L’Europa va a destra, ma Bruxelles pensa alle virgole.

La Commissione Europea ricorda all'Italia di continuo che la pacchia dei tassi zero e del salva-spread della Bce si concluderà, rendendo vano anche l'ultimo rinvio della riduzione del debito pubblico. È vero, prima o poi tutto finisce, come ogni flessibilità sui bilanci prelude alla rigidità del conto finale. Ma prima o poi finisce anche la pazienza di milioni di persone che vedono nell'Unione solo un ingombro alle proprie libertà identitarie. E questo forse è un problema un po' più urgente.

Che l'Europa abbia quindi come unica preoccupazione l'instabilità politica dell'Italia, ormai peraltro una costante, e il livello del suo indebitamento, è sbagliato e anche un po' miope, visti i suoi numeri, l'andamento dell'economia, la forza dell'export, il basso tasso d'indebitamento privato e l'alto indice di risparmio.

Eppure questo accade. Immemori delle complicanze derivanti dalla Brexit, dal caso Catalogna, degli "sgoverni" bancari ben più complessi in Spagna, Belgio e Irlanda in tempi andati, della recrudescenza del nazionalismo, che mette in discussione in alcuni paesi persino i diritti costituzionali, su uno dei tre paesi fondatori è in corso un pressing degno dell'Olanda di Johan Cruijff.

L'azione è concentrica, da parte di molti eurocrati, dopo gli agguati di grandissimi fondi d'investimento che hanno cominciato a scommettere contro il Belpaese. Per ora, invano.

 

Ha iniziato la Vigilanza della Bce, dopo l'apripista dell'Eba, a mettere nel mirino la contabilizzazione nei bilanci bancari prima dei titoli di stato, oggi ancora risk free (ma per quanto? Si chiedono a Berlino) e poi dei crediti deteriorati; ha proseguito il Vice Presidente della Commissione, Jyrki Katainen, preannunciando una lettera di messa in mora per i conti pubblici italiani che sballerebbero di circa 3-4 miliardi di euro nel 2018, utilizzando toni perentori come se si fosse di nuovo alla crisi del 2011 o peggio, di fronte a una Enron formato paese; e ha concluso l'assedio agli asset e al risparmio italiano, addirittura l'Eurotower, che in un documento per fortuna non enfatizzato da media e mercati, ha proposto a Bruxelles di prevedere una sorta di pre-bail in cui i depositi, proprio così, i depositi, possano essere congelati e i prelievi contingentati, come se l'Unione fosse una gigantesca Grecia. E ovviamente senza sottolineare l'unica cosa che serva oggi nell'unione bancaria: la garanzia comune dei depositi stessi.

È vero che a Bruxelles c'è grande preoccupazione per l'esito delle elezioni del 2018, ma così si esagera. Anche perché sarebbe meglio pensare alle urne del 2019, quando si voterà per il Parlamento Europeo e lì saranno veri dolori e per tutti. I problemi europei non riguardano la contabilità degli Stati, casomai quella delle banche, sicuramente quella delle famiglie. Che cominciano ad affidarsi a uomini della provvidenza.

 

È in atto un recupero delle identità nazionali che può mettere in pericolo la missione impossibile, finora compiuta, della nascita dell'Unione Europea, e cioè di far convivere condivisione e diversità. Alcuni sistemi giuridici nazionali stanno ripiegando su se stessi, mettendo in dubbio persino i principi della Corte di Giustizia e questo non solo in alcuni paesi del gruppo di Visegrad ma nella pacifica Danimarca.

Il patriottismo costituzionale, che ha tenuto tutto in piedi, sta diventando patriottismo giuridico, il sovranismo si sostituisce all'europeismo, i sistemi dei paesi democratici, da Ostia a Varsavia, cominciano ad avere a che fare con il ritorno del fascismo, che da Facebook è sbarcato nelle piazze.

Ciò nonostante, ci si occupa del deficit italiano. E si ignora invece come i giovani, coloro che dovrebbero poi trovare un lavoro, mettere su famiglia e versare i propri risparmi in banca, stiano provocando uno smottamento verso destra degli assetti democratici nel Vecchio Continente. Le ultime indagini demoscopiche, che evidentemente non sono la lettura preferita a Bruxelles, dove si preferisce il Def e la legge di Bilancio, evidenziano infatti una crescente onda di protesta che non sfocia più nei canali tradizionali della sinistra. Va esattamente dall'altra parte.

In Gran Bretagna la vulgata voleva la forte astensione al referendum degli under 25 ma un'inchiesta successiva ha invece certificato la partecipazione al voto del 64% della popolazione tra i 18 e i 24 anni. Dunque un ruolo nel Leave l'hanno avuto eccome anche se 7 su dieci si sono espressi per il Remain. Ma se ci si sposta nell'Europa dell'Est, emergono dati ancora più preoccupanti sul crescente e diffuso scetticismo verso i consueti partiti democratici e la capacità degli stessi di garantire le prospettive future di vita.

In Ungheria, il partito di ultra destra Jobbik è tra i più popolari nelle inclinazioni degli studenti universitari; il movimento Law and Justice in Polonia, teatro della recente manifestazione xenofoba, è decisamente antieuropeista, a sua volta ha fatto breccia tra tutti coloro che votavano per la prima volta, guadagnando un terzo di quell'elettorato; in Slovacchia quasi un quarto dei giovani alla prima scheda ha scelto il partito del Popolo la Nostra Slovacchia i cui rimandi ai tempi del regime nazista non sono di certo velati. Rispetto al resto dei paesi europei, nel gruppo di Visegrad ben oltre il 20% dei giovani crede che le formazioni di ultra destra siano più in grado di garantirgli benessere. Quando sono stati i governi di centrosinistra ad avergli garantito l'ingresso nell'Ue e le tante libertà che essa garantisce, a partire da quella di movimento.

Passando ai paesi nordici e occidentali, se in Francia il Front National non fa man bassa di voti studenteschi, questi invece premiano partiti di destra in Olanda, Austria e in parte nella ex Germania dell'Est, dove oltre al successo dell'Alternative fur Deutschland alle ultime politiche, è da segnalare la sedimentazione del partito neo nazista Npd, che per fortuna non registra molti proseliti tra i giovani, grazie ad un'educazione ben radicata nei principi democratici e nel ripudio del passato.

Generalmente, tutti gli istituti indicano da tempo che il fenomeno dell'accostamento della xenofobia e dei pregiudizi razziali alla formazione del pensiero giovanile rappresenta un fenomeno molto serio. E sottovalutato. Sono queste le percentuali che dovrebbero preoccupare Jean Claude Juncker, Mario Draghi e i loro colleghi, non lo zero virgola in più o in meno dell'indebitamento italiano. E non perché non sia un problema, tutt'altro, ma decisamente risolvibile in patria con una seria Spending review e il Tagliadebito.

Ma perché senza partecipazione, non c'è Fiscal Compact che regga. Senza una Costituzione Europea, ogni regolamento o direttiva pur condivisibile diventa una provocazione per l'opinione pubblica, che comincia a non fidarsi più dei governi nazionali, degli istituti di credito e dei corpi intermedi, nutrendo risentimento e rabbia nei confronti delle autorità comunitarie e delle tecnocrazie che di fatto li amministrano senza essere mai stati eletti. E non potendoli mandare a casa, mandano a casa i loro esecutivi, scegliendo rappresentanti che promettono la fine dell'eurobucrozia con il pugno di ferro del nazionalismo e sotto una vecchia bandiera. Tutti prigionieri di paure ancestrali che poco hanno a che vedere con il mercato unico e l'identità comune.

Insistere solo sulle pur importanti regole di bilancio, senza vedere quello che accade nella vita reale, significa vanificare tutti gli sforzi fatti per mantenere in piedi il progetto comune, a partire proprio dal contributo della Banca centrale europea.

 

Roberto Sommella

huffpost.it

 

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Articolo pubblicato il 18/11/2017