Una breve e suggestiva meditazione di Nino Salvaneschi, scrittore e giornalista, nella giornata dedicata ai defunti

"Oggi non vi sono più morti senza sepoltura. La civiltà dimostra una gran fretta nel portarli via. Si direbbe anzi che gli uomini, appena esalato l'ultimo respiro, diventino intrusi nelle case dove hanno amato e sofferto.

Alle volte, estranei e già lontani dopo pochi attimi, mettono persino soggezione come muti testimoni dei nostri stessi pensieri.

Allora noi, ancora vivi forse solo per poche ore, diciamo che sono partiti per sempre.

In realtà sono arrivati nella nostra vera patria. E siamo noi vivi che compiamo un viaggio di qualche giorno quaggiù.

Non bisogna seppellire i morti due volte. Sotto i fiori e dentro i cuori.

Ma farli risorgere al nostro fianco, intorno alle cose, che hanno amato e amiamo. E al magico richiamo dei nomi, delle date e dei ricordi, saranno vivi con noi, in noi e per noi.

Non piangerli con inutili lagrime, ma rievocarli con opere di bene.

Non rischiararli con le lampade votive, ma illuminarli con l'amore.

Bisogna seppellire i corpi sotterra, ma esaltare le anime nella luce".

 

Da "Contemplazioni del Mattino e della Sera" di  Nino Salvaneschi

WRETTQueste profonde considerazioni su una giornata particolare, quella in cui commemoriamo i nostri defunti, in modo assai più profondo rispetto a quanto normalmente avviene durante l'anno, le ha lasciate un poeta scrittore di cui si parla poco, ma che una volta scoperto, può riservare gradevoli sorprese.

Nino Salvaneschi era nato a Pavia il 3 dicembre 1886; la sua carriera ebbe inizio quando, ancora molto giovane, divenne giornalista collaborando a vari quotidiani: la Gazzetta del Popolo, la Stampa di Torino, La Tribuna di Roma e il Corriere della sera di Milano e fu tra i fondatori del giornale sportivo "Guerin Sportivo". Si arruolò come marinaio durante la prima guerra mondiale restando fedele agli ordini, pur essendosi sempre dichiarato un uomo di pace e di libertà tanto che, terminato il conflitto  volle denunciare al mondo il suo dissenso in alcuni scritti raccolti e pubblicati nel libro "Uccidiamo la guerra".

Andò ad abitare a Capri in compagnia della donna che sposò e di cui si dichiarò sempre profondamente innamorato, lasciandoci una sua descrizione in cui la definisce "Un dono del cielo"  In seguito fu colpito da una grave malattia, con un susseguirsi di degenze ospedaliere, prima in quella di Rodi poi all'ospedale della Marina di Piedigrotta di Napoli. Questa lunga parentesi forzata della sua vita gli servì per trovare un equilibrio religioso.

La sua inquietudine si dibatteva tra Gesù e Buddha. Tutto cominciò dalla lettura di un piccolo libro che ebbe in regalo dalle suore infermiere, L'imitazione di Cristo: questo fu il primo segno della crisi, ma risultò poi nel tempo essere stata la lettura più utile della sua vita, e lo avviò verso la completa devozione alla Chiesa Cattolica. Da quel momento la sua vita fu un peregrinare verso mete che a quell'epoca erano un "refugium peccatorum" per centinaia di fedeli: Assisi e San Giovanni Rotondo da Padre Pio da Pietrelcina che conobbe personalmente nel 1919.

Fonte della biografia  Wikipedia.

 

 

 

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Articolo pubblicato il 02/11/2017