La storia infinita

La politica degli ultimi mesi pregna di rumore e vuota di programmi

Un bel libro che mi capitò di leggere da ragazzo era “La storia infinita” di Michael Ende, da cui fu poi tratto anche il film.

A una prima lettura, sia del libro che del film, la storia era di per sé una semplice favola di fantasia nella quale un terribile “nulla” divorava pagina dopo pagina il mondo inventato dall’autore, sino a che un ragazzino riusciva a salvare il tutto da quel nulla.

Un secondo, e assai più interessante, piano di lettura voleva che quel libro rappresentasse di per sé tutti i libri, poiché ogni storia mano a mano che avanza procede verso la propria fine e quindi verso il nulla a meno che il lettore o l’autore stesso non ne facciano un seguito, così come accade per questo libro che, degno dei grandi romanzi a più livelli, come il Don Chisciotte, dove realtà e finzione si intrecciano, vede nel bambino Bastian, lettore del libro, la salvezza della storia, poiché in grado di farla proseguire.

L’Italia di oggi appare, più che in qualsiasi altro momento della storia repubblicana, proprio come un paese in cui il nulla imperversa (mancanza di lavoro stabile, scarsità di progetti di riqualificazione, pochi investimenti concreti sulle energie rinnovabili, saltuari progetti per le famiglie e le nascite, …) in attesa che ci sia un Bastian in grado di progettare un futuro per questo paese.

Forza Italia è impegnata a capire se Berlusconi avrà il via libera dal tribunale di Strasburgo per potersi ricandidare (quasi a voler essere una allegoria del paese in cui la natalità è bassissima così come la capacità di quel partito di essere in grado di “procreare” in vent’anni un nuovo leader).

La Lega Nord, in attesa questa domenica della liberazione di Milano da Roma ladrona come un tempo fu in grado di fare Alberto da Giussano capace di cacciare Federico Barbarossa, fa dell’arginamento all’immigrazione il deus ex machina in grado di risollevare le sorti italiche.

Alfano, attraverso una repentina e camaleontica ridenominazione del proprio partito, punta a superare lo sbarramento del 3%, poi per il programma si vedrà.

Il Movimento 5 Stelle fa della spending review e della propria verginità i suoi cavalli di battaglia, dimostrandosi, però,  incapace di una vera progettualità, perché si può anche essere contro l’austerity di Bruxelles, ma se poi non si è neanche un po’ keynesiani nel voler investire  ma si dice no a tutto (olimpiadi a Roma, grandi eventi a Torino, alta velocità verso la Francia) sinceramente non si capisce di che Italia si voglia parlare.

C’è poi la sinistra, un centro sinistra che rischia di diventare spezzatino e soprattutto rischia di dare maggior peso alle proprie beghe interne in preda ad una triste autoreferenzialità (Pisapia farà la stampella al PD o no? Renzi farà il grande patto con Berlusconi o no? Speranza correrà da solo per battere Alfano al 3% o no?) piuttosto che capire quali ricette proporre al paese, dopo averlo confuso con ben quattro governi diversi ma uguali (Bersani, Letta, Renzi, Gentiloni) confondendo così chiunque (le battaglie politiche si fanno verso gli altri partiti e non al proprio interno).

A questo punto, la storia infinita di questo nostro amato paese avrebbe bisogno di un Bastian capace di rilanciare l’Italia traghettandola verso una nuova pagina della nostra storia; capace di riforme che portino benefici a lungo termine (che non sono gli 80 euro); capace di investire più sulle politiche attive (sui centri per l’impiego investiamo solo un quinto di quanto investe la Germania) e meno su quelle passive (i pentastellati si battono per il reddito di cittadinanza: la dignità di un uomo sale se gli si insegna a pescare piuttosto che regalargli qualche pesce); capace di migliorare il sistema di istruzione (per fare in modo che gli Italiani si impieghino in lavori ad alta specializzazione, piuttosto che spaventarli dicendo loro che sono sempre gli immigrati a sottrargli il lavoro).

Se la politica sarà in grado di dare risposte concrete per gli anni a venire, l’Italia potrà ambire a essere protagonista in questa Europa frammentata e, dopo Brexit e Catalogna, sulla via di una sempre maggiore frammentazione, altrimenti dovremo arrenderci ad un “nulla” di fatto, un paese in cui di migrazione si parlerà ancora, ma per gli emigrati nostrani che anno dopo anno preferiscono trasferirsi all’estero per cercare un lavoro e un futuro più degno.

 

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Articolo pubblicato il 19/10/2017