste poi il tipo dellaMadre di Dio allattante, conosciuta in Occidente come Maria Lactans, e il tipo della Kyriotissa, ovvero Regina, seduta sul trono in abito daBasilissa, imperatrice, con il Bambino in grembo.

Tra le opere in mostra, troviamo poi la “Madre di Dio della Deesis”, una delle componenti della cosiddetta Deesis, letteralmente “supplica”, che designa teologicamente la preghiera che tutti i santi indirizzeranno al Signore nel momento della Seconda Venuta di Cristo per giudicare i vivi e i morti. Le icone della Deesis, in origine tre, con Gesù benedicente al centro e ai lati la Vergine e San Giovanni Battista, in veste di testimoni privilegiati della divinità del Cristo, sono collocate sull’iconostasi.

La “Vergine dalle tre mani” detta Tricherusainfine, richiama il miracolo di San Giovanni Damasceno al quale, durante la lotta contro gli iconoclasti, venne amputata per punizione la mano destra. L’arto ricrebbe prodigiosamente per intercessione della Madonna e il santo monaco, per gratitudine e come ex-voto, aggiunse una mano d’argento all’icona che aveva pregato. Nacque così il tipo della Vergine Tricherusa, che evoca la mano soccorritrice della Madre di Dio, che sempre aiuta il fedele, così come miracolosamente aiutò il Damasceno.

Oltre alle icone classiche, dipinte su tavole di legno, generalmente di tiglio, larice, abete, la mostra include una serie di piccole icone da viaggio, trasportabili, solitamente realizzate in metallo o altri materiali più resistenti. La realizzazione delle icone in bronzo (o argento) divenne prerogativa dei Vecchi Credenti, dissidenti ortodossi che rifiutarono la riforma liturgica approvata dal patriarca Nikon nel 1666/7 dando vita a uno scisma interno alla Chiesa russa. Costoro, rifugiatisi in regioni remote per sfuggire alle persecuzioni, si specializzarono in questo tipo di produzione.

Paolo Barosso

 PAOLA MELIGA ART GALLERY

INFO MOSTRA:

DAL 12 ottobre 2017 al 5 Novembre 2017

Via Maria Vittoria 46/D | Torino

Tel. 0112079983 | 3284363514 | paolameliga@libero.it

www.paolettam69.wix.com/paolameliga

Orario:

dal Martedì al Venerdi dalle ore 15,30/19,30

Il sabato dalle ore 10,00 alle 12,30- 15,30/19,00

Domenica e Festivi – Lunedì Chiuso

Apertura privata su appuntamento

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Articolo pubblicato il 18/10/2017