Forza Italia, un partito.

O una grande minestra?

Tutti moderati, in cammino verso la rivoluzione liberale, e naturalmente “per il bene del paese”. Vincere, vincere, vincere, è la parola d’ordine d’una suprema volontà, che il buon Silvio trasmette ai suoi sostenitori ogni giorno con i grandi mezzi di cui dispone.

I cervelli pensanti di Forza Italia, come Gianni Letta, Fede Confalonieri, l’avv. Ghidini ed altri, hanno suggerito a Berlusconi che l’imperativo categorico per vincere e predominare all’interno dell’alleanza di centro destra, che ha trionfato nelle elezioni siciliane, è quello di accogliere, assemblare e mettere insieme tutto ciò che è possibile.

 

Senza guardare per il sottile.

 

Aggregare cioè tutte quelle sigle che dicono oggi di militare in una galassia liberale, anche se hanno nel loro DNA il gene del tradimento ed hanno servito per anni nei governi di sinistra di Mario Monti, Enrico Letta ed infine  Matteo Renzi.

 

In poll position, sulla soglia di Forza Italia, con sul volto la maschera del figliol prodigo che ritorna alla casa del padre, è l’ex ministro di Renzi, Enrico Costa. Il monregalese ha colto, forse prima di tutti e molto prima del suo capo Alfano, i segni dell’imminente naufragio della nave del PD.

 

Ed ha seguito i suggerimenti del topo che abbandona la nave che sta affondando.

 

Si è presentato al Silvio Misericordioso, millantando dei trascorsi liberali della sua famiglia, e si è offerto a lavorare per lui, per il solito bene dell’Italia. Scarica in tal modo sul partito di Berlusconi la responsabilità del rinvio in commissione e dell’arresto dell’iter legislativo di quel provvedimento, che eliminava dalla legittima difesa la barbarica qualifica di eccesso. Sempre imputato, in associazione all’accusa di omicidio volontario, a chi si difende in casa, dai giudici di sinistra.

 

Ma le spalle del cav. sono ampie e, secondo lui, Forza Italia non bada a simili quisquiglie.

 

La sala di attesa di Berlusconi è affollata. 

 

Ci sono i rottami di Scelta Civica, c’è l’aggregazione di Gaetano Quagliariello, che ha come ragione sociale il salto della quaglia, ci sono i quattro gatti di Energie (sic) per l’Italia di Stefano Parisi, c’è “Fare” di Flavio Tosi e relativa compagna di letto.

 

Insieme alla lista di Sgarbi, c’è poi Direzione Italia di Fitto e ci sono personaggi come Gianfranco Rotondi, Saverio Romano. Lorenzo Cesa e Clemente Mastella. Tutti insieme appassionatamente, ognuno con le sue idee e le sue pretese.

 

Sulla soglia della sala d’attesa di Forza Italia, c’è infine il “Grande Fratello”di Silvio. E’ quel Denis Verdini, che alla guida di un branco di tupamaros, o se vogliamo usare un termine gentile di lanzichenecchi, potrebbe servire da ponte e da mosca cocchiera per arrivare, ma sempre per il bene del paese, sulla sponda del PD di Matteo Renzi.

 

Forza Italia si sta pertanto trasformando in un’armata brancaleone dalla quale per ora resta escluso

 

(ma non dire mai) solo Angelino Alfano, e con la quale, come insegna il passato, sarebbe impossibile fare un governo serio.

L’obbiettivo di oggi, suggerito a Berlusconi dai soliti consigliori è quello di prevalere, con qualche voto in più, sugli alleati di centro destra, in modo da poter imporre alla guida della coalizione un uomo come Antonio Tajani, da poco presidente del parlamento europeo. Un funzionario spento e silenzioso, senza alcun quid, mai apparso alla ribalta in tanti anni di impegno politico.

 

Una perfetta controfigura servizievole e sempre in ginocchio, da contrapporre a quella analoga occupata sull’altro versante dall’obbediente e devoto Paolo Gentiloni.

 

Di “larghe intese” per ora non si può parlare. E’ bene attendere. Ma c’è il dubbio, ed è fondato, che l’obbiettivo finale, una riedizione del Nazzareno, sia proprio quella.  

 

 

            

 

 

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Articolo pubblicato il 13/11/2017