Un buon motivo per non morire più

Le pensioni: le origini, la storia, le traversie, le riforme e l’elisir di lunga vita

Ultime notizie sul fronte annunciano che Susanna Camusso ha affilato le armi da Brescia e promette una battaglia al grido: sulle pensioni il governo è stato sleale! Sottolineando un mancato rispetto degli accordi raggiunti con i sindacati e la necessità di un cambiamento del sistema previdenziale oggi definito ingiusto.

Niente di più condivisibile se si indaga nella controversa partita al ribasso dei diritti e all’innalzamento dell’età maturata per poter vedersi riconosciuta quella pensione che per decenni, con una costituzione a farne garanzia, è stata l’obiettivo dei nostri padri.

La lunga storia del sistema pensionistico italiano, che ha fatto dell'Inps uno dei più importanti enti previdenziali d'Europa, è in progressivo fermento e, dopo un lungo periodo di stabilità, ormai quasi quotidianamente si scontra con interessi divergenti: da un lato quello dello Stato impegnato a far quadrare i conti prima che l'intero sistema collassi, dall'altro quello dei lavoratori che rivendicano il compenso pattuito e garantito dall’articolo 36 della Costituzione, con assegni dignitosi maturati dopo una vita di lavoro.

Di certo le pensioni sono una conquista di vecchia data e la storia della previdenza italiana si può dividere in due fondamentali momenti epocali:

  • una prima fase di sviluppo che dal 1898 (data di nascita della Cassa nazionale di previdenza) arriva alla fine degli anni Ottanta, allargando la platea degli aventi diritto all'assegno e aumentando le prestazioni;
  • una seconda fase restrittiva, che inizia nel 1992 con la riforma Amato. Da quel momento si susseguono progressivi tagli alla spesa, l'entrata in vigore di requisiti più stringenti e l'innalzamento dell’età per aver diritto alle prestazioni previdenziali.

In effetti, a forza di aumentare l’età degli aventi diritto, basandosi su ipotetici dati dell’allungamento della durata della vita, tra non molto la pensione si potrà “godere” soltanto da morti e per i più longevi, da un letto della casa di riposo, ma fino a pochi decenni fa e in tempi non sospetti, tutto questo sembrava fantascienza. Ripercorrere le date, i responsabili e la sequenza della fase restrittiva, forse può aiutarci a capire quel che sta succedendo adesso.

Per tentare di farlo è irrinunciabile un salto nel passato, qundo gli anni del boom economico avevano convinto il governo Rumor a varare la riforma Brodolini, che nel 1969 diede vita al calcolo della pensione rapportato alla retribuzione percepita negli ultimi anni di lavoro, arrivando spesso  all'80% dell'ultima retribuzie. Nel 1973, furono introdotte le baby pensioni con la possibilità per le lavoratrici della pubblica amministrazione, sposate e con figli, di lasciare l'impiego dopo 14 anni, sei mesi e un giorno. Dopo 20 anni per gli altri statali e dopo 25 per tutti i dipendenti privati. Tempi d’oro per l’Italia e i pensionati. Tempi di breve durata poiché il miracolo economico iniziò ben presto a rallentare l’impeto per molteplici motivi, perdendo aziende, competitività, posti di lavoro e quindi versamenti, ma non i diritti acquisiti. Oggi la partita si gioca sull’ipotetico allungamento della vita, ma è così?

A partire dal 1969, fino alla fine degli anni 70, i lavoratori e i pensionati, furono attori di importanti rivendicazioni al fine di applicare il dettato costituzionale, ma non poteva durare. A partire dagli anni 90 le pensioni sono state oggetto di consistenti modifiche da parte dei governi di passaggio fino alla cancellazione di molti dei diritti acquisiti e sanciti dalla costituzione, ma non più sostenibili per svariati motivi, invertendo la tendenza in progressivo eccesso.

Riepilogando, negli ultimi 25 anni ci sono state varie controriforme che hanno ridimensionato di molto diritti e quattrini ai pensionati. In sequenza:

Riforma Amato 1992. Per garantire la sostenibilità del sistema, decide il graduale incremento dell'età pensionabile da 55 a 60 anni per le donne e da 60 a 65 per gli uomini portando la contribuzione minima da 15 a 20 anni. Per la prima volta compare il divieto parziale di cumulo tra pensione e redditi da lavoro autonomo. Un anno dopo nasce la previdenza complementare.

Riforma Dini 1995. Si passa dal sistema retributivo a quello contributivo per quanti abbiano iniziato a lavorare dal 1 gennaio 1996. Vengono tagliati gli importi delle pensioni di invalidità e di reversibilità sulla base dei redditi dichiarati. La riforma, in realtà crea la divisione tra giovani e anziani per chi entra al lavoro dal ’96, con un calo della pensione fino al 40% rispetto al sistema retributivo, con la cancellazione delle pensioni di anzianità a 35 anni senza vincolo di età, con l’introduzione di “finestre” di tre mesi d’attesa per l'uscita pensionistica.

Riforma Prodi 1997. Il taglio dei costi, questa volta, è dettato dalla necessità di agganciare l'Italia all'Eurozona per entrare nella moneta unica come fondatore. Il governo dell'Ulivo, quindi, aumenta i requisiti di accesso alla pensione di anzianità per i lavoratori autonomi e dopo aver parificato i pensionamenti anticipati alle pensioni di anzianità erogate dall'Inps, decide il blocco della rivalutazione dei trattamenti superiori a 5 volte minimo.

Riforma Berlusconi 2001. Come promesso in campagna elettorale, il governo adegua le pensioni minime e le pensioni sociali portando l'importo minimo a un milione di lire al mese. Nel 2003, poi, arriva la possibilità di cumulo totale tra pensione di anzianità, liquidata a 58 anni con almeno 37 anni di contributi, con i redditi di lavoro autonomo e dipendente. I lavoratori parasubordinati sono parificati agli autonomi e l'Inpdai è inglobato dall'Inps.

Finanziaria 2004. Compare per la prima volta il contributo di solidarietà - pari al 3% - sui trattamenti superiori a 25 volte il minimo.

Riforma Maroni 2004. Prevede che  a partire dal 2008, le pensioni di anzianità con 35 anni di contributi potranno essere recepite solo da coloro che hanno 60 anni di età (61 autonomi) e dal 2010 61 anni di età (62 se autonomi); le finestre passano da trimestrali a semestrali. Per le donne rimane la possibilità di andare in pensione a 57 anni di età e 35 anni di contribuzione, a patto di accettare il calcolo integrale del sistema contributivo. Per incentivare i lavoratori a proseguire la loro attività, arriva il super bonus del 32,7% per chi rinvia la pensione di anzianità. 

Finanziaria 2007 - governo Prodi. Aumenta di cinque punti percentuali la contribuzione dovuta dagli iscritti alla gestione separata dell'Inps.

Riforma Damiano Padoa Schioppa 2007. Toglie lo scalone: al suo posto il "sistema delle quote" determinate - dal primo gennaio 2009 - dalla somma dell'età e degli anni lavorati. L'età pensionabile per le donne del pubblico impiego sale, gradualmente, fino a 65 anni. L'aumento decorre dal 2012. 

Riforma Sacconi Brunetta 2009. Correzione dove si stabiliscono in senso negativo, a partire dal 2015, l'indicizzazione dell'età pensionabile in rapporto all'innalzamento dell'aspettativa di vita.

Riforma Tremonti 2010. Inserisce una sola finestra mobile che manda i lavoratori in pensione a partire da un anno dopo la maturazione dei requisiti per i lavoratori dipendenti e 18 mesi per quelli autonomi, aumenta l'età pensionabile in base all'aspettativa di vita ogni 3 anni anziché ogni 5; anche i coefficenti di trasformazione verranno aggiornati ogni tre anni . 

Riforma Fornero 2011. Importante manovra di un governo non eletto. Il Salva Italia cancella il sistema delle quote ed estende a tutti il sistema contributivo pro-rata. Salta il diritto ad andare in pensione con 40 anni di contributi. Viene innalzata l'età minima per la pensione. Arriva la fascia flessibile per i lavoratori il cui primo accredito contributivo decorre dopo il 1996: 63-70 anni. Si crea il dramma di coloro che sono anziani e non hanno più un lavoro e nemmeno il diritto di andare in pensione dovendo aspettare i 67 anni (esodati) , inoltre blocca l'indicizzazione al costo della vita per le pensioni superiori di due volte il minimo.

La legge di Stabilità 2016 avvia una sperimentazione per il triennio 2016 -2018, in base alla quale i lavoratori dipendenti del settore privato a cui manchino non più di tre anni alla pensione di vecchiaia possono andare in part-time al 40-60%, senza che la busta paga e l'assegno pensionistico subiscano detrazioni.

Ed eccoci ai giorni nostri, c’è aria di elezioni e assopiti i propositi di dimezzare il diritto alla pensione di reversibilità legato al reddito Isee, che avrebbe fatto danni, si è iniziato a parlare di sconti d’età per una serie ancora imprecisata di categorie destinate a lavori più “usuranti”. Argomento rilevante ancor di più per la voce che circola sull’età destinata dai politici a se stessi: 62 anni per poter “godere” la “modesta” pensione maturata. Ma si sa, con tutte le tensioni, le zuffe e le male parole a cui si assiste con costanza è indubbio che nessun’altra professione sia più usurante.

Per tutti gli altri la sequenza di riforme ha fatto sì che negli ultimi 15 anni, l'entità del valore reale delle pensioni rispetto al costo della vita sia diminuito di circa il 40% .

In questo contesto, mentre il governo ha trovato i soldi per “il reddito di inclusione”, il sindacato si sta chiamando a raccolta in un’Italia che il Tg assicura: “sta uscendo dal tunnel”. Ancora una volta ci saranno le solite manifestazioni, ma servirebbe una piattaforma capace di una vera battaglia unendo i pensionati, i giovani, gli operai, gli studenti, chiedendo:

·       il ritorno al calcolo della pensione con il sistema retributivo per tutti;

·       il ripristino delle pensioni di vecchiaia a 60 anni e quelle di anzianità con 40 anni di contributi;

·       la netta divisione tra sistema previdenziale a favore delle pensioni ed il sistema assistenziale, chiedendo al governo di far gravare l'assistenza sulle casse dello Stato.

Qui un dato su cui riflettere poiché stranamente se ne parla poco. In Francia è possibile andare in pensione prima dell'età pensionabile senza l'applicazione del coefficiente di minorazione, nei seguenti casi: Pensione per gravosità del lavoro, che offre la possibilità di anticipare il pensionamento fino a un massimo di due anni rispetto all'età pensionabile (ovvero 60 anni invece di 62).

Infine, un’ultima riflessione. Chi iniziava a lavorare quarant'anni fa lo faceva intorno ai diciott'anni e si immaginava il tempo della pensione sufficiente per dedicarlo a se stesso. Non solo gli anni si sono spostati più avanti, ma la questione dell'aspettativa di vita non regge. Gli anni aggiunti sono tanti per la salute e per i programmi di una vita. Ancor di più con un sistema sanitario sempre più soggetto a sprechi milionari, a scandali, a tagli, ad allungamento di prenotazioni e via dicendo

L'elisir di lunga vita è un numero, un % legato certamente a un tempo vissuto, ma l'età si sente a una certa età e calano le possibilità di gustarselo in piena forma. Il rischio è di trovarsi a godere la pensione in lista d'attesa. Però la vita statisticamente si allunga, non importa come. Persino morire è quasi vietato dalle percentuali. Chi non ce la fa più deve andarsi a pagare il buono uscita in Svizzera. 

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Articolo pubblicato il 03/12/2017